Capitolo 37

La mattina successiva, a svegliarmi fu un rumore brusco, di qualcosa che cadeva per terra; forse era caduto qualcosa a qualcuno della mia famiglia, in cucina o in camera da pranzo, oppure mia madre in uno sfogo di rabbia aveva sbattuto a terra e frantumato qualche suppellettile. Tutto poteva essere, finché non fossi uscita dalla mia stanza: da quando erano usciti di quadri della maturità la tensione era crollata, e mi svegliavo tardi tutte le mattine, alle dieci e anche più in là.
Stavo per alzarmi dal letto, quando Dario si precipitò nella mia stanza senza bussare.
<< Leti, è successo un casino... >> esordì trafelato, con una voce che andava facendosi scura, ma che ancora non era da uomo.
<< Quale casino? È legato ai rumori che sento? >> domandai.
<< È il signor Giulio che si è incazzato perché Emma è sparita, e quindi sta scaraventando tutta la sua roba per le scale >> spiegò.
Ma io mi bloccai alla metà della frase, precisamente alle parole Emma è sparita.
<< In che senso Emma è sparita? >> chiesi perciò.
<< Nel senso che durante la notte deve aver fatto le valigie e si è data, senza che nessuno se ne accorgesse >> rispose mio fratello.
<< Non è possibile. Non mi sono accorta di niente >> replicai.
<< E cosa ne potevi sapere tu? L'amica tua è sempre stata una matta. Ma adesso andiamo a vedere se si è sbollentato il signor Giulio, anche se penso proprio di no... >> ribatté.
Non mi preoccupai troppo di ricompormi e lo seguii.

                                      ***

Quando fummo tutti sul pianerottolo, mi accorsi che non ci eravamo affacciati solo noi Finelli, ma anche il resto dei condomini dal pianoterra al decimo piano, incuriositi da un simile casino: non era la prima volta che Ferranti alzava la voce sulle scale, ma questa volta era veramente sconvolto perché Emma aveva commesso l'irreparabile, scappando di nascosto e chissà dove.
Sparpagliati sui gradini c'erano mobili e soprammobili appartenuti alla figlia maggiore; alcuni si erano fermati, altri continuavano a rotolare giù.
<< 'Sta stronza, piezz' 'e merda, m'ha 'a fa' ascì pazz'... >> urlava il fioraio fuori di sé.
<< Giulio, vieni dentro che ci guardano tutti... >> lo pregava la moglie.
<< Ma che cazz' me ne fott', Amà? L'hann' 'a sapè tutt quant ca' figlieta è 'na stronza 'e merda! >> continuava il signor Giulio incazzato nero.
<< Ma magari poi torna... >> commentò Beatrice, che aveva raggiunto i genitori sul pianerottolo insieme a Marta.
<< O ci scrive una cartolina... >> ipotizzò quest'ultima.
<< C'hanno ragione loro, Giù... >> le appoggiò la signora Amanda.
<< Ma qua' raggione, Amà? Chilla nun 'a turnà chiù dind 'a sta casa, nun 'a voje verè chiù! >> le zittì il capofamiglia, buttando giù i mobili rimasti con ancora più veemenza.
Tanto sarebbero stati o Raoul o la signora Agata a sgomberare le scale.

                                     ***

I giorni successivi alla fuga di Emma furono l'inferno. Il pregiudizio, le chiacchiere, la brutalità.
I Ferranti non poterono uscire di casa per tre giorni, tale era la vergogna per quella figlia e sorella pazza e scapestrata che aveva tolto loro il sonno e la reputazione; ci vollero mia madre, Rinaldo Martini e Rosa Leonardi per mettere fine ai pettegolezzi, coi metodi spicci che li caratterizzavano.
Giulio, Amanda, Beatrice e Marta tornarono a respirare: nessuno parlò più di Emma, almeno apertamente, come se fosse morta o peggio, come se non fosse mai esistita.
Tuttavia il senso di colpa per non essermi accorta della sua insofferenza verso il Quartiere continuava a tormentarmi come se solo io al mondo potessi immaginare che avesse pianificato ogni dettaglio, e che la sua sparizione non fosse definitiva; infatti, nonostante la sua fuga mi avesse spiazzata, una parte di me sapeva che in qualche modo Emma si sarebbe fatta viva; così passai quei giorni e i successivi attaccata al cellulare ma tenendo d'occhio anche gli altri apparecchi telefonici del Quartiere, scartandoli poi ad uno ad uno: quello dei Ferranti era da escludere subito, quello dei miei era sconsigliabile, se avesse risposto mia madre avrebbe fatto la spia al signor Giulio, che sarebbe andato a riprendersi la figlia maggiore ovunque si trovasse; col passare dei giorni scartai anche il telefono del bar Martini, quello della canonica di Don Fernando e la cabina telefonica nella piazza principale; Emma non aveva alcuna intenzione di farsi scoprire così facilmente, così tornai a concentrarmi sul mio cellulare: probabilmente avrebbe chiamato lì.
E poi una mattina sentii degli squilli e d'istinto mi precipitai in balcone per rispondere.
<< Pronto? >> domandai subito.
Dall'altra parte provenne soltanto un sospiro: nervoso, agitato, di chi ha fretta.
<< Emma, sei tu? >> feci allora, anche se non avevo dubbi che fosse lei.
In risposta ebbi un secondo sospiro: questa volta mi parve umido, e salato.
Forse stava piangendo, o forse era solo una mia impressione.
Poi, dopo pochi secondi, riattaccò.
Feci lo stesso, cercando subito il numero tra le chiamate ricevute: cominciava con +00, il prefisso del Regno Unito.
Emma era a Londra, non c'era altra spiegazione: sognava la capitale inglese da sempre, ci aveva anche fatto la tesina, poteva trovarsi solo lì.

                                      ***

Non avevo la più pallida idea di come gestire quella mia scoperta, anche se era al momento solo una deduzione: mi sentivo complice della carognata di Emma nei confronti della sua stessa famiglia e di tutti noi, ma allo stesso tempo anche custode di un grande e preziosissimo segreto.
Cercai perciò di non dare troppo nell'occhio, di apparire più calma possibile: concentrarmi sui test d'ingresso alla facoltà di Lettere, questo dovevo fare.
Perciò decisi di prepararmi a quella prova nella pace e nel silenzio della biblioteca della scuola del Quartiere, ma mentre mi dirigevo lì, una domanda inconfondibile espressa da una voce ancora più inconfondibile mi paralizzò in mezzo al tragitto.
<< Dov'è? >> era Gabriele, e stava esattamente dietro di me. Mi girai nella sua direzione.
<< Gabriele... >> lo salutai facendo finta di niente.
<< Rispondi, Leti. Dov'è? >> insistette.
<< Dov'è chi? >> ribattei.
<< Come chi? Emma... Ti ho vista in balcone rispondere a una chiamata! >> replicò.
Ero una deficiente, dovevo spalleggiarla a prescindere, anche se non sapevo che cazzo avesse combinato, e invece mi ero fatta sgamare subito. Da Gabriele, per giunta.
<< Non lo so dov'è. Non ha nemmeno parlato. Ha solo sospirato, due volte >> dissi.
<< Vabbè, ok. Ma sarà comparso un prefisso, accanto al suo numero di cellulare? Una maniera minima per identificarla, almeno... >> continuò.
Sì che era comparso. E sapevo anche a che Paese fosse riferito. Ma non volevo dirglielo, un po' perché non me la sentivo di tradire Emma e un po' perché avevo sempre temuto evoluzioni del suo legàme con Gabriele.
<< Ah, boh... >> commentai facendo spallucce. Ma non gli bastò.
<< "Ah boh" un cazzo, Leti. Fammi vedere quel prefisso, prima che io ti strappi di mano il telefono con la forza >> minacciò.
Gli consegnai l'apparecchio come si consegnano gli effetti personali quando si entra in carcere.
Lui guardò il display con lo sguardo allucinato, poi i suoi occhi azzurri si spalancarono quando trovò quello che cercava.
<< Sta nel Regno Unito... Come ho fatto a non pensarci? Lei ne parlava sempre... >> dichiarò, ridandomi il telefono e voltandomi le spalle, correndo via. Lo seguii.
<< Che vuoi fare? >> gli chiesi perciò.
Si fermò, voltandosi verso di me.
<< Vado a riprenderla e la riporto a casa. Questa storia è durata pure troppo... >> sostenne.
<< Ma come te lo compri il biglietto dell'andata? E quello del ritorno? Non c'hai una lira... >> gli ricordai.
Avrei impedito quella follia con tutte le forze. Non doveva andare da lei.
<< Ho i miei risparmi. Sono un bel po'. Vedrai che appena rimetto piede qui insieme ad Emma mi ringrazierete tutti >> concluse, lasciandomi da sola in mezzo alla strada, sotto il sole di metà luglio.
Non sapevo se sperare che tornasse con lei, o che Emma si rifiutasse di tornare, e che Gabriele rimettesse piede in Italia e nel Quartiere da solo.

                                     ***

La notizia non si limitò a restare nei confini della nostra zona, ma li varcò, arrivando fino al Villaggio: il giorno successivo alla fuga di Emma, Rocco venne a suonare alla mia porta.
<< Ti prego, dimmi che tornerà... >> esordì sull'uscio.
<< Gabriele Altieri è partito per riportarla a casa. Ma non so se ci riuscirà >> risposi.
<< Beh, spero che ci riesca. Cazzo, non mi ha detto niente! È sparita da un giorno all'altro... >> si lamentò.
<< Non ha detto niente a nessuno >> specificai.
<< Ma non ha lasciato trapelare niente? >> insistette.
<< Se avesse lasciato trapelare qualcosa, suo padre avrebbe intercettato tutto il suo piano e lo avrebbe stroncato sul nascere. Lo conosci, il signor Giulio... >> commentai.
<< Povero cristo, chissà che colpo che gli è preso. E alla signora Amanda, per non parlare delle ragazze... >> sospirò.
<< Il signor Giulio ha buttato i mobili e i soprammobili di Emma per le scale, li ha dovuti levare la signora Agata subito dopo, rischiando cocci e schegge... >> raccontai.
<< Non me la doveva fare questa, l'amica tua. Mi ha tagliato fuori dal suo futuro, però come se li prendeva, i miei regali... >> affermò amareggiato.
<< Quando torna ci parlo io. La faccio ragionare, gli dico che ci è preso un colpo a tutti. Al padre, alla madre. A Bea che non è andata al lavoro per tre giorni. A Marta, che a quattordici anni dovrebbe sbocciare e invece s'è dovuta nascondere come una ladra dalla vergogna. Vedrai come gliela faccio una ramanzina quando torna, mica no... >> promisi, rimanendo incredula delle stesse parole che mi uscivano dalla bocca. Io, che speravo in un ritorno delle sue aspirazioni di libertà nel periodo in cui si atteggiava a matrona di periferia, all'improvviso le auguravo di tornarsene nel suo angolo con la coda fra le gambe. Mi contraddicevo.
Ma era perché Rocco mi metteva l'ansia: in quegli anni aveva avuto una grandissima pazienza con Emma, ma se questa sua pazienza fosse finita, sicuramente non avrebbe esitato a usare il pugno di ferro; probabilmente le avrebbe messo alle calcagna i suoi bodyguard, Luca Esposito e Andrea Licata, pure per andare al cesso.
Avevamo tanto lottato per essere libere fino alla maggiore età: virare verso l'estremo opposto, verso la docilità e la sottomissione, sarebbe stata una contraddizione in termini.

                                     ***

Diventai un vero e proprio centralino, visto che, dopo Rocco, anche Sonia venne a reclamare per la scomparsa di Emma.
<< Che ti avevo detto? Mi voleva scaricare... >> esordì incazzata nera.
<< Guarda che Gabriele è andato a riprendersela a Londra, sicuramente darà le sue spiegazioni... >> cercai di rassicurarla.
<< Leti, tu lo sai quanto ci abbiamo lavorato al nostro business di vestiti. È vero, Emma è il genio di noi due, quella che ha il guizzo, l'idea fulminante, io maneggio solo le stoffe, ma tutto sommato siamo sempre state una squadra... Cosa ho fatto di sbagliato? Anzi no: mi ha mai considerato realmente sua amica? >> sbottò. Mi faceva pena. Mi facevano pena tutti quelli che avevano avuto a che fare con lei: li aveva resi importanti, fondamentali, e adesso sembrava che si fosse solo servita di loro, e che li avesse gettati via dopo l'uso. Forse l'aveva fatto anche con me, anche se essersi - seppur brevemente - manifestata con quella pseudo-telefonata mi elevava al ruolo di persona più importante della sua vita, l'unica di cui si potesse fidare.
<< Questo mi pare esagerato. Magari voleva semplicemente fare qualcosa di eclatante. Un atto di ribellione nei confronti dei suoi. Avrai imparato a conoscerli >> ribattei.
Più che convincere gli altri che Emma era scappata per essere in rotta con suo padre, stavo cercando di convincere me stessa: mi sembrava l'unica spiegazione con un senso logico, qualsiasi altra ipotesi mi pareva assurda o ridicola.
<< Spero che Gabriele la riporti a casa. Così mi sente... >> giurò la Verdini.
<< Lo immagino. Dovrà sentire tanta gente >> sospirai.
Non vedevo l'ora che Gabriele tornasse da Londra, con o senza Emma: quell'attesa mi distruggeva, la domande degli altri ancora di più.

                                      ***

Gabriele tornò due giorni dopo. Da solo.
Aveva una faccia lunga e la voglia di non fornire spiegazioni, così dovetti piantonarlo.
<< Perché non è con te? >> gli chiesi subito.
<< E me lo domandi? La conosci meglio di me, forse lo sapevi che non sarei riuscito a riportarla a Roma >> rispose.
<< Adesso sei ingiusto. Io lo speravo, che tornassi insieme a lei. Hai idea di che giorni infernali ho passato, mentre tu eri via? Sono venuti Rocco, Sonia, erano incazzati neri, si sentivano traditi da Emma e pretendevano da me una verità che nemmeno so per intero... >> replicai.
<< Forse vuole solo essere lasciata in pace. Fare la sua vita. E nel Quartiere non avrebbe mai potuto. Non con suo padre che la confinava al banco, almeno >> immaginò.
<< Poteva farlo anche senza scappare. Io l'ho affrontata, mia madre, quando ho deciso di fare l'università >> gli ricordai.
<< Che c'entra, tu sei diversa. I soprannomi che vi hanno dato qui non sono stati messi a caso. Le ginestre crescono nei luoghi desertici, sfidando la lava dei vulcani. I girasoli devono seguire il corso del Sole. Non ce la fanno a stare fermi >> mi fece presente.
E a quell'affermazione non ebbi argomenti per controbattere: aveva detto la verità; ero sempre stata io quella costante. Emma invece partiva sempre per la tangente, ogni tanto aveva in mente qualcosa di cui però si si stufava quasi subito.
Ci controbilanciavamo: essere da sempre così opposte, due facce della stessa medaglia, ci dava la possibilità di compensarci, di smussare i rispettivi spigoli.
Eravamo la ginestra e il girasole. Emma e Letizia, Letizia ed Emma.
Adesso ero solo Letizia: dovevo smetterla di pensare come se fossi la metà di qualcosa, e cominciare a vivere per me.

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