Capitolo 39
A partire da quella conversazione cercai di dimenticarmi di Gabriele e Viviana, della loro storia che non si sapeva quanto sarebbe durata, e cominciai a guardarmi intorno: i ragazzi che frequentavano l'università erano diversi da quelli del Quartiere, meno spacconi e più signorili, della serie che a confronto quelli che dalle mie parti si credevano chissà chi non erano nessuno.
Nel mio gruppo erano tutti molto belli ed eleganti, perfino Cesare non era male dietro la sua aria da topo di biblioteca.
Un giorno di gennaio - stavo in fila per dare il mio primo esame insieme a Irene e Cesare - quando qualcuno si avvicinò a noi: era un giovane con gli occhi blu e i capelli castani leggermente spettinati.
<< Tadini ha già cominciato a chiamare? >> ci domandò.
Da quando ci era comparso davanti, il mio sguardo si era soffermato su di lui come se non esistesse nessun altro essere umano, in quel corridoio sul quale si affacciava la porta dello studio del professor Tadini di Letteratura Latina I.
<< Tadini, ehm... No, non ha cominciato a chiamare >> risposi velocemente, cercando di capire se lo avevo già visto in aula.
<< Però dicono che sia tosto... >> aggiunse Irene.
<< Se hai studiato non è tosto niente >> puntualizzò Cesare. Lo guardai male, come se si vantasse di passare del tempo sui libri solo lui al mondo.
<< Scusalo, è di parte solo perché ci sediamo sempre in prima fila centrale >> mi affrettai a spiegare.
<< Io invece in terza fila a destra, allora vi ho visti spesso! Comunque piacere, mi chiamo Leonardo Sironi >> si presentò il ragazzo.
<< Io invece sono Letizia Finelli, molto piacere. E loro sono Irene Aiello e Cesare Giardini >> replicai, stringendogli la mano imitata dai miei amici.
<< Che ne dite se ripassiamo insieme? >> propose Leonardo.
Accettammo subito, mentre intorno a noi il numero degli arrivati aumentò.
Quando cominciammo ad essere sulle duecento persone, il professore cominciò a fare l'appello, per poi chiamarci a gruppi, per farci valutare da lui stesso e dagli assistenti.
Quando toccò a me, prima di entrare mi girai verso Leonardo: lui sorrise, con i pollici rivolti verso l'alto.
Perciò sorrisi a mia volta, e sentendomi rassicurata, entrai a fare l'esame di Letteratura Latina I.
***
Uscii dallo studio del professore con un sorriso a trentadue denti: avevo appena preso trenta e lode; anche Cesare prese il mio stesso voto, Irene ricevette un bel ventinove e invece Leonardo ventotto.
Decidemmo di andare a festeggiare tutti insieme in un locale vicino alla Sapienza: erano le undici del mattino e ci portarono un brunch composto da finger food e spritz; un aperitivo così raffinato non l'avevo mai fatto, nel Quartiere, solitamente quelli del bar Martini erano molto più grezzi e solo con le creazioni culinarie di Laura la qualità si era alzata.
La tensione per l'esame era passata definitivamente, e così mi rilassai talmente tanto da bere qualche bicchiere di spritz in più; ci alzammo dal tavolo che erano le tredici e mi tremavano le gambe; nemmeno Cesare e Irene stavano messi benissimo, l'unico in buono stato sembrava essere Leonardo: pareva non avesse bevuto neanche una goccia d'alcol, poteva tranquillamente mettersi al volante senza essere cazziato dal test del palloncino.
E infatti si offrì volontario di portarci tutti a casa.
<< Ma sei sicuro? >> biascicai all'orecchio di Leonardo, mentre mi aiutava a salire e ad accomodarmi sul sedile anteriore del passeggero.
<< Perché me lo chiedi? >> mi domandò serenamente.
<< Ma lo sai dove abitiamo Irene e io? Al Villaggio Castaldo e al Quartiere Anceschi >> precisai, aspettandomi che ci avrebbe buttate subito fuori dall'auto, lasciandoci a piedi mezze ubriache.
<< Ah ok. Meno male che me lo avete detto, così so la strada >> rispose senza battere ciglio.
Quel ragazzo mi stupiva: era evidentemente benestante, una macchina come la sua l'avrebbero sicuramente adocchiata non appena avessimo messo il naso nel Quartiere; magari qualcuno l'avrebbe rubata o rivenduta allo sfasciacarrozze.
Nonostante questa ipotesi plausibilissima, non aveva paura di riportarmi fin sotto casa. Perciò mi tranquillizzai anch'io, sprofondando sul sedile.
Dietro di noi, Irene e Cesare si erano già addormentati.
***
Leonardo accompagnò prima Cesare, che abitava sulla Prenestina, poi Irene, anche se la sua zona veniva dopo la mia: mi fece segretamente piacere che mi avesse lasciata per ultima, sembrava quasi che volesse passare più tempo con me.
Non appena la macchina passò davanti al parco della discarica mi vergognai profondamente per averlo portato a fare un involontario tour delle parti più brutte e pericolose della città, ma forse mi stavo solo facendo troppi problemi. Forse Leonardo era tutto meno che prevenuto, forse ero io che credevo fosse così.
La comparsa della sua auto nella piazza principale del Quartiere fu motivo d'interesse come se fosse un'attrazione da circo: dalle finestre dei casermoni, dai balconi, dalle terrazze, dagli usci dei negozi, dai vicoli la gente si affacciava, si bisbigliava nei reciproci orecchi, additava a volte me, a volte Leonardo e a volte la macchina.
<< Casa tua è uno di questi palazzi? >> mi chiese gentilmente lui.
Avrei voluto dirgli che ci chiamava un bel coraggio, o una buona dose di politically correct, a chiamarli palazzi, che anzi erano l'esempio più delinquenziale e scadente di edilizia popolare degli Anni Sessanta, ma riuscii a trattenermi.
<< Più verso l'interno >> risposi invece.
<< Allora ti accompagno >> replicò.
<< Ma è già tanto se sei arrivato fin qui, non ti voglio mica disturbare ulteriormente... >> protestai, prima di perdere l'equilibrio e rischiare di cadere a terra e frantumarmi qualcosa.
Leonardo mi afferrò prontamente per la vita, prima che mi spaccassi seriamente la faccia.
<< Insisto >> affermò prontamente, lasciando che mettessi il mio braccio attorno alle sue spalle.
Mentre ci dirigevamo verso l'interno del Quartiere, e ci addentravamo in quella giungla urbana fuori dal mondo, sentivo gli occhi di tutti appiccicati addosso.
Insistetti per proseguire da sola, ringraziandolo per avermi portato fin lì, arrivai fino al secondo piano, infilai la chiave nella serratura e sperai di risultare invisibile, mentre mi dirigevo in camera mia a riposare.
***
Fu un rumore improvviso a svegliarmi di soprassalto. Aprii gli occhi impastati di sonno e mi ritrovai davanti la figura di mia madre, che si era piazzata davanti al mio letto con le braccia conserte e l'espressione di perenne disappunto in faccia.
<< Oddio, mamma... Che è successo? >> sobbalzai sedendomi di scatto sul letto.
<< Te lo dovrei chiedere io a te. Sei stata vista tornare che non ti reggevi in piedi, avvinghiata a uno sconosciuto >> rispose sprezzante.
<< Non ero avvinghiata. Leonardo ha riaccompagnato a casa me, Cesare e Irene >> specificai.
<< C'eri solo tu con quello >> insistette mia madre.
<< Ha riaccompagnato prima loro, poi me >> ribattei.
<< Pensi che ai nostri vicini importa che c'erano anche altre persone con voi? Sicuramente già pensano che hai l'amante universitario... >> commentò acida.
<< Non è il mio amante >> ci tenni a precisare.
<< Lo spero bene. Tu una cosa intelligente avevi fatto, fidanzandoti con Annibale Zanoni, e invece manco lui ti sei saputa tenere. Se questo Leonardo è ricco almeno cerca di accalappiarlo e tenertelo stretto, ma nel Quartiere in atteggiamenti intimi ci tornate solo con l'anello al dito >> replicò.
<< Ah, comunque tanto per ricordare oggi avevo il mio primo esame, e ho preso trenta e lode >> le dissi.
Per tutta risposta preparò la classica piega della bocca che assumeva ogni volta che doveva disprezzarmi.
<< E a me sai quanto me ne frega? È l'ennesimo modo che hai per tirartela, per crederti meglio di tutti quanti noi, ma non sei un cazzo di nessuno. Quindi cerca di cuocere il pollo per bene e sistemarti, che la tua tendenza a fare la parassita non l'ho mai sopportata >> concluse, per poi uscire nervosamente dalla stanza.
Non aveva perso occasione per ribadirmi la sua visione preistorica della realizzazione femminile, un buon matrimonio come unica forma di estrinsecazione della donna nella società, senza possibilità di alternative dignitose.
***
Qualche giorno dopo vennero a trovarmi Viviana e Gabriele: non mi aspettavo davvero la loro visita.
Non mi aspettavo molte visite a dire la verità, avevo altri due esami tra gennaio e febbraio e passavo la maggior parte del tempo sui libri.
Immaginavo che volessero parlare di me e Leonardo: ne stavano parlando tutti, nel Quartiere.
<< Ciao Leti, come stai? >> esordì Viviana.
<< Meglio rispetto a qualche giorno fa. Sto sempre a studiare >> risposi.
<< Anche noi, ma tu sei sempre stata una studentessa modello. Trenta e lode al primo esame, complimenti! >> si accodò Gabriele.
<< Ma invece quel ragazzo che ti ha riaccompagnata? >> fece lei curiosa.
Avevo indovinato. La scena che aveva visto protagonisti Leonardo e me aveva letteralmente fatto il giro del Quartiere.
<< Gli abitanti dei casermoni. Non si fanno mai i cazzi loro >> commentai.
<< Guarda che se hai incontrato qualcuno è una cosa bella! Magari vai pure a vivere nei quartieri alti! >> esclamò Viviana, sinceramente contenta per me.
Aveva travisato tutto, come gli altri. Gabriele invece si tratteneva dallo sghignazzare. Cosa avesse da ridere non lo sapevo, probabilmente i miei pseudo-tentativi di rifarmi una vita lo divertivano.
<< Non stiamo insieme, Leonardo e io. L'ho conosciuto il giorno dell'esame, mi ha solo riaccompagnata a casa >> ribadii.
<< Tua madre ne parla come se aveste cominciato a consegnare le partecipazioni per il nostro matrimonio >> dichiarò Gabriele.
<< Mia madre non vede l'ora di buttarmi fuori di casa. Non le è mai andata giù la mia scelta di fare l'università, e qualcuno che mi si piglia sarebbe la soluzione a tutti i suoi problemi >> spiegai.
<< Ha sempre pensato che Emma ti influenzasse male, e che l'idea di proseguire gli studi fosse frutto di questa influenza. Forse nella sua mentalità distorta pensa che le nozze con un uomo ricco possano farti rinsavire >> ipotizzò lui.
<< Ma comunque è la tua vita, e se davvero tu e lui imbroccate, io al vostro matrimonio ci voglio venire! >> affermò Viviana battendo gioiosamente le mani.
A volte mi chiedevo se facesse davvero l'università: l'educazione del Quartiere la faceva sembrare talvolta talmente oca da lasciar trasparire che gli ambienti illuminati non rimanessero impressi su di lei; ma eravamo amiche da una vita, quindi cercai di essere meno giudicona possibile.
<< Vedremo come evolve la situazione >> sorrisi perciò.
Non era stata poi così male quella visita.
***
Rincontrai Leonardo il giorno in cui andai a fare l'esame di Letteratura Italiana I.
<< Vedo che ti sei rimessa! >> esclamò, venendomi incontro.
<< Stavo veramente così male? >> domandai, facendo la gnorri. Lo ricordavo benissimo di essermi sentita uno schifo il giorno in cui ci eravamo conosciuti.
<< La verità? Non so se sei abituata a bere o meno, ma lasciatelo dire, l'alcol lo reggi proprio male >> affermò.
Ricordai la penultima volta che avevo bevuto: era stato sette mesi prima, la sera della vigilia della fuga di Emma. Lei si che lo reggeva bene, a me invece come al solito erano bastati una bottiglia di birra e alcuni shottini per finire quasi sotto al tavolo.
<< Touchè, non lo reggo affatto bene >> ammisi.
<< Lo avevo notato, ma non volevo fartelo pesare >> rispose.
<< Adesso che sai questo mio scabroso segreto andrai a raccontarlo a tutta la facoltà? >> lo sfidai ridendo, con un'ironia che mi faceva pensare a quanto Emma, negli anni, mi avesse contagiata.
<< Adesso che lo so, starò attento quando andremo a festeggiare il prossimo esame >> dichiarò.
<< Festeggeresti di nuovo con una ragazza che non si reggeva in piedi dopo qualche spritz e che hai dovuto portare a casa fino al suo orribile luogo natale? >> chiesi.
<< Non è orribile. Ha un suo fascino >> fece lui.
<< Un fascino distorto >> commentai sorridendo. Non sapevo se avesse cominciato a fare il bohémien perché lo pensasse veramente o per arruffianarmi.
<< Immaginavi che riaccompagnandoti a casa, vedessi dove sei nata e me ne scappassi a gambe levate? >> indovinò.
Era come se qualche tempo prima mi avesse letto nel pensiero.
Il mio silenzio valse più di mille parole.
<< Senti, Letizia. I luoghi non fanno le persone, e con questo voglio dire che non tutti quelli nati al centro non sono bravi e non tutti quelli nati in periferia fanno schifo. Anzi, forse nemmeno dovrebbero esistere queste etichette, secondo me >> continuò poi.
Era la prima persona da cui avessi sentito dire una cosa simile: da sempre avevo avuto intorno persone che mi avevano instillato la consapevolezza che il Quartiere fosse un marchio e che non me lo sarei levato di dosso neanche se me ne fossi andata il più lontano possibile.
<< Grazie, sei gentile >> replicai.
<< Ti volevo chiedere... >> cominciò, ma venne interrotto dalla voce dell'assistente della professoressa Taglioli.
<< Finelli! >> mi sentii chiamare da quest'ultimo.
<< Devo andare... >> mi scusai.
<< Io ti aspetto qui, in bocca al lupo! >> mi augurò.
Lo ringraziai ed entrai. L'esame andò bene, presi trenta e lode anche a Letteratura Italiana I.
Leonardo mi abbracciò, facendomi volteggiare in aria.
Poi mi chiese quello che mi doveva chiedere prima che entrassi: il mio numero di cellulare; anch'io gli chiesi il suo.
A quella giornata non poteva mancare un culmine più bello.
***
Passarono le settimane, gennaio diventò febbraio e poi marzo: feci un altro esame, cominciai nuove lezioni, e Leonardo era al mio fianco; prima dei corsi primaverili ci eravamo sentiti per telefono, qualche volta mi veniva a prendere sotto casa e mi portava al centro.
A me non è che piaceva, mi faceva letteralmente impazzire: non solo perché era bello, coi suoi capelli scuri un po' spettinati e gli occhi blu, ma anche perché era dolce, gentile, colto e romantico, completamente diverso da tutti i ragazzi che avevo conosciuto al liceo e nel Quartiere.
Avrei voluto dirlo ad Emma, ma siccome era a Londra e le telefonate internazionali costavano tantissimo, mi accontentai delle nostre amiche: non erano lei, ma comunque ci avevo condiviso buona parte della mia vita.
Sicuramente mi avrebbero detto che ero fortunata ad averlo incontrato, che non dovevo lasciarmelo scappare e che un altro come lui chissà quando l'avrei ritrovato.
Ma il problema che mi impediva di sciogliermi completamente, di abbandonarmi alla passione non era Leonardo, e non erano neanche i fantasmi di Gabriele e Viviana; il problema ero io, o meglio la mia provenienza: noi del Quartiere, non essendo abituati alle cose belle, avevamo la capacità di rovinare tutto ciò che toccavamo.
Quelli come noi non si meritavano qualcuno che gli si affezionasse.
***
Ma forse quello della provenienza era un alibi che mi ponevo per giustificare il fatto di sentire che intorno a me qualcosa girava nella maniera storta: non andava quel 2001, che tra la guerra in Medio Oriente e l'allarme della mucca pazza non era stato capace di dare seguito ai fasti del precedente 2000; non andava qualcosa nel comportamento di Mario, il cui nervosismo era cominciato a venire fuori poco dopo il fidanzamento ufficiale tra Gabriele e Viviana; e sicuramente non andava qualcosa tra Irene e Cesare, i quali erano diventati, col passare dei mesi, sempre più strani.
Avevo paura di trascinare anche Leonardo nel turbine delle mie preoccupazioni, e cercavo implicitamente di tenerlo fuori, anche a costo di risultare fredda e disinteressata nei suoi confronti; ma i suoi modi erano così rassicuranti da infrangere tutte le mie barriere, e ricominciavo a credere che lui potesse davvero essere la mia unica salvezza.
Mai avrei immaginato che quel mio idillio potesse fare male a qualcuno, per cui, quando mi ritrovai davanti Cesare stravolto, appena fuori la gipsoteca - il museo dei gessi al pianoterra della facoltà - nemmeno potevo pensare cosa gli passava per la testa.
<< Leti, questa storia mi sta distruggendo >> esordì.
<< Quale storia, Cè? >> domandai.
<< Quella che sta venendo fuori tra te e Leonardo. Mi distrugge dentro, perché coi suoi modi carini e suadenti è arrivato prima di me >> proseguì.
<< Prima di te dove? >> continuavo a non capire. O meglio, speravo di non capire, perché la risposta stava formandosi pian piano nella mia mente. E sentivo che non mi sarebbe piaciuta.
<< Leti, io mi sono innamorato di te. Ti ho sempre amata, dal primo giorno che mi sono seduto accanto a te, a settembre. Ti ho amata anche quando tutta la tua attenzione si è riversata verso un altro >> mi confessò, sospirando come se si fosse liberato di un peso.
<< Cesare, io non immaginavo... Pensavo ti piacesse Irene... >> commentai, pensando agli atteggiamenti di entrambi negli ultimi tempi.
<< Irene è una cara amica, ma non mi suscita quello che mi susciti tu. Non immagini nemmeno quello che mi provochi, Leti. Sconvolgi il mio mondo... >> rispose, avvicinando pericolosamente il suo viso al mio. Vedevo il suo sguardo ardere attraverso le lenti degli occhiali.
Non volevo che mi si avvicinasse, non provavo niente per lui che non fosse una solida amicizia, e invece aveva tutta l'intenzione di andare oltre.
<< Allontanati, Cè... >> lo ammonii.
Ma non mi ascoltò, e le sue labbra furono sulle mie senza che mi potesse dare il tempo di replicare.
A spingermi a staccare le mie labbra dalle sue fu un rumore di libri che cadevano sull'asfalto. Ci girammo di scatto entrambi. Era Irene, e aveva l'espressione traumatizzata.
<< Irene... >> provai a chiamarla, ma lei si chinò a raccogliere velocemente i libri e scappò. Le corsi dietro.
***
<< Ire! Irene, aspetta! >> la chiamai.
<< Che cazzo vuoi? >> sbraitò lei, girandosi di scatto.
<< È stato Cesare, io non... >> cercai di spiegare.
<< E certo, tu che colpa ne hai? C'hai mezza popolazione maschile di Lettere che ti corre appresso ma tu non sai niente, non ti accorgi di niente! Pare vero che sei così innocente, così inconsapevole che col tuo bell'aspetto puoi fare quello che ti pare! >> mi rinfacciò con le lacrime agli occhi.
<< Ma che stai dicendo? >> domandai spiazzata da quel suo sfogo.
<< Sto dicendo la verità, una verità che non riesci ad ammettere perché sei un'ipocrita, Leti! Ti sei sempre dichiarata diversa dall'amica tua, ma siete tali e quali, sempre a girare dalle vostre parti o nei corridoi della scuola con quell'aria da piccole vincenti, come se il mondo fosse ai vostri piedi. Solo che almeno Emma l'onestà di mostrarsi così ce l'aveva, tu sei una finta, Leti! E una stronza, una grandissima stronza. Lo sapevi benissimo che Cesare piaceva a me, eppure hai lasciato che ti baciasse! >> rimbeccò velenosa, portando alla luce un concetto che non volevo ammettere nemmeno con me stessa, e cioè che fossi piena di me, come Emma e forse anche di più, proprio per il fatto che lei lo ammetteva e io facevo di tutto per dimostrare il contrario.
Non mi veniva come controbattere perché aveva ragione Irene. Tuttavia dovevo risolvere la situazione al più presto: avevo paura che facesse l'infame raccontando tutto a Leonardo, portandolo a credere che fossi una puttana.
<< Sì, ho lasciato che lo facesse. Ma perché la cosa ha stupito anche me. Magari non mi crederai ma mai, mai nella vita avrei pensato che Cesare provasse per me dei sentimenti che andassero oltre l'amicizia. E se vuoi fare la spia con Leonardo falla pure. Tanto se farà la sceneggiata significa che a me non ci tiene, e sarà stato meglio perderlo che trovarlo >> ribattei, per poi voltarle le spalle.
Non avevo paura delle conseguenze di ciò che avevo detto e fatto, non potevo permettermi di averne più.
***
Al contrario di quanto mi aspettassi, Irene non fece l'infame, anzi: lei e Cesare si chiarirono, e prima della loro partenza per Paestum, a vedere gli scavi archeologici, mi vennero a trovare, augurandomi ogni fortuna con Leonardo.
Il quale divenne ufficialmente il mio fidanzato una sera di luglio, in cui pioveva a dirotto e la sua macchina era rimasta senza benzina, fermandosi in mezzo al Viale dei morti ammazzati.
Spingemmo la macchina sotto la pioggia battente, la portammo fin dentro il Quartiere, sperando che qualcuno ci venisse incontro per aiutarci. E invece tra i pochi rimasti in città nessuno aveva deciso di uscire, con quel tempo da lupi.
<< Perché non sali? Tanto i miei stanno a Modica... >> lo invitai. Avevo intenzione di andare fino in fondo, quella sera.
<< Sei sicura? >> domandò.
<< Sì, sono sicura >> risposi, finalmente libera da ogni condizionamento e tabù, scevra da tutti i fantasmi del passato.
Aprii il portone, salimmo le scale sprizzando gocce per l'androne fino al secondo piano. Aprii anche la chiave di casa, richiudendo la porta dietro di me senza curarmi che sbattesse.
Non gli feci vedere la casa perché fummo immediatamente impegnati a baciarci appassionatamente, a cercare a senso la camera dei miei genitori scorgendo il letto matrimoniale con la coda dell'occhio, a liberarci dei vestiti zuppi di pioggia, che s'erano fatti improvvisamente pesanti.
Quale soddisfazione provai nel disfare le coperte del talamo nuziale dei miei, immaginando l'espressione scioccata di mia madre, quanto godimento nel buttarmi su quelle due piazze, sprofondarci mentre Leonardo mi veniva appresso, sopra, sotto e infine dentro, come se ci dovessimo urgentemente liberare di tutti i vincoli che ci eravamo tacitamente posti e imposti.
Dopodiché, sazi e ansimanti, ci rilassammo sfiniti.
<< Leti? >> fece lui.
<< Sì? >> chiesi.
<< Vuoi metterti con me? >> propose.
Prima che potessi aprire bocca, una folata di vento aprì i vetri della finestra della camera dei miei, separando le persiane socchiuse a libretto e scostando le tende mentre all'interno entrava l'aria fresca della pioggia.
<< Sì, Leo. Lo voglio immensamente! >> esclamai girandomi verso di lui e baciandolo con passione.
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