Capitolo 32
Il giorno successivo andammo al mare: l'acqua era cristallina, talmente pulita che ci si guardava attraverso; il Sole meno rovente che in Sicilia; spiagge piene di stabilimenti si alternavano a zone semidesertiche, brulle e selvagge.
Come facevo anche a Modica, mi portai i libri che ci assegnava la professoressa di Italiano Doriana Francese, da leggere durante l'estate: Jane Eyre di Charlotte Brönte, Cime Tempestose di sua sorella Emily, Una questione privata di Beppe Fenoglio, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen; ne avevo altri quattro, ma pensai che, tra bagni e giochi con Ornella, Simona e Dario, non avrei dedicato molto tempo nemmeno a quella prima metà.
Sebbene stessi aspettando qualche giorno per scrivere una lettera ad Annibale, o almeno mandargli una cartolina, sentivo un desiderio irrefrenabile di scoprire più cose su Christos e la sua famiglia: da quando avevo incrociato quei suoi occhi di gatto, il giorno prima alla finestra della stanza dove dormivo, non me li ero più tolti dalla mente; mai avevo messo in conto una distrazione, tra me e Annibale, a parte Gabriele e la sua capacità prepotente di infilarsi subdolamente nei miei pensieri, ma vedere Emma e il suo approccio molto libero nei confronti di Rocco - specialmente adesso che era in carcere - mi faceva pensare che magari non sbagliava, che avevamo quasi diciotto anni e un futuro diverso in mente rispetto alle nostre sorelle e alle nostre amiche, che alla maggiore età sognavano principalmente il matrimonio, e che il tradimento, se consumato in un luogo lontano - com'era Corfù rispetto a Roma - e soprattutto se non svelato, era come se non esistesse.
Era un concetto totalmente estraneo alla mia mentalità, che predicava la fedeltà assoluta in amore, per cui concentrai le mie energie nello scrollarmi di dosso le inibizioni, cercando uno stratagemma per entrare in contatto con Christos.
***
Accadde molto più semplicemente di quanto potessi immaginare: misi un piede malamente mentre tornavo a casa dei Degli Esposti, e mi caddero tutti i libri dalle mani; in quel momento il giovane stava tornando da una battuta di pesca: si lanciò immediatamente in mio soccorso.
<< Ti sei fatta male? >> mi domandò, aiutandomi a rialzarmi. Mi ero sbucciata entrambe le ginocchia, che avevano cominciato a sanguinare.
<< Io... Scusa... Sono una deficiente, non guardavo dove mettevo i piedi... >> commentai velocemente.
Mi diede una mano a raccogliere i libri. Ne prese uno, era Cime Tempestose. Lo osservò attentamente.
<< Bello questo libro. Io l'ho letto, me lo diede mio padre qualche anno fa. Ha studiato solo fino alla quinta elementare, ma è molto colto >> mi raccontò.
<< Tuo padre era italiano? >> gli chiesi. Padroneggiava perfettamente la mia lingua senza la minima inflessione di greco.
<< Sì, si chiamava Pietro Gironi. È morto per colpa del mare grosso. Te l'hanno detto i Degli Esposti? >> replicò.
<< Mi hanno parlato di te, della tua famiglia. So che ti chiami Christos, tua madre si chiama Anthea Sylos e tua sorella Olympia >> risposi.
<< Tu invece sei una figlia degli ospiti dei degli Esposti. Ti ho vista affacciata ieri pomeriggio >> mi confessò.
<< Mi chiamo Letizia Finelli. E stavo affacciata perché non mi pareva vero di respirare un'aria così fresca. Da dove vengo io non ce n'è >> ribattei.
<< Vieni dalla città, è normale. Vado a vendere il pesce ad Atene e lì l'aria fa schifo. Non penso che nelle grandi città italiane la situazione sia tanto diversa >> constatò. Era molto intelligente e intuitivo. Mi piacque subito questa sua particolarità.
<< Sono talmente lontana dal centro che a volte mi sembra di non abitarci nemmeno, in una città >> gli confidai, abbassando lo sguardo. Più cercavo di non parlare del Quartiere in quei giorni, più quel luogo infame ricorreva nei miei discorsi, con tutti i suoi demoni e i suoi guai.
<< Eppure non sembri venire dalla periferia di una città. Sembri una di quelle belle signorine che vivono nei quartieri alti di Atene, pulite e pettinate, con i libri sottobraccio >> mi fece notare lui. L'ennesima persona che mi ricordava il mio essere una nota stonata all'interno del mio contesto originario, l'ennesimo che mi etichettava come una principessa. Ce l'avevo forse scritto in faccia? Erano magari i miei modi? A volte avrei voluto trapelare meno emozioni, essere impassibile come Emma.
<< No, sono della periferia di Roma, di un posto che si chiama Quartiere Anceschi, però sono riuscita ad avere dai miei il permesso di fare il liceo classico >> dissi allora.
<< Lo dicevo comunque, che eri una che la cultura ce l'aveva, per girare con una pila di libri a Corfù in estate. Molte ragazze vengono qui solo per mettersi in mostra >> puntualizzò.
<< Non sono come le altre ragazze. O almeno, mi sforzo di non esserlo >> precisai.
<< Lo immagino. Adesso ho da fare, questo pesce ha impuzzonito tutta la strada. Ci vediamo, Letizia Finelli! >> si congedò poi, voltandomi le spalle mentre trascinava il pescato per conservarlo e poi rivenderlo al mercato di Atene.
Rimasi di stucco per un po', rischiando un'insolazione sotto i raggi impietosi delle due di pomeriggio; non avevo dovuto fare il benché minimo sforzo per attirare la sua attenzione: era stato lui a venire da me. Corsi dentro a medicarmi le ferite alle ginocchia, cercando di non dare troppo nell'occhio una volta in casa.
***
Andai in bagno, aprii lo sportello con le medicine alla ricerca dello spirito; lo trovai, lo versai su un pezzo d'ovatta e lo passai prima sul ginocchio sinistro, poi sul destro.
Le due ferite bruciavano parecchio, ma il sangue aveva smesso di essere copioso come poco prima.
Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi accorsi del rumore della porta che si apriva di scatto.
<< Oddio, sei tu! >> sussultò Simona, accorgendosi della mia presenza.
<< Ma tu bussare no, eh? >> replicai subito. Mi aveva fatto prendere un colpo.
<< Che ne sapevo che eri qui? Pensavo che il bagno fosse libero... Ma che ti sei fatta male? >> ribatté.
<< Mi sono sbucciata entrambe le ginocchia >> spiegai.
<< Entrambe le ginocchia? Ammazza che impiastro che sei! Con tutti i libri che ti porti appresso c'hai sempre la testa tra le nuvole e non sai dove metti i piedi... >> commentò.
<< Ma vaffanculo, va'... Lo sai che stai dicendo una cazzata senza fondamento >> le rinfacciai offesa.
<< Comunque, prima che me lo scordo... I Degli Esposti stasera fanno la grigliata mista e invitano anche i vicini, quei tre sfigati di Anthea Sylos e i suoi figli... >> mi riferì.
Trasalii al sentir nominare Christos e la sua famiglia. Pensavo ancora al nostro incontro di poco prima.
<< Ah, e come mai? >> domandai per non destare sospetti.
<< Ah boh, che ne so... Avranno l'animo da buoni samaritani, si vede che se lo possono permettere... Io l'unica volta che ho fatto così, con quel deficiente di Mario, sono rimasta fregata... >> ricordò, andando a rivangare con la mente la rottura tragica con il maggiore degli Altieri, a cui era succeduta la lesione del braccio di Gabriele, ufficialmente un incidente da disattenzione.
<< Ci faremo un'idea di loro stasera... >> risposi facendo spallucce.
<< Fattela tu... Le mie idee invece sono molto chiare. Comunque hai finito di medicarti? Dovrei pisciare... >> mi incitò poi, cacciandomi dal bagno.
In un'altra occasione le avrei risposto per le rime, ma la notizia che mi sarei ritrovata faccia a faccia con Christos, quella sera, mi faceva considerare sciocchezze cose che prima mi sembravano importantissime.
***
La sera arrivò velocemente: mi offrii di aiutare Cristiana e Ornella a preparare la cena, sebbene fossi anch'io un'ospite, ma almeno così mi sarei tenuta impegnata, giusto per non andare in iperventilazione ed essere divorata dai sensi di colpa, perché sebbene non fosse ancora accaduto niente, tra me e Christos, già immaginavo nella mia mente scene di fuoco e un'infinità di bugie da rifilare ad Annibale alla prima cartolina che gli avrei scritto.
Quando suonarono al campanello ebbi un tuffo al cuore: non potevo espormi troppo, dovevo recitare il mio ruolo senza strafare. Si andava in scena.
Fu Cristiana ad andare ad aprire, correndo dentro dal retro del giardino dove ci stavamo occupando della grigliata.
<< Anthea, carissima! >> esclamò accogliendo in casa la vicina e i suoi figli.
<< Sono veramente felice di aver ricevuto il tuo invito, cara Cristiana! >> rispose la Sylos. Parlava in italiano corretto, doveva averglielo insegnato il defunto marito in tanti anni di matrimonio.
Christos e Olympia salutarono i Degli Esposti, poi passarono a noi Finelli.
Ritrovarmi faccia a faccia con quel ragazzo poche ore dopo esserci incontrati in modo così rocambolesco mi fece percepire circa dieci gradi in più rispetto a quelli che c'erano effettivamente nell'anticamera.
<< Letizia... Spero che le tue ferite siano guarite... >> esordì.
<< Sì, sto meglio, grazie >> risposi imbarazzata.
<< Già vi conoscete? >> domandò mia madre in tono inquisitorio.
<< Oggi sono caduta sul viale per tornare a casa. Mi ha aiutata >> motivai. Mi guardò a lungo, come a scrutarmi, faceva sempre così tutte le volte che mi giustificavo. Quando i muscoli del suo viso si rilassarono capii che aveva approvato la mia spiegazione.
<< Comunque la cena è pronta! >> avvertì Ornella, che era tornata un attimo sul retro del giardino per verificare che le carni sulla griglia non si fossero bruciate.
Ci accomodammo in cucina, dove la tavola era stata da poco apparecchiata.
***
Mi sedetti tra Ornella e Simona, con Christos e sua madre di fronte. Non sapevo come sarei riuscita a mangiare la cena. Avevo lo stomaco in subbuglio, e sentivo gli occhi di lui puntati addosso, che mi leggevano dentro.
<< E quindi suo marito italiano era? >> domandò mio padre alla signora Anthea.
<< Sì, il mio Pietro era delle campagne piemontesi, di un paese vicino al Po. Ha sempre pescato, trasferendosi qui è solo passato dall'acqua dolce a quella salata. Era un uomo buono e onesto, per quanto la nostra vita fosse semplice non ci ha mai fatto mancare niente >> raccontò la Sylos.
<< Ci parlava spesso della sua terra, anche se non ci siamo mai stati >> spiegò Christos.
<< Un giorno, però, sogniamo di andarci >> precisò la piccola Olympia, che aveva pressappoco l'età di Dario.
<< Signor Finelli, lei e il signor Degli Esposti eravate commilitoni, giusto? >> riprese Anthea.
<< Giusto, signora. Lorenzo e io tutto insieme facemmo, sotto le armi. Mesi divertenti a modo loro, furono >> disse mio padre. Era felice di raccontare di quando era stato militare da giovane a qualcuno che lo ascoltasse sinceramente, era stato uno dei pochi periodi spensierati della sua vita, sicuramente più delle esperienze da migrante o della vita nel Quartiere.
<< L'era dura, si trattava homunque dell'esercitho... Ma siam sopravvissuthi, e abbiam fattho entrambi du' belle famigliole >> puntualizzò Degli Esposti.
<< Le nostre figliole son tutte e due istruithe, l'Ornellina nostra fa i' linguistiho, e la Lethizia addirittura i' classiho >> aggiunse Cristiana. Sentirmi al centro dell'attenzione mi fece sentire, come al solito, terribilmente a disagio.
<< Letiziuzza nostra un sacco di soddisfazioni ci darà... Intanto a scuola pigghia sempre tutti dieci... >> commentò mio padre.
<< Un piccolo genio, insomma >> desunse Christos, guardandomi dritto negli occhi.
Fui sicura che quello sguardo non sfuggì a mia madre, che si affrettò a dire: << Non me la chiamare così, è già montata di suo... >>
<< E dai, Clè... Un poco di clemenza, almeno stasera! >> mi difese mio padre. Per evitare di discutere davanti a degli estranei, lei ingoiò il rospo e cercò di stare zitta.
Pensai che mio padre fosse intervenuto, anche quella volta, in modo provvidenziale.
Quella cena stava durando troppo, per i miei gusti, perciò quando fu il momento dei saluti tirai un sospiro di sollievo.
Quando fui da sola nella mia stanza mi avvicinai alla finestra per chiudere le persiane, quando vidi Christos affacciato a fumare una sigaretta. Alzò gli occhi verso di me, mi sorrise e mi salutò. Ricambiai, prima di chiudere le imposte e constatare il pizzicore che aveva invaso le mie guance. Avrei dovuto assolutamente rimediare carta e penna l'indomani, e scrivere una lettera ad Annibale per ricordarmi quale fosse il mio posto.
***
Ci misi un po' a decidere cosa scrivere nella lettera per Annibale, ma alla fine optai per una serie di stupori e osservazioni infantili, di chi scopre un nuovo mondo per la prima volta, al fine di coprire la vergogna del tradimento che stavo per mettere in atto. Ormai avevo deciso: a settembre avrei compiuto diciotto anni, avevo tutto il diritto di essere superficiale, anche se non era assolutamente in linea con il mio carattere.
Quel pomeriggio dopo pranzo stavo andando a imbucare la lettera, quando una voce maschile ormai nota attirò la mia attenzione.
<< Heathcliff. Il protagonista di Cime Tempestose si chiama Heathcliff. E la protagonista Catherine >> esordì.
<< Mica mi devi dimostrare che l'hai letto. Io ci credevo davvero >> mi affrettai a replicare, temendo che lui pensasse che lo avessi considerato ignorante e bugiardo.
<< Non dico il contrario. Il fatto è che non avevamo finito di parlarne. Della storia intendo >> precisò.
<< Non mi capita mai di incontrare gente che vuole parlare di libri. Forse nemmeno a scuola >> confessai.
I miei compagni leggevano abbastanza, ma non andavano quasi mai oltre i libri assegnati per l'estate dalla professoressa Francese, e comunque non si attaccavano disperatamente a quei volumi in particolare e allo studio in generale come unica via d'uscita da una vita di merda, priva di cultura e capacità di discernere il giusto dallo sbagliato.
Forse questo mi avvicinava tanto a Christos, a tal punto da farlo assurgere ad un ruolo superiore rispetto ad una botta e via.
<< Peccato. Di romanzi come questi ci passerei le ore, a parlarne. Per esempio, non credi che in un'altra epoca, Heathcliff e Catherine avrebbero avuto molti meno problemi a stare insieme? >> ragionò.
<< Non credere, sai? Heathcliff era pur sempre un trovatello dalle origini sconosciute, e Catherine la figlia femmina di una famiglia di campagna che vorrebbe, per lei, molto di più... >> gli feci presente, e mi accorsi che più ne parlavo, più riconoscevo nella storia di Heathcliff e Catherine la situazione di noi due.
Non mi ero mai identificata nelle eroine irrequiete di Emily Brönte, piuttosto in quelle riflessive ma determinate di sua sorella Charlotte; mi vedevo più come una Jane Eyre piuttosto che come una Catherine Earnshaw. Quello era un ruolo ritagliato su misura per Emma, era lei che delle due era più soggetta ai colpi di testa, alle azioni avventate.
Ma quella permanenza a Corfù stava scombinando le carte in tavola di un'esistenza - la mia - che aveva sempre percorso binari ben precisi, senza particolari sgari, senza eclatanti follie. Una scossa era necessaria, un coup de theatre che mi facesse gridare al mondo: "Io ci sono. Esisto".
E allora, se proprio il destino aveva posto sul mio cammino una sorta di Heathcliff delle soglie del Terzo Millennio, non potevo che recitare il ruolo di Catherine, almeno per un po' di tempo.
<< Però hanno sfidato tutto e tutti per amarsi. E anche dopo che lei si era suicidata, è sempre tornata a trovarlo sottoforma di fantasma... >> mi ricordò. Le distanze tra noi si accorciarono sempre di più, finché si annullarono; lo baciai senza rendermene conto, appoggiata al muro dove ci eravamo nascosti, né feci nulla per respingere la sua foga e il suo desiderio; e io avrei lasciato che mi prendesse lì, in quel vicolo dietro il viale delle casette bianche, cercando di essere un po' meno Letizia la rassicurante e un po' più Emma l'indemoniata. Volevo avere anch'io qualche evento interessante da collezionare, durante il corso della mia vita. Specialmente adesso che la mia adolescenza stava per finire.
Ma inspiegabilmente mi staccai.
<< Ho molto da fare. Scusa >> motivai, prima di scappare dentro.
Fortunatamente stavano dormendo tutti dentro casa: mi diressi in cucina, presi un accendino per i fornelli, poi tirai fuori dalla borsa la lettera che volevo inviare ad Annibale e feci scattare la fiamma, dando fuoco alla carta. Gettai il risultato della mia follia nel lavandino e lo guardai bruciare: insieme alla carta, si stavano accartocciando i miei ultimi brandelli di contegno. Ma ero per natura troppo lineare per tenermi tutto dentro, così, dopo che ebbi completato l'opera, corsi in camera mia, presi un nuovo foglio, la penna e scrissi tutto quello che mi era successo ad Emma. La mia amica non mi avrebbe giudicata, perché mi stavo comportando esattamente come si sarebbe comportata lei.
Buttai giù sulla carta bianca tutto quello che mi passava per la testa. Ad Annibale avrei mandato una più stringata cartolina.
***
Christos mi aveva lasciato un messaggio implicito: avremmo aspettato l'occasione per rimanere io e lui da soli, per poter dare libero sfogo all'incendio che ci bruciava dentro.
L'occasione arrivò: Lorenzo invitò i miei, Dario, Anthea e Olympia a fare una gita per gli arcipelaghi, sulla barca a motore di lui; per noi adolescenti l'invito fu solo parziale perché sicuramente avremmo avuto altri programmi: infatti Simona e Ornella decisero di andare ad una festa in spiaggia, Christos disse che aveva da lavorare e io dichiarai di avere ancora una pila di libri da finire entro settembre.
Nessuno ebbe il minimo sospetto sulle nostre vere intenzioni: quando fui sicura di essere rimasta sola dentro casa, mi calai dalla finestra con una corda fabbricata con le lenzuola e uscii fuori dal cancello, lasciato semiaperto.
Lui aspettava solo che suonassi al campanello: nemmeno il cane Agamennone abbaiò, ormai mi conosceva.
Mi aprì e mi venne incontro.
<< Finalmente sei arrivata... >> sorrise pieno di voglia. Mi baciò, risposi a quel bacio con una passione che avevo provato solo qualche mese prima, quando baciai Gabriele in mezzo al lago di Como.
Ci dirigemmo all'interno dell'abitazione, andammo nella camera di lui, chiudendo la porta.
Si sfilò la maglietta, poi si sbottonò i pantaloni, calandoseli; io mi sfilai il vestito bianco a fiorellini azzurri che indossavo.
Rimanemmo in biancheria intima, e presto cadde sul pavimento anche quella.
Ci lasciammo abbandonare sul suo letto, i miei seni puntati sul petto di lui sembravano indicarlo, contemporaneamente, come colpa principale del mio atto scriteriato e come via d'uscita da una relazione - quella con Annibale - che stava sfociando nella noia.
Si sdraiò, io mi misi a cavalcioni su di lui, dondolandomi fino a farlo entrare, con la testa reclinata all'indietro, i capelli, prima raccolti in una coda, ora sciolti, gli occhi bianchi dall'estasi.
Era dunque questo l'elemento mancante nelle mie storie, come sottolineava Emma. Forse lei e Rocco, quando facevano l'amore, provavano proprio le mie stesse sensazioni, in quel momento, con Christos.
Emma mi prendeva sempre per il culo sull'argomento, tutte le volte che trovavo un fidanzato diceva che non sapevo nemmeno cosa cazzo farci, con un uomo.
Ecco, adesso lo sapevo definitivamente.
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