Capitolo 36
Ovviamente in famiglia non presero bene la notizia della mia rottura con Annibale: la sera in cui lo comunicai c'erano Simona e Orlando ospiti a cena, e come da copione lei e la mamma fecero a gara per mortificarmi, dicendo che solo una scema poteva farsi scappare un partito d'oro come il secondogenito degli Zanoni, per fortuna c'erano mio padre e mio cognato che parlarono in mia difesa, facendo virare la conversazione sui miei imminenti esami di maturità e su quelli di terza media di Dario; le due arpie così cominciarono a lodare mio fratello perché anche lui, secondo loro, decidendo di fermarsi lì con lo studio aveva fatto una scelta intelligente, altro che me e le mie follie universitarie, così le definivano.
Almeno Orlando, prima di andare via, si scusò con me per i commenti al vetriolo della moglie.
<< Leti, non ci devi fare troppo caso a quello che dice Simona. La conosci... >> commentò.
<< Da diciotto anni... >> sospirai.
<< Comunque io lo sapevo dai tempi della scuola che saresti andata lontano... Brava Leti. Continua a studiare, e di' anche ad Emma di farlo >> mi augurò.
Non c'era niente da fare, nonostante avesse sposato mia sorella, sotto sotto era ancora preso da Emma, ma si guardava bene dall'esprimerlo.
Quel suo interesse esattamente cinque anni prima mi aveva mortificata, ma ormai non ci pensavo più.
***
Pensavo, piuttosto, a come sarebbe stato strutturato l'esame da noi al classico, e da Emma all'artistico: in comune avremmo avuto il tema e il quiz multidisciplinare, di diverso la seconda prova, che sarebbe consistita da noi in una versione di latino, da loro in un disegno in prospettiva.
Cominciai a riprendere l'abitudine di studiare nella biblioteca dell'unica scuola del Quartiere, come avevo fatto per prendere la licenza media; sapevo che mia madre non avrebbe fatto nulla per garantirmi la pace necessaria per ripassare in vista delle tre prove scritte e di quella orale.
Cercavo faticosamente di tenere sui libri anche Emma, visto che cercava sempre un pretesto per chiuderli e pensare ad altro: era straordinariamente intelligente e profittevole quando si applicava, e mi sarei incazzata come una bestia se l'avessero bocciata per futili motivi.
Le ricordavo che sicuramente, con il fatto che avrebbe ottenuto il diploma della scuola superiore, lei e Rocco avrebbero avuto più possibilità di fare una vita importante; Emma mi rispondeva che la vita importante Rocco la faceva ugualmente pur essendosi fermato alla terza media, ma che comunque il diploma dell'artistico le sarebbe servito per diventare una famosa garden designer.
Era come quando, per spronare un asino ad andare avanti con tutto il peso in groppa, il contadino gli metteva sotto il naso una carota, stimolandolo a proseguire: lo tenni per me, visto che Emma, sentendosi paragonare ad un asino, mi avrebbe sicuramente mandata a fanculo.
***
Alla prima prova uscirono quattro tracce: analisi di un testo, saggio breve, traccia storica, tema di argomento generale; io scelsi il saggio breve, in particolare sentii a me vicino l'argomento che si intitolava "L'Italia da terra di migranti a terra d'immigrati". I miei genitori e gli altri miei parenti da entrambe le parti avevano lasciato il nostro Paese quando erano molto giovani per cercare fortuna in luoghi dove il benessere e la ricchezza, all'epoca dei fatti, erano di gran lunga superiori: gli Stati Uniti, la famiglia di mio padre; la Germania, quella di mia madre; ma non parlai solo di migrazione esterna degli italiani all'estero, ma anche dei cittadini del Sud verso le città del Nord, o comunque anche del Centro: il Quartiere era l'esempio vivente di una massa di gente delle provenienze più disparate, che s'era accontentata di vivere ammassata in complessi abitativi di edilizia popolare e selvaggia, a rischiare la vita tra i ladri e gli spacciatori, dove il lecito non si differenziava molto dall'illecito, solo perché a casa sua stava peggio.
E la stessa cosa accadeva agli abitanti dei Paesi poveri dell'Africa e dell'Asia, che negli ultimi dieci anni avevano trovato rifugio dalle nostre parti, magari anche loro scappavano da una situazione di merda, forse provenivano da piccoli villaggi sperduti o da megalopoli cresciute smodatamente, con tanti Quartieri marginali e dimenticati come il nostro, e gli sembravano a confronto una fetta di paradiso i casermoni, il Viale dei morti ammazzati, il parco della discarica e i palazzi incompleti tutt'intorno, credendo di vivere ormai nel lusso mentre in realtà non avevamo neanche gli occhi per piangere.
Quando consegnai l'elaborato ringraziai il cielo che sarebbe stato letto da gente colta ed estranea al Quartiere; probabilmente parole così obiettive e critiche alle orecchie degli autoctoni mi sarebbero valse un colpo ben mirato, fatto passare per una pallottola vagante.
***
La seconda invece fu una versione di latino, tratta dal De architectura di Vitruvio: tradurre dei versi su un metodo di costruzione così lineare e preciso com'era quello degli Antichi Romani lo percepivo come uno sfottò, se pensavo che duemila anni dopo erano venuti fuori luoghi come il Quartiere, il Villaggio, il Rifugio e tutte le altre zone volute da architetti idealisti ma costruite da speculatori edilizi - o palazzinari, come si definiscono in gergo - per poi essere state talmente abbandonate a loro stesse da far pensare che forse Carlo Levi s'era sbagliato, che Cristo non si fosse fermato a Eboli, ma prima, a Roma Est.
Tuttavia ricacciai indietro l'indignazione, concentrandomi sui verbi, sulle declinazioni, sulle coniugazioni, sulla consecutio temporum, sui complementi e sui periodi, tentando di fare una traduzione letterale ma non brutta come ci avevano sempre insegnato dalla quarta ginnasio.
Quel pomeriggio chiesi ad Emma che argomento aveva scelto, tra quelli disponibili, per la seconda prova della maturità artistica: lei mi raccontò che aveva scelto il tema dell'architettura, e che nella traccia dell'elaborato le era stato chiesto di illustrare un'immaginaria stazione da dove partivano e arrivavano delle linee extraurbane che collegavano la città con i luoghi più fuori mano, con tutti i servizi essenziali come la biglietteria e il punto di ristoro; mi disse che ci aveva messo talmente tanti particolari e così benfatti da renderlo veramente un posto bellissimo e idilliaco, anche se si trattava solo di una stazione.
***
Il giorno in cui ci fu il quiz multidisciplinare, all'uscita da scuola Emma mi fece una proposta: quella di andare a sentire il responso sugli orali dalla Zingaredda.
Io la guardai strano.
<< Ma sei scema? Vuoi mettere la tua prova orale nelle mani di una fattucchiera? >> domandai.
<< Gilda ci ha messo la sua vita coniugale, qualche anno fa... >> mi ricordò.
<< Che c'entra... Gilda è una credulona, e pure poco istruita. A noi mica servono queste stronzate, basta l'impegno! >> replicai.
E invece di controbattere, stette un attimo in silenzio.
<< Il responso è una scusa. Ho visto un viavai strano a casa sua, da qualche tempo >> ammise.
<< Un viavai strano? >> chiesi.
<< Sì, e c'entrano i giri di Pino O' Serpente, sembra quasi che accompagni qualcuno dalla Zingaredda, qualcuno che non deve essere scoperto... >> rispose.
<< Pino O' Serpente è il braccio destro di Don Domenico Esposito, il padre di Caterina... >> constatai. Poi feci scattare lo sguardo verso di lei.
<< Non è possibile... >> aggiunsi velocemente.
<< E invece pare di sì. Quei due sono amanti, e io voglio verificarlo >> decise Emma.
Fu inutile tentare di farle cambiare idea, cosicché quel pomeriggio mi coinvolse in un assurdo pedinamento nell'androne delle scale del casermone di fronte al nostro: ci nascondemmo nel sottoscala, per non farci vedere da Renata Caruso, ma lasciammo uno spiraglio di porta aperto così da non perderci nulla di quello strano gossip di Quartiere.
Vedemmo Pino O' Serpente avanzare per primo, seguito da un uomo alto e robusto, coi capelli scuri e pettinati, la barba curata e grossi occhiali da sole che ne oscuravano gli occhi.
<< Issa v'aspett, Don Domè >> dichiarò O' Serpente, e con quella frase gli dava il via libera per accedere all'appartamento della sua amante.
Quando fummo sicure che non ci fosse più nessuno sul pianerottolo del pianoterra, sgattaiolammo fuori velocemente.
<< Però, hai capito il vedovo inconsolabile? >> commentò divertita.
<< Saranno cazzi suoi quello che fa nel privato... L'importante è che non lo sappia Caterina... Perché tu non te lo lascerai sfuggire, giusto? >> mi volli sincerare.
Emma sorrise furbamente.
<< Guarda che non sono una spia >> mi assicurò.
***
Non parlammo a nessuno di ciò che avevamo visto, un po' perché nessuno si sarebbe mai sognato di spettegolare così alla luce del Sole su un pezzo grosso come Don Domenico, un po' perché mi dava l'ennesima prova del maschilismo imperante nel Quartiere, dove una donna, per essere rispettata e temuta, o doveva essere sposata, o doveva diventare l'amante di un uomo ricco e facoltoso; la cosa era resa ancora più raccapricciante dalla constatazione che fossimo nel 2000: anche quell'anno l'8 marzo, come tutti gli anni, mi avevano regalato, in quanto femmina, una mimosa, ma era come sempre priva di significato, in un mondo come il nostro.
Questo era ciò che pensavo io, ma credevo che l'opinione di Emma non si discostasse molto dalla mia, anche se era difficile, alle volte impossibile decifrare cosa le passasse davvero per la testa.
Che predicasse bene e razzolasse male era un dato di fatto: parlava di autonomia ma voleva un marito ricco, gridava al femminismo ma agghindata dei regali comprati coi soldi sudici di Rocco.
Tuttavia ero sicura che la scoperta della relazione tra Don Domenico e la Zingaredda avesse smosso qualcosa, dentro di lei, facendo breccia in quel muro di materialismo che si era costruita intorno da quando aveva cinque anni e portandola a rendersi conto, finalmente, che la luce di una donna poteva brillare in funzione di sé stessa, e non per forza in funzione di un uomo, marito, padre o fratello che fosse; forse il tema scelto per la sua seconda prova, l'immaginaria stazione dotata di tutti i servizi, aveva smosso in lei un processo di coscienza di potercela fare anche da sola, che la scoperta di quegli incontri clandestini aveva solo confermato.
Ma Emma sapeva essere indecifrabile, quando ci si impegnava, e quello che aveva realmente nella testa o nel cuore si poteva indovinare solo parzialmente.
***
Cercai di capire se avevo ragione durante i giorni di stesura delle nostre rispettive tesine, che avremmo esposto per i primi quindici minuti della prova orale: facevamo su e giù dalla biblioteca della scuola, per trovare degli spunti buoni ai temi che avremmo portato; io scelsi di incentrare la mia sul ruolo dell'istruzione, lei sulla libertà dei costumi e la cosa non mi stupì.
Oltretutto ci mise la metà di me a scegliere il titolo adatto: Libertà dei costumi nei secoli e nel mondo - Il ruolo dell'Inghilterra nella diffusione della modernità.
Ad Emma erano sempre piaciuti i paesi anglosassoni, con una particolare predilezione per Londra, dove un giorno avrebbe voluto abitare: lì la gente strana era la normalità, e questo sarebbe stato per lei più che una terra promessa.
Ci si dedicò talmente anima e corpo che sicuramente avrebbe preso il massimo punteggio, forse l'unica prova in cui avrebbe veramente brillato - infatti non s'era impegnata granché sul tema e sul quiz multidisciplinare, prendendo 14/15 solo alla seconda prova.
Immaginavo che non sarebbe riuscita a prendere 100/100, non sapevo nemmeno se ci sarei riuscita io: fino ad allora, gli unici ad uscire col massimo dei voti erano stati Laura Martini e Antonio Leonardi, nemmeno Gabriele era riuscito ad eguagliarli; ma comunque vederla animata da qualcosa di più idealistico dei pensieri che aveva formulato nell'ultimo anno mi rassicurava, mi aiutava a credere che non ero da sola nella battaglia contro l'omologazione all'ambiente che ci circondava da sempre.
***
Furono Gabriele e Mario ad accompagnarci a scuola, il giorno degli orali.
Emma già lo sapeva, me lo disse proprio quella mattina.
<< E tu come mai lo sapevi? >> le chiesi.
<< Non lo sapevo, semplicemente lo intuivo. Insomma, le nostre famiglie nemmeno si scomodano per noi se si tratta di studio, tu ti sei lasciata con Annibale e uno come Rocco nemmeno lo fanno entrare, perciò eccoti spiegata la presenza di Gabriele, mentre Mario viene per Caterina >> mi rispose.
A me non dispiaceva essere accompagnata da loro, nonostante i trascorsi abbastanza oscuri tra Emma e Gabriele, insieme ai fratelli Altieri avevamo passato le nostre ore più felici.
Prima che mi chiamassero Gabriele mi diede un sacco di dritte, visto che lui già c'era passato.
<< Occhio alla posizione dell'inglese nell'ordine delle materie: deve essere primo o ultimo, altrimenti a cambiare lingua nel bel mezzo del discorso ci si intrippa >> mi consigliò.
<< E per la lettura in metrica? Sono così puntigliosi? >> volli sapere.
<< Ma no, se sei sempre andata bene sarà una passeggiata. E tu sei sempre bravissima, quindi non dovresti avere problemi >> mi rassicurò.
E col cuore gonfio di gioia per quel suo complimenti - nonostante tutto non mi era mai sceso da lì - andai incontro al mio destino e conseguii una prova orale eccellente.
Quando ebbi finito, chiesi ad Emma come era andata la sua, di prova orale.
<< Credo che abbiano apprezzato il mio argomento, anche se soprattutto i membri esterni li vedevo leggermente imbarazzati. Secondo me sono bigotti, ancora pieni di tabù >> dichiarò.
Immaginai i membri esterni della commissione della maturità artistica tossire nervosamente e farsi il segno della croce mentre Emma sciorinava loro la realtà dell'amore, del sesso, del modo di porsi e di vestirsi, senza filtri esattamente com'era lei.
Mi venne da ridere al pensiero che si fossero scandalizzati.
***
I quadri con i voti sarebbero usciti all'inizio di luglio, nel frattempo dovevamo aspettare e sperare che le nostre aspettative sugli esiti si realizzassero un minimo.
In quei giorni Emma era intrattabile; non che non fosse nella sua natura, ma lo era più del solito: passava sempre meno tempo in giro per il Quartiere e sempre di più nelle cantine, all'interno del suo laboratorio.
Una volta provai a chiederle che cosa ci facesse mai lì dentro, e perché non mi stesse invitando.
<< Fatti i cazzi tuoi >> fu la risposta.
Pensai che fosse nervosa per la maturità: d'altra parte l'attesa degli esiti dell'esame di Stato avrebbe messo ansia a chiunque, perfino a un monaco tibetano.
Sperai con tutte le forze che si trattasse di quello, che non ci fosse dell'altro.
I miei dubbi furono chiariti il giorno dei quadri: io mi diplomai con 100, Emma se la cavò con un 95; glielo avevo sempre detto che se si fosse impegnata di più avrebbe preso il massimo, ma lei non mi aveva mai dato retta.
<< Mi dispiace se in questi giorni sono stata insopportabile. È che ero stressata per i risultati >> mi disse, mentre eravamo alla pensilina ad aspettare il 105 del ritorno.
<< Non ti preoccupare, l'avevo capito. L'avevamo capito tutti >> la rassicurai, ma più che altro stavo rassicurando me stessa: la fonte della sua ansia erano i risultati degli esami, lo aveva detto chiaramente.
Non tornammo più sull'argomento.
***
Andammo a festeggiare prendendoci quattro birre e un tagliere di finger food al bar Martini, Emma, io e i fratelli Altieri.
Faceva un caldo tremendo, la sera di quel 3 luglio, forse nemmeno scolarsi delle bibite ghiacciate riusciva a placare quell'arsura; e il Sole era pure tramontato.
Non avevamo propriamente l'intenzione di ubriacarci come spugne, almeno non io: Emma, Gabriele e Mario avevano cominciato ad ordinare, oltre alle birre, degli shottini e qualche bottiglia di spumante, diventando via via più brilli, e innalzando i calici per motivi sempre più futili.
<< A Leti, e al fatto che riuscirà a fare l'università! >> esclamò Emma, parecchio ebbra.
<< A Emma e al suo incarico per il matrimonio di Simona e Orlando, che sia il primo di una lunga carriera! >> si aggiunse Gabriele.
Ridevano sguaiatamente, in maniera talmente scomposta da mettermi il nervoso, proprio perché erano le tre persone da cui mi aspettavo un atteggiamento completamente diverso.
Tornammo a casa barcollando, ma quando fummo sole mi accorsi che Emma non era poi così ubriaca: era solo molto allegra, reggeva molto bene l'alcol.
Glielo feci notare.
<< Perché davanti a Gabriele e Mario hai dato l'impressione di essere devastata? >> domandai.
<< È che sono così simpatici, specialmente quando bevono. Quando le persone bevono sono tutte più sincere, lo sai anche tu >> rispose.
<< In vino veritas >> citai, confermando in latino ciò che aveva detto lei.
<< Appunto per questo. Adesso che andiamo verso i vent'anni conosceremo il mondo, quello vero, e sarà tutt'altro che sincero. Dobbiamo circondarci di sincerità... >> affermò, guardandomi negli occhi.
<< Se non sapessi che reggi bene l'alcol direi che sei veramente sbronza, per fare certi discorsi >> commentai ridendo.
<< Sì, forse lo credo anch'io. Comunque ricordati quello che ti ho detto. C'è sempre bisogno di sincerità... Adesso però vado a dormire che mi è venuta sonnolenza. Buonanotte! >> mi salutò, salendo la rampa di scale che la separava da me.
Anch'io misi la chiave nella serratura ed entrai dentro casa.
Mi svestii, mi misi la camicia da notte, mi sdraiai sul letto e pensai allo strano discorso sulla sincerità che mi aveva fatto Emma: ma perché quel flusso di coscienza? E perché quella sera, tutto insieme?
Forse significava che stava crescendo e maturando? O magari qualcosa bolliva in pentola, qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato?
Scivolai nel sonno prima di riuscire a dare una risposta a tutti quegli interrogativi.
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