Capitolo 31

Due cose mi rimasero impresse dell'estate del 1999: due eventi che si conficcarono nella mia testa come spilli, e diedero il La a tutti quelli che li seguirono.
Il primo fu il maltempo: quindici giorni - dalla fine di maggio alla metà di giugno - in cui sembrò di tornare indietro fino a novembre, con tutta la pioggia che fece.
Agli acquazzoni ci si fa l'abitudine, ma nel Quartiere era diverso: i tragitti casa-scuola e viceversa erano avventure assurde e dal lieto fine non così scontato; le temperature, che per la media stagionale avrebbero dovuto salire, scivolarono di nuovo verso il basso: dalle campagne circostanti si levava un'aria umida e fredda che ci entrava nelle ossa, provocando brividi e reumatismi anche in giovane età.
Ma noi non perdevamo la speranza, e ogni mattina aprivamo le finestre alla ricerca del benché minimo raggio di Sole tra le nuvole: ma niente, tutte le volte rimanevamo delusi.
Per due settimane, il Quartiere si tinse di grigio.

                                      ***

Il secondo fu l'omicidio di Chicano: un morto in più o in meno non faceva molta differenza, visto che coi cadaveri improvvisi per strada ci convivevamo, ma da quando Pino O' Serpente buttò di sotto il signor Faria nel Quartiere non s'era più vista una morte più efferata e crudele, con Chicano riverso a terra nel suo sangue in mezzo alla piazza in modo che tutti lo vedessero, come un monito.
Non era certo la persona più amata delle nostre parti, specialmente per il suo spaccio ad una clientela giovane e per gli insegnamenti che impartiva ai suoi "apprendisti", ma sicuramente non meritava di venire ammazzato con quei colpi di pistola in pancia, peggio delle bestie.
Alla ricerca del colpevole perfetto, la polizia venne ad arrestare Manuel Baschetti, e Laura Martini, la sua fidanzata, non batté ciglio mentre lo portavano via.
A stare peggio di tutti, però, fu Luisa, la sua donna, che al funerale straziava l'anima, per come gridava il suo dolore.
<< Allora l'amava davvero... >> commentai tra la folla.
<< Macché... Si dispera perché adesso non ha più qualcuno che la mantiene, e potrebbe finire a battere per qualche compare di Pino O' Serpente. Vedrai come se ne torna da dove è venuta... >> replicò Emma, inesorabile.
Effettivamente, pochi giorni dopo Luisa s'era ritrovata fra la posta un biglietto aereo per Buenos Aires, da parte della sorella Carmen, e l'indomani era già in volo verso l'Argentina.

                                      ***

Credevo che dietro l'apparente freddezza con cui Emma aveva analizzato la situazione, prendendoci in pieno, ci fosse l'inconfessabile paura di finire come Luisa, come Lilly Marlen, come Laura e come tutte le donne che intrecciano le loro vite con uomini dalle fedine penali sporche; certo, continuava ad andare a trovare Rocco al carcere di Rebibbia quando poteva, ma ogni volta che tornava era stanca, distrutta, letteralmente svuotata: ovviamente minimizzava, faceva battute - tipo quando si presentava con prelibatezze fresche di rosticceria dicendo che aveva portato un po' di cucina stellata tra le sbarre - ma io mi accorgevo che questa situazione la stava sfinendo; era sempre stata una persona libera, indirizzata ad una vita bella e piena di successi, dove lei si sarebbe scelta i fidanzati e la quantità di tempo in cui tenersi ciascuno di loro, e invece da quattro mesi faceva avanti e indietro dalla struttura penitenziaria come le mogli dei mafiosi o dei poveracci che non potevano permettersi avvocati che li tirassero fuori subito.
Rocco, invece, un principe del foro che l'avrebbe fatto uscire in tempi brevi ce l'aveva: si chiamava Alberto Rossi ed era un penalista bergamasco trapiantato a Roma con la moglie Margherita e i figli Guglielmo e Chiara; Emma mi raccontava di tutte le rassicurazioni che tale avvocato faceva al giovane Piaggi: gli diceva infatti che al massimo entro un anno l'avrebbe tirato fuori di prigione.
Ma penso ancora oggi che la mia amica ci credesse poco: sono i pezzi grossi della malavita a poter usufruire di penalisti che pieghino la legge a loro favore, non certo piccoli spacciatori di diciannove anni quasi venti.

                                     ***

Tuttavia cercavo di starle sempre vicino, e di sostenerla in quella sua battaglia contro tutto e tutti, contro sé stessa per prima; i suoi drammi mi assorbirono talmente tanto che, quando mio padre, un giorno della seconda metà di giugno, annunciò che un suo ex commilitone sotto le armi, tale Lorenzo Degli Esposti ci invitava nella sua casa delle vacanze a Corfù, in Grecia, a passare l'estate con la sua famiglia, composta dalla moglie Cristiana e dalla figlia Ornella, tale notizia quasi mi scivolò addosso.
<< Però, 'sto invito poteva scappare fuori prima, che magari vedevamo un po' di mondo invece della solita Modica? >> commentò sarcastica mia madre.
<< Clè, non scassare troppo la minchia. L'invito adesso arrivò >> rispose mio padre.
<< Che bello, andiamo a farci la vacanza fuori, come i ricchi! >> esultò Dario.
<< Capirai che ricchezza, in mezzo agli scogli... E poi avrei voluto andare mille volte in vacanza con Orlando, esattamente come ha fatto Leti l'anno scorso, con Annibale... >> protestò Simona con tono carico d'invidia nei miei confronti.
<< Guarda che è stato Annibale ad invitarmi, non l'ho mica pregato io. Diventa meno stronza e magari a Orlando l'invito gli verrà spontaneo... >> ribattei infastidita. Simona mi guardò in cagnesco.
<< Sentite, mo... Ci facciamo 'sta vacanza in Grecia, un problema fu? Che queste cose la nostra Leti pure a scuola le studiò, così magari ripassa >> decise mio padre, rivolgendomi un sorriso rassicurante. Era l'unico in famiglia che mi stimasse davvero.
Ero veramente contenta che per la prima volta nella mia vita avrei visitato un Paese estero: il mondo fuori dall'Italia l'avevo conosciuto solo con la Guerra Fredda, il crollo del Muro di Berlino e la nascita dell'Unione Europea, ma non ci avevo mai messo piede e non credevo fosse possibile, per una come me che veniva dal Quartiere, avere proprio l'occasione e soprattutto il diritto di viaggiare per il puro piacere di farlo, né io né gli altri anceschini: uno di noi che se ne andava all'estero lo faceva per trasferire capitali, per trasportare partite di droga o perché era latitante; nessuno avrebbe mai detto, ad esempio: "Sono stato in Messico per scoprire i reperti archeologici della civiltà azteca". Nemmeno i novelli sposi andavano in luna di miele nelle grandi capitali europee, le mete erano prevalentemente nel Sud Italia, a prendere aria e luce e ad assumere buon cibo, magari tornando in città con un erede.
Quello che stavo per vivere di lì a poco mi sembrava un lusso, una cosa di cui vantarmi con Emma, per saggiare quanto mi avrebbe invidiato e quanto me lo avrebbe nascosto.
Per cui, finito il pranzo, mi misi subito a cercarla.

                                      ***

Suonai al campanello di casa Ferranti: venne ad aprirmi Beatrice.
<< Ciao, Bea. Devo parlare con Emma >> esordii.
<< Emma non è in casa. Sta sempre per cazzi suoi ultimamente >> mi comunicò lei.
Allora immaginai che fosse scesa nel suo laboratorio: per cui corsi giù per le scale per andare alle cantine.
Aprii la porta, cercandola nel luogo in cui dava libero sfogo alla sua creatività.
<< Emma? >> cominciai a chiamarla. Nessuno mi rispose. Tuttavia sentii, invece di una risposta, un rumore inconfondibile di gemiti ritmati. Dovevano essere una coppia appartata. Solo che le voci erano maledettamente riconoscibili: pregai di sbagliarmi, e invece un filo di vento caldo entrato dalle finestre mosse il telo che nascondeva il laboratorio di Emma alla vista di tutti, mostrando lei e Gabriele che si contorcevano spasmodicamente; non erano nudi, non ancora, ma lui le era già entrato dentro, e sicuramente tra poco si sarebbero liberati anche dei vestiti. Solo che non rimasi fino a quel punto. Non ce la facevo, mi faceva schifo proseguire. Mi disgustava quello che vedevo perché dentro di me si stava dilagando un dubbio che avevo cercato di neutralizzare un anno prima, alle soglie della vacanza in Costiera Amalfitana con Annibale, e cioè il fatto che Emma mi avesse mentito, che Gabriele non se l'era portata a letto con la forza ma che era stata lei a sedurlo, con i suoi modi da strega, da femme fatal, da zoccola - perché adesso quello mi sembrava, una zoccola peggio di Lilly Marlen e Alice - mentre il suo fidanzato marciva in galera e non sarebbe uscito prima dell'anno nuovo.
Mi mancava il respiro, perciò lasciai quel luogo, sperando che non si accorgessero di me. Non avrei saputo cosa dire loro. Non sapevo cosa fare, nemmeno più se condividere con Emma la notizia della mia futura vacanza a Corfù o farmi negare, e partire senza nemmeno averla salutata.

                                      ***

Fu lei a venire da me: Beatrice l'aveva avvertita del fatto che l'avessi cercata.
Venne a suonare al campanello quella sera verso le sette, fu mia madre a farla entrare: la informò che stavo in camera mia, che durante il pomeriggio mi ero sentita poco bene, che non avevo visto nemmeno Annibale; ed era vero: non avevo alcuna voglia di farmi vedere in quello stato dal mio fidanzato ufficiale, non immaginava che stessi male per un altro e non volevo che lo scoprisse mai.
Mi bussò in camera.
<< Leti? >> esordì da dietro la porta.
Non risposi subito. Ero tentata di non aprirle affatto.
<< Leti, ci sei? >> insistette.
Ancora silenzio da parte mia. Non sarebbe stata male come vendetta, l'idea di farla sfiancare sul mio uscio.
<< Ma che ti senti ancora male? >> proseguì. Allora decisi che non volevo sospettasse nulla, e perciò mi feci viva.
<< No. Entra >> biascicai.
Emma non si fece alcuno scrupolo a spalancare la porta e a piazzarsi in camera mia: cominciai a pentirmi di averla fatta entrare, avrei voluto buttarla fuori.
<< Ma che ti è preso? Ti è venuto il ciclo? >> domandò.
<< No. Mi viene tra una settimana >> risposi.
<< Cazzo, mica sarai incinta di Annibale? >> saltò su allora.
<< Ma che sei matta? Che secondo te ero ancora viva, se lo dicevo a mia madre? >> replicai.
<< Potevi anche averlo tenuto nascosto. Poi andavamo da qualcuno bravo e ti ripuliva lui, semmai... >> commentò facendo spallucce. Parlava di aborto come si parlava del tempo atmosferico, questa cosa mi faceva impressione ancora di più che averla vista insieme a Gabriele poche ore prima.
<< Annibale se lo sarebbe tenuto. Ma non aspettiamo un bambino. Ho solo preso un colpo di caldo. Ti stavo cercando e non ti ho trovato, volevo dirti che parto... >> comunicai telegrafica.
<< E dove vai? >> si incuriosì.
<< In Grecia, a Corfù >> dissi.
<< Ammazza che figata! Con Annibale? >> volle sapere.
<< No, con i miei. Ci ha invitato un ex commilitone di papà >> spiegai.
<< Che palle... Beh, non sarà un viaggio d'amore, ma almeno vedi l'estero, beata te... >> sospirò.
Immaginavo che avrebbe manifestato una malcelata invidia. Rosicava perché ci sarebbe voluta andare anche lei, in giro per il mondo a far conoscere le sue creazioni, e in quel momento speravo sul serio che ci si stabilisse, in qualche Paese straniero, e che non tornasse più.
<< Magari quando Rocco esce ti porta in vacanza lui... >> ipotizzai invece.
<< Sì, vabbè... Se aspetto lui invecchio... Devo proprio andarmene da sola con le mie forze, scappando se è necessario... >> dichiarò.
<< Sei pazza >> constatai.
<< Lo so. Ed è per questo che un giorno me ne vado da qui. Vedi come me ne vado! >> esclamò soddisfatta, il sogno di una vita diversa stampato negli occhi azzurri.
Era riuscita a spostare l'asse dei miei pensieri dall'astio alla preoccupazione in pochi minuti. Forse aveva ragione mia sorella quando diceva che Emma manipolava la gente.
Forse aveva manipolato anche me. Di nuovo.

                                      ***

L'eccitazione per il viaggio cancellò presto i ricordi di quello che avevo visto tra Emma e Gabriele, non avevo tempo né voglia di essere infelice: per la prima volta in vita mia non solo sarei andata all'estero, ma ci sarei anche andata con il traghetto.
Non era la prima volta che vedevo il Mar Mediterraneo, ma l'emozione di vederlo sfociare nell'Egeo fu grandissima: a scuola avevo studiato che la Grecia aveva 777 isole totali, ma osservarle dal vivo, mentre emergevano dal mare, era tutta un'altra cosa; il cielo era talmente terso che l'Europa, da quella prospettiva, poteva sembrare visibile fino ai fiordi della penisola scandinava; gli spruzzi delle onde del mare si divertivano a schizzarci, come se ci volessero purificare di tutto lo schifo che ci portavamo appresso dal Quartiere.
Ma ciò che mi colpì più di tutto - del cielo, dell'aria, del sole, del mare - furono i colori che mi circondavano: vividi, pastellati, chiari e luminosi, si distanziavano completamente da quelli tipici del Complesso Anceschi, i quali a malapena spaziavano dal grigio scuro dei negozi, della chiesa e della piazza al beige stinto dei casermoni; erano anche più belli di quelli di Modica, di Anzio e di Como.
Quello spettacolo naturale piacque a tutti, rasserenando perfino mia madre e Simona: mi auguravo, dentro di me, che il mondo potesse sempre svelarmi il suo lato migliore.

                                      ***

Arrivammo a Corfù che era primo pomeriggio, e fummo subito colpiti dalla gran quantità di gente per strada: di solito a quell'ora, nel Quartiere non girava anima viva; ovviamente era un luogo di vacanza all'inizio dell'estate, e dovevo smetterla di usare il mio luogo natale come pietra di paragone, ma mi veniva spontaneo, non potevo farne a meno.
<< Ma l'amico tuo dove sta? Perché col sole a picco e tutta questa gente mi sto scocciando... >> sbuffò mia madre.
<< Adesso arriva, non ti preoccupare... >> la rassicurò mio padre.
<< Ma durante il militare tu e il signor Lorenzo avete impugnato delle armi vere come se ne vedono da noi? >> domandò Dario curioso.
<< Sì, e anche peggio. Ma le usavamo per fare le esercitazioni, mica per fare secco chi scassava la minchia >> spiegò mio padre.
<< Calogero! >> esclamò una voce che ci fece voltare tutti. Era Lorenzo Degli Esposti: era un uomo alto quanto mio padre, dai capelli neri striati di grigio e grandi occhi verdi.
<< Lorenzo! >> fece mio padre, andandogli incontro con fare espansivo. Non l'avevo mai visto così, nemmeno coi miei nonni e i miei zii e zie. Si abbracciarono calorosamente.
<< Come stai? >> gli chiese poi.
<< Mah... Un mi lamento. Le solite hose... >> rispose Degli Esposti tradendo un accento toscano.
<< È un gran bel posto, qui... >> commentò mio padre.
<< Sì, codesta isoletta l'è i' posto justo pe' passà n'estathe home si deve >> disse convinto il sul ex commilitone. << Clelia, sempre più bella... >> aggiunse poi rivolgendosi a mia madre.
<< Cerco di non annientarmi, e credimi, in quel posto di merda dove abitiamo me l'arrischio... >> commentò lei.
<< E questi sono i vostri figlioli? >> continuò poi Degli Esposti, guardando me, Simona e Dario.
<< Questi sono i miei picciotti... Simona, la più grande, che presto si sposerà col fidanzato... Letizia, la media, che studia al liceo classico e Dario, il maschiuzzo >> ci presentò mio padre.
<< I' classiho, eh? Pure la mi' figliola, l'Ornella, fa i' liceo, ma linguistiho >> ci raccontò Lorenzo.
<< Dai, andiamo, vi aiuto a carihare i bagagli sulla mi' Jeep... >> disse poi, aiutandoci a caricare le valigie in macchina.

                                     ***

La casa delle vacanze dei Degli Esposti era bianca e strutturata su due piani, il terreno e il primo; circondata da un giardino, si trovava di fronte al mare insieme ad un altro gruppo di casette: il contrasto tra i colori delle facciate delle abitazioni e quello del cielo e del mare, così tipico del paesaggio greco, mi dava una sensazione di pace e serenità di cui, provenendo dal Quartiere, avevo disperatamente bisogno.
Barche, remi, reti e canne da pesca si trovavano parcheggiate sulla riva, segno che molti capifamiglia svolgevano la professione del pescatore.
Lorenzo abbassò il finestrino e chiamò la moglie.
<< O' Hristiana! >> invocò.
La donna si affacciò da una delle finestre del pianterreno.
<< Ma he so' arrivathi? >> volle sapere.
Cominciammo a scendere uno dopo l'altro dalla Jeep e quello valse come risposta.
<< Ma huanto son bellini! Mo vengo... >> commentò sorridente la donna, uscendo di casa. Aveva i capelli biondo miele e gli occhi azzurri; forte e robusta, era il ritratto della salute.
Era seguita a ruota da Ornella, la loro unica figlia, che aveva la mia stessa età: aveva ripreso il colore di capelli dal padre e quello di occhi dalla madre.
<< Te li ricordi i' Calojero e la Hlelia? >> chiese Degli Esposti.
<< E come no? Siam venuthi ai battesimi di tutti i figli... Ma guarda the home son cresciuthi... >> constatò Cristiana Degli Esposti, venendoci a salutare ad uno ad uno.
Anche Ornella ci salutò. Ce la ricordavamo poco, eravamo piccole l'ultima volta che ci eravamo incontrate, ma rientrammo subito in confidenza.
E tra una chiacchiera e l'altra ci accolsero nella loro casa: Cristiana aveva preparato un pranzo da re, a base di frittura di pesce.

                                     ***

Ci sistemammo nelle camere da letto al piano di sopra: erano belle, luminose e davano sul mare, ma soprattutto erano singole; questo lusso me lo sarei solo sognato nel Quartiere, dove dividevo la stanza con mia sorella, la luce c'era solo ad alcune ore del giorno e la visuale spaziava dal cortile interno ai casermoni circostanti.
Respirai a pieni polmoni l'aria fresca del pieno pomeriggio: la Grecia aveva un fuso orario di distanza con l'Italia, di un'ora prima rispetto a noi; in quel momento lì a Corfù erano quasi le cinque, mentre a Roma ci si trovava intorno alle quattro: pensai a chi, dalle nostre parti, non era ancora partito per le vacanze e a chi non partiva affatto; in quel preciso istante dovevano trovarsi tutti rintanati negli appartamenti coi condizionatori a palla, cercando di non avere motivi per mettere il naso fuori di casa, dove l'asfalto era infuocato e l'umidità ti incollava i vestiti addosso.
Guardai la casa di fronte, vidi la figura di un giovane che usciva con le reti e la canna da pesca; fuori, in veranda, una donna sui quarant'anni passati faceva il puntocroce, mentre una bambina correva in giardino con un cane marrone tutto peli.
Immaginavo che le case in quei giorni cominciavano ad essere abitate, ma non avevo notato segni di vita lì, poche ore prima, quando eravamo arrivati.
Mi riposai un po' - il viaggio era stato bello ma stancante - e decisi che avrei chiesto al signor Lorenzo chi fossero gli abitanti della casa accanto alla nostra, una volta che fossimo scesi a cena.
Quando fu l'ora del pasto serale mi diedi una sistemata e scesi al piano di sotto, dove Cristiana e Ornella avevano preparato la moussaka e gli spiedini di pecora in salsa tsatsiki.
Era tutto buonissimo, mi leccai i baffi; tra un boccone e l'altro feci la fatidica domanda al capofamiglia: mi rispose che Anthea Sylos era la vedova di un pescatore morto in mare durante una tempesta; rimasta sola con due figli, Christos e Olympia, andava avanti come poteva, rassettando le abitazioni dei vicini e degli affittuari che venivano in villeggiatura, mentre il figlio maggiore aveva cominciato a prendere il largo come il padre, nonostante non avesse nemmeno vent'anni. Lorenzo e Cristiana lo reputavano molto coraggioso, Ornella aggiunse, sussurrandomi nell'orecchio, che era anche carino.
Avrei voluto scambiare qualche parola coi Sylos, mi mettevano curiosità.

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