Capitolo 34

Rimanemmo a Modica per tutto agosto, rientrando in città solo a settembre; mia madre aveva messo in circolo la voce che i Degli Esposti ci avrvano invitato per due mesi e mezzo, e voleva mantenere fede alla versione ufficiale, in modo tale che nessuno sospettasse il nostro cambio di programma vedendoci rientrare che non era nemmeno finito agosto, come capitava da quando avevo cominciato il liceo.
Solo che dopo ciò che mi era successo, tornare alla quotidianità era l'ultima cosa che sentivo potesse riuscirmi: mi sarebbe risultato difficile chiacchierare in cortile con le mie amiche, spiegare ad Emma che se non le avevo risposto non era per maleducazione ma perché non ero più a Corfù da prima della fine di giugno e soprattutto ritornare da Annibale dopo che ero stata tra le braccia di un altro ragazzo e avevo fatto secco - non perché volessi davvero - il figlio di quest'ultimo.
Per cui, dal 2 al 6 settembre a malapena misi il naso fuori dalla mia stanza, costringendo i miei a diffondere la notizia che mi fossi beccata un terribile virus greco, da cui stavo guarendo un minimo ma che ancora non mi lasciava in pace; confidavo nel fatto che, non essendo mai stata la buona parte degli abitanti del Quartiere fuori dai confini dell'Italia, a nessuno sarebbe venuto il sospetto che tale virus fosse una cazzata.

                                     ***

Non avevo tenuto in conto che la prima ed unica a non crederci sarebbe stata proprio Emma: mi venne a trovare il pomeriggio del 6 settembre, verso le sei; l'accolsi che ero in camicia da notte, con i capelli spettinati e poca voglia di avere a che fare col mondo.
Lei invece pareva essere diventata un'altra persona: indossava un abito azzurro polvere con una scollatura a V, le maniche a tre quarti, la gonna sopra il ginocchio e un paio di scarpe di corda con le zeppe alte; i suoi capelli, solitamente sciolti e ingovernabili, erano raccolti in due ciocche tenute insieme da un fermaglio nero; al collo indossava un ciondolo d'oro, dal quale pendevano due lettere: una E e una R. Emma e Rocco. Forse la scarcerazione di lui era prossima, o forse era già uscito: non potevo saperlo, ero stata disconnessa dall'esterno per parecchi giorni.
<< Come mai ti sei vestita così elegante? >> mi venne da chiederle.
<< Mi ha regalato tutto Rocco. È uscito, sai? Il suo avvocato è stato di parola... >> mi raccontò.
Lo immaginavo. Alberto Rossi era un penalista coi controcoglioni, aveva tirato fuori di galera pesci molto più grossi del giovane Piaggi. Chissà se i suoi servigi sarebbero serviti di nuovo: se Rocco spacciava, sicuramente il suo periodo di attuale libertà sarebbe stato breve; sicuramente gli sarebbe bastata una disattenzione per farsi mettere di nuovo dentro.
Ma la cosa che mi inquietava di più era che Emma, pur sapendo benissimo come facesse Rocco ad avere ampie disponibilità di denaro, si faceva andare bene che il suo fidanzato avesse un piede nella legalità e uno nell'illegalità, forte del fatto che nel Quartiere fosse normale essere così, e che nel Villaggio le cose non andassero certo diversamente.
Tuttavia ero troppo presa dal pensiero di ciò che mi era successo a Corfù per preoccuparmi anche della sua condotta scriteriata.
<< Buono, dai... >> bofonchiai perciò.
<< Tu invece non mi hai detto tutto, ne sono convinta. Ti ho mandato una lettera ma tu non mi hai risposto, poi siete tornati qui e i tuoi hanno cominciato a dire che stavi male, che avevi un virus greco. Ma è una cazzata, vero? >> mi affrontò.
Sospirai e la guardai negli occhi: non le si poteva nascondere niente.
<< Ho abortito >> dichiarai.
<< Oddio, Leti... Eri rimasta incinta del  greco? >> si stupì.
<< Sì, di Christos. La passione è stata talmente travolgente che non siamo stati attenti >> confessai.
<< E chi se n'è accorto? >> domandò.
<< Mia madre, ma penso che glielo abbia spifferato Simona >> ammisi.
<< Che stronza >> commentò.
<< Lo so >> concordai.
<< Ma sei andata in ospedale? >> chiese poi.
<< No, sono andata da una mammana, che somigliava molto alla Zingaredda. Mi ha fatto bere un liquido strano che mi ha fatto avere forti dolori di pancia, poi ho pisciato sangue. Poi quando sono stata in grado di reggermi in piedi siamo partiti per Modica >> risposi.
<< Cazzo. Non pensavo che sarebbe successa a te, questa cosa. Sei sempre stata la più assennata, quella che non fa colpi di testa >> osservò.
<< Non sono assennata. Sono solo cretina. Non so come riuscirò a guardare in faccia Annibale >> replicai.
<< Ovvio che ce la farai. E sfoggerai il migliore dei tuoi sorrisi. Finché non sa niente, non sarà successo niente >> decretò.
Avrei voluto dirle che non ce la facevo ad avere il suo pragmatismo, che io quel bambino ancora me lo sognavo, che somigliava di volta in volta a tre ragazzi diversi.
Ma tacqui, pensando che forse aveva ragione lei.
Finché un segreto non viene rivelato, è come se non esistesse.

                                      ***

Il giorno successivo, motivata da quella conversazione, tornai a mettere il naso fuori di casa.
Non fu affatto facile: quando la vita torna a scorrerti nelle vene, dopo aver  girato a largo per un po' di tempo come se non fosse stata tua, tutto quello che è sempre stato normale - gli amici, l'amore, la quotidianità - ti sembra quasi un'onta di cui vergognarti e da tenere nascosta agli occhi del mondo.
Ma non potevo stare per sempre nella mia stanza a rimuginare su quello che era accaduto a Corfù, per cui mi diressi in piazza, dove i miei amici avevano ripreso a lavorare da dopo il rientro dalle vacanze estive.
La prima persona che mi venne incontro fu Diana: era da dopo la terza media che lavorava nella nostra pizzeria; insieme ad Emma, era una delle mie amiche con cui passavo più tempo: condividevamo i ritmi massacranti del servire ai tavoli e prendevamo in giro i clienti più ridicoli.
Era una brava ragazza, seria e lavoratrice, ma soprattutto non era perennemente incazzata col mondo come Emma: non aveva il suo carattere, la sua intelligenza e la sua lucidità, ma almeno ci si poteva parlare senza finire a scannarsi.
E per me, che lo scannatoio ce l'avevo in casa, era una qualità che non aveva prezzo.
<< Leti, ma che bello vedere che stai meglio! >> esclamò, vedendomi arrivare.
<< Ciao, Dià >> risposi. Ci abbracciammo.
<< Ma come ti sei dimagrita... 'Sto virus greco doveva essere brutto... >> osservò. Ci aveva creduto alla storia messa in circolo da mia madre, ci avevano creduto tutti.
<< Mi ha preso all'intestino. Ho vomitato pure l'anima >> l'assecondai perciò.
<< Comunque sono contenta che ti sei rimessa. Tua madre è intrattabile, da quando sembra tirare aria di matrimonio tra tua sorella e Orlando preme per affrettare le cose. È una fortuna che nessuno ha  scapocciato >> mi raccontò.
Le cose tra Simona e Orlando stavano diventando serie, nei loro piani sembravano esserci davvero i fiori d'arancio; se non avesse chiesto il divorzio dopo un mese di matrimonio, il primogenito dei Floris avrebbe davvero meritato una medaglia al valore.
<< Non è stata ancora decisa una data >> confidai.
<< Non ancora, ma presto scapperà fuori, te lo dico io. Ho visto i tuoi parlare col signor Giulio, penso vogliano le sue composizioni >> commentò.
<< Gilda ha preferito quelle di Emma, alle sue nozze >> ricordai.
La mia amica s'era buttata a capofitto in quell'incarico perché le era stata lasciata carta bianca per esprimere il suo estro; adesso che i miei s'erano accordati con suo padre, sarebbe stato per lei un affronto attenersi alle sue direttive. Probabilmente l'avrebbe accannato, lasciando lui e Beatrice da soli.
<< Sì, ma Simona ed Emma non sono mai andate d'accordo, e difficilmente si affiderà a lei e alla sua creatività. Vedrai che faranno tutto il signor Giulio e Beatrice >> immaginò.
E sebbene avessi cercato di parlare in difesa di Emma, una parte di me dava ragione a Diana: ultimamente la mia amica non aveva l'aria di chi si spaccava la schiena tra piante e fiori, maneggiando cesoie e diserbanti, scacciando parassiti e insetti.
A dire il vero, in quel momento nemmeno stava dietro il banco.

                                     ***

Continuammo a camminare fino al negozio di scarpe dei Durante, dove Gilda dava una mano ai genitori durante la mattina: il pomeriggio lo passava tra il supermercato degli Zanoni e l'obbligo al riposo da parte di entrambe le famiglie, visto che era al settimo mese di gravidanza.
Tirai un sospiro di sollievo: meno male che a Diana era venuto in mente di andare a trovare la nostra amica sposata di mattina; non avevo il coraggio di andare da Annibale: lui credeva che mi stessi ancora riprendendo dal virus greco, la sua buona fede mi faceva sentire ancora più in colpa per averlo tradito.
<< Ciao, Gi'! >> esordì Diana. La diretta interessata ci venne incontro, sorridendo come tutte le donne in stato interessante che alternano momenti di rodimento di culo a momenti di pace col mondo: in quell'istante era palesemente nella seconda situazione.
<< Ragazze, che piacere! E tu, Leti, ti sei ripresa? >> fece Gilda, rivolgendosi specialmente a me.
<< Sì, sto meglio. Sono ancora un po' debole, ma va tutto bene >> risposi.
<< Dovrai stare più in forma che mai nei prossimi mesi, visto che sicuramente tua sorella e Orlando si sposeranno entro la fine del 1999 >> commentò la Durante.
<< Se Orlando resiste >> osservai.
<< Ma sicuramente resisterà. Difficilmente tua madre si farà scappare un buon partito come il primogenito dei Floris per la sua figlia maggiore >> affermò Gilda.
Non aveva tutti i torti: pur di garantire un buon piazzamento alla sua figlia prediletta, mia madre l'avrebbe costretta a calmarsi, a diventare addirittura mansueta.
<< Stavamo parlando delle decorazioni, mentre venivamo da te. Secondo me se ne occuperanno più il signor Giulio e Bea, che Emma... >> riferì Diana.
<< Quando si degna di mostrarsi al banco e in piazza... Da quando Rocco è uscito di prigione passa più tempo a fare la signora ingioiellata sulla decappottabile di lui, che da queste parti... L'avvocato di Rocco è anche andato dai Ferranti, dice che vuole fare una proposta di lavoro a Bea... >> raccontò la moglie di Attilio.
<< Ma veramente? E quale? >> domandai. Emma non me ne aveva fatto menzione. In quei quattro giorni d'isolamento mi ero persa un sacco di capitoli.
<< Segretaria nel suo studio. Bella presenza e modi garbati. La bella presenza ce l'ha, i modi garbati sicuramente più della sorella >> ribatté la Moretti. Emma prendeva sempre in giro Beatrice per questo, le dava della gattamorta e tappetino, diceva che quelle come lei non meritavano nemmeno di essere chiamate donne.
<< Già, s'è presentato alla porta dei Ferranti in persona, ieri pomeriggio sul tardi. Il signor Giulio aveva un sorriso a trentadue denti, dalla contentezza ha chiesto alla moglie di fare la braciolata per cena. Ha trattato bene perfino Emma >> sottolineò Gilda.
Per la prima volta nella sua vita, Giulio Ferranti poteva definirsi fiero di sua figlia, visto che era grazie a lei se l'avvocato Rossi era entrato in contatto con loro; tornò a galla nella mia mente il ricordo di quando parlavamo del potere dei soldi di cambiare le persone, a cinque/sei anni nel cortile della scuola.
<< Emma gli darà altri problemi, visto che ha cominciato a manifestare la voglia di fare la signora >> sostenne Diana.
Non vedevo l'ora che quel nostro incontro finisse: ero stanca di tutti quei pettegolezzi, avevo solo voglia di andare da Emma e ascoltare la sua versione dei fatti.

                                     ***

Mentre mi dirigevo a casa Ferranti per parlarle, per poco non andai a sbattere contro Annibale.
<< Amore! >> esclamò.
<< Ehi... >> feci, in tono imbarazzato. Non avevo ancora avuto il coraggio di incontrarlo, me ne vergognavo, ripensavo a Christos e mi sentivo ancora di più una merda.
Ma sorrisi e mi diedi un contegno.
<< Stai bene? Quando tua madre ha detto che t'era preso il virus greco ho avuto paura per te... >> volle sapere.
<< Sì, mi sono rimessa oggi. Ho incontrato Diana e Gilda. Parlavamo di Emma >> mi affrettai a rispondere.
<< Fa parlare di sé ultimamente, la tua amica. Tutta benvestita, con l'avvocato di quel Piaggi che ha trovato un buon lavoro a sua sorella... Non so come commentarla, tutta questa storia >> affermò.
Esprimeva il punto di vista della maggior parte degli abitanti del Quartiere, ma era troppo politicamente corretto per sbilanciarsi; a volte mi chiedevo se ne avesse una tutta sua, di opinione.
<< Infatti sto andando da lei per sentire la sua versione dei fatti >> replicai.
<< Mi pare giusto. La verità la saprai solo da lei, quella che senti qui nelle strade è deformata dai pettegolezzi >> commentò.
Tutto sommato era una brava persona, per questo avevo molta stima di lui, ma non sapevo se si trattasse più di amore, sempre che lo fosse mai stato.
Forse quello che era successo a Corfù mi aveva turbato, forse dovevo solo riprendermi la mia quotidianità, le mie abitudini.
Sicuramente avevo già un appiglio per pensare ad altro: come sempre da diciotto anni, l'universo di Emma si sovrapponeva al mio, e le mie vicende, che credevo incredibili, sbiadivano davanti anche al suo minimo respiro, che a confronto sfolgorava di una luce accecante.
<< Già, ma per fortuna Emma se ne frega dei pettegolezzi >> ribattei.
<< Ti accompagnerei dai Ferranti ma oggi vengono i fornitori >> si scusò.
<< Non ti preoccupare, tanto la so la strada >> sorrisi rassicurandolo.
<< Ci vediamo nei prossimi giorni, ok? >> mi fece, mettendomi due dita sotto il mento. Ci baciammo.
<< Ok >> dissi.
Dopodiché gli voltai le spalle, dirigendomi da Emma.

                                     ***

Suonai al campanello dell'appartamento dei Ferranti. Venne ad aprirmi la signora Amanda.
<< Letizia, cara! Come stai, ti sei rimessa? >> mi accolse.
<< Signora Amanda... Sì, mi sono rimessa. Emma è in casa? >> replicai.
<< Sì, è in camera. Anzi, penso che stesse aspettando una tua visita... >> mi introdusse la Ferranti, accompagnandomi fino alla stanza delle figlie.
In quei giorni era occupata quasi sempre da Emma. La donna bussò.
<< Che c'è? >> rispose la mia amica, coi soliti modi bruschi.
<< Ci sta Letizia >> fece Amanda.
<< Falla entrare >> ordinò Emma.
Aprii la porta ed entrai, la signora Ferranti ci lasciò sole.
<< Come mai da queste parti? Non eri convalescente? >> esordì, distogliendo l'attenzione dai suoi disegni che aveva intenzione di trasformare in composizioni floreali.
<< Sto meglio. Ho visto un po' di gente: Diana, Gilda, e Annibale >> raccontai.
<< Ah, e ti hanno parlato di me? >> indovinò.
<< Sì, hanno parlato di te. Dicono che ti sei messa a fare la signora coi soldi sporchi di Rocco >> confermai.
<< E tu sei venuta per sapere se è vero? >> mi sfidò.
<< Sono venuta per ascoltare la tua versione >> confessai.
Emma posò la matita sulla scrivania e mi guardò negli occhi.
<< Da quando Rocco ha cominciato ad essere seguito dall'avvocato Rossi succedono cose strane. Il giorno in cui è venuto qui a proporre il lavoro di segretaria a Bea, mio padre è cambiato dall'oggi al domani, nei miei confronti. È diventato tutto zucchero e miele. Ha detto che sono brava, che le mie creazioni ci faranno svoltare >> mi confidò.
<< E tu ci credi? >> chiesi.
<< Io so solo che ho passato diciotto anni della mia vita a cercare se non l'affetto di mio padre, almeno la sua stima. Non gli è andato mai bene nulla di quello che ho fatto, e adesso che Rocco mi tratta da principessa, si è come ammansito, e cerca di allisciarmi come può. Non so dirti se tutto questo mi fa schifo, o se vorrei che durasse per sempre >> rispose.
Non sapevo come controbattere: era come in un vicolo cieco. Mi ricordava quando mi ero messa con Federico Battaglia e mia madre aveva cominciato a trattarmi bene perché le sembrava un buon partito; eravamo prigioniere di una mentalità medievale che ti considerava non appena facevi la scelta più studiata e conveniente.
Il mio silenzio le confermò che la stavo comprendendo. Tuttavia cercai di stemperare la tensione cambiando argomento.
<< Ad ogni modo, se mia sorella e Orlando si sposano, ti lascerà carta bianca con le decorazioni? >> domandai perciò.
<< Penso proprio di sì. Se i miei sospetti sono fondati, diventerà via via più bendisposto >> sospirò.

                                      ***

Pensai a quello che aveva detto Emma fino all'inizio della scuola: il signor Giulio, sentendo odore di soldi, stava cambiando, addirittura era affettuoso con la più ribelle delle sue figlie, su questo non c'era dubbio.
Ma quando cominciò il mio ultimo anno di liceo classico, i miei pensieri iniziarono ad essere altri: sentivo i miei compagni di classe, i miei amici da cinque anni, parlare del futuro, di che facoltà universitarie avrebbero frequentato; a quei discorsi sorridevo, rispondevo vagamente ma in realtà non sapevo come controbattere: già era stato il massimo della concessione da parte di mia madre, se le avessi chiesto il permesso di frequentare l'università mi avrebbe sicuramente distrutta psicologicamente, gridandomi dietro che ero una parassita, e che avrei dovuto fare come Simona, praticamente prossima al matrimonio e senza particolari grilli per la testa.
E una parte di me temeva di essere umiliata di nuovo, come nel 1995, quando decisi di proseguire gli studi oltre la terza media; ma l'altra aveva sempre aspirato ad un futuro diverso, quello sognato nella "stanza delle meraviglie" a casa del falsario Faria, e che sicuramente non aveva niente a che fare con l'avvenire medio delle donne del Quartiere.
Tuttavia parlarne con Irene, Andreina, Concetta e Tony sarebbe stato inutile: non avrebbero capito, erano dei privilegiati, non sarebbero riusciti a comprendere la fatica di crescere in un ambiente medievale dove le donne si realizzavano solo in funzione dei padri e dei mariti, per poi passare il resto dell'esistenza a sfornare figli.
L'unica persona che avrebbe capito questo mio scontento era indubbiamente Emma.

                                     ***

Solo che la mia amica aveva cominciato a diventare un'altra persona a partire dal rientro dalle vacanze, ma speravo che questo suo cambiamento venisse un po' smorzato dal ritorno nell'ambiente scolastico; e invece ogni giorno era sempre più diversa da come si era posta negli ultimi cinque anni, togliendo le felpe extralarge, le magliette colorate, le converse e gli eterni jeans, e mostrandosi con vestiti di colori classici, calze color carne, stivali o décolleté coi tacchi alti.
Il suo cambio di look non passò inosservato, ma mai avrei immaginato che potesse seriamente preoccupare non solo me, ma anche la sua compagna di banco e di "affari" Sonia: il loro business dei vestiti era proceduto sempre meglio ogni anno, e forse le avrebbe portate lontano.
E invece, a ricreazione di un giorno di metà settembre mi ritrovai la Verdini fuori dalla porta della classe.
<< Devo parlarti >> esordì, guardandomi con gli occhi azzurri supplicanti.
<< Oddio Sonia, che ha fatto Emma? >> provai ad immaginare.
<< Non lo so, dimmelo tu che sei la sua migliore amica di sempre. È strana, se ne va in giro vestita da donna d'affari. Forse è quel ragazzo che le mette strane idee in testa. Temo che voglia scaricarmi >> esordì.
<< Scaricarti? >> domandai. Anch'io pensavo che Rocco non fosse una buona influenza per Emma, ma mai avrei pensato che si fosse messo in mezzo nella questione dei vestiti.
<< Non ne sono sicura, è solo un sospetto. Solo che prima di quest'anno non si era mai atteggiata a questo modo. A malapena si sapeva vestire e comportare con gli altri, mentre invece adesso sfila come una regina. Non so cosa pensare, per questo ho chiesto a te >> confessò.
Rimasi in silenzio per alcuni minuti: era stata fortunata Emma, in primo anno, ad incontrare Sonia, perché dietro le ciocche blu e il look alternativo si nascondeva una santa; qualunque altra persona l'avrebbe mandata a fanculo seduta stante, forse perfino io.
Perdere la sua amicizia, specialmente all'ultimo anno, sarebbe stata una cosa sbagliatissima, dal mio punto di vista, perciò presi a cuore quella situazione.
<< Posso tenerla d'occhio, magari parlarle. Se ha qualcosa in mente, prima o poi lo scoprirò. L'ho sempre scoperto >> promisi.


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