Capitolo 27

Passai tutta l'estate al bacio che mi ero scambiata con Annibale: a quello che avevo provato, all'emozione che avrei avuto al pensiero di rivederlo; pensai anche a Gabriele, a dire la verità, e a chi, tra i due, mi suscitava il sentimento più forte e, dopo un'attenta attività di ponderazione, capii che era il secondogenito degli Zanoni a uscirne vincente: Gabriele era sempre stato così maledettamente superficiale nei miei confronti, forse non gliene era mai fregato niente di me. Forse non gli fregava di nessuno all'infuori di sé stesso.
Perciò, quando arrivò il momento di tornare a Roma, quel 29 agosto del 1997, seppi perfettamente cosa fare: e quando la macchina di mio padre si fermò a parcheggiare vicino al nostro casermone, aprii lo sportello e scesi di corsa, sotto gli occhi sconcertati dei miei famigliari.
<< Letizia, ma dove vai? >> berciò mia madre, tentando di inseguire insieme a Simona e Dario.
Ma io non li ascoltavo. Stavo correndo verso il supermercato degli Zanoni, dovevo portare ad Annibale la mia risposta.
Nel Quartiere era rientrata talmente poca gente, che unita a quella rimasta in città faceva sembrare la zona quasi deserta, per cui si sentiva il rumore dei miei passi sull'asfalto infuocato. Ma d'altra parte, il rumore dell'amore, specialmente quello adolescenziale, forte e impattante, non passa mai inosservato, anzi: la sua energia muove il mondo.
<< Annì! Annibale! >> gridavo, senza curarmi del fatto che qualcuno potesse affacciarsi dalle finestre dei casermoni e impicciarsi.
<< Leti! >> fece lui, sorpreso di vedermi così impetuosa. Di solito quella era la natura di Emma, io sono sempre stata più posata.
<< Sono venuta a darti la risposta... >> spiegai col fiatone.
<< E quale sarebbe? >> domandò speranzoso.
Finì appena in tempo di chiedermelo che lo baciai come non avevo mai baciato nessuno prima, forse nemmeno Federico Battaglia.
In quel momento arrivarono i miei, Simona e Dario.
<< Che è mo 'sta storia? >> esordì basito mio padre.
Annibale e io ci staccammo, guardando in direzione della mia famiglia.
<< Signor Calogero, signora Clelia... Forse vi dobbiamo spiegare un po' di cose... >> fece lui, un po' imbarazzato.
<< Sarà necessario... >> commentò mia madre. Temetti seriamente che avrebbe fatto il culo ad entrambi.

                                     ***

E invece rimase calma. Anzi, dopo che Annibale se ne fu tornato a casa, addirittura si complimentò con me: disse che con lui avevo fatto veramente un buon acchiappo, che finalmente cominciavo a fare delle scelte intelligenti.
Non sapevo se mi stesse insultando o se fosse realmente fiera di me, per una volta nella sua vita: d'altra parte, il confine tra le due cose era così sottile che non riuscivo a individuarlo. Perciò ne parlai con Emma: da lei un parere sincero l'avrei sicuramente avuto.
<< È come ti dicevo quando avevamo cinque anni. Davanti ai soldi anche le bestie diventano persone. Non ti credere che in undici anni sia cambiato qualcosa... >> commentò, mentre eravamo sedute ai tavoli del bar Martini ad accompagnare la nostra chiacchierata con una birra a testa.
<< Dici che se mi sposo con Annibale, lei e Simona smetteranno di darmi addosso? >> domandai.
<< Questo non posso promettertelo... Ma comunque si può sapere che è tutto quell'affollamento verso il televisore? >> ribatté lei, incuriosita da un gruppo di gente che s'era precipitata all'interno del bar.
Ci precipitammo dentro anche noi: al telegiornale di metà mattina stavano parlando di un incidente avvenuto nella notte a Parigi, che aveva visto coinvolti Lady Diana Spencer, ex moglie di Carlo d'Inghilterra, e il suo nuovo compagno Dodi Al Fayed.
<< Cazzo, guarda che botto! >> esclamò Emma, colpita dalle immagini dell'impatto.
<< L'ha voluto lei, quella pazza. Non le sarebbe successo niente se fosse rimasta col marito... >> commentò amaramente il signor Martini.
<< Il marito l'aveva tradita con un'altra, l'ha sempre tradita per anni... >> mi venne da dire, sapendo che Carlo Windsor aveva una relazione con Camilla Parker-Bowl da prima di sposarsi.
<< Sì, ma una donna con un cervello in testa un partito così se lo tiene stretto, nonostante tutto. Non se ne va a fare la zoccola col primo che capita... >> continuò imperterrito il proprietario del bar, facendo un chiaro riferimento a sua figlia Laura e al suo rifiuto nei confronti di Italo.
Pagai e schizzai fuori dal bar, schifata. Emma mi seguì a ruota.
<< Leti, ma che ti è preso? >> mi chiese subito.
<< Mi è preso che non è giusto. Che è una vergogna. Che se fosse morto un uomo lo avrebbero fatto santo, e invece è morta una donna e viene tirato fuori tutto il marcio! >> sbottai.
Emma mi mise un braccio intorno alle spalle, e sorrise a mezza bocca.
<< Dovevamo immaginarcelo. Succede sempre così >> sostenne.
<< Non dovrebbe >> dissi amareggiata.
<< Eh lo so. Infatti noi dobbiamo fare in modo che nessuno ci metta i piedi in testa, esattamente come ha fatto Lady Diana. È questo il messaggio che dovrebbe essere veicolato. Ma adesso non ci pensiamo più. Raccontami più nel dettaglio di questo bacio con Annibale Zanoni... >> ribatté, cambiando argomento.
Faceva sempre così: quando un argomento la toccava troppo da vicino - la libertà, l'esigenza di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno - decideva, di punto in bianco, di tergiversare.
E forse era meglio così. Forse si risparmiava tanti malumori inutili.

                                     ***

Ben presto altri pensieri occuparono la mia mente: innanzitutto il fatto che, a metà settembre, avrei cominciato la prima liceo, che rispetto al ginnasio era tutto un altro mondo, o almeno così mi aveva detto Gabriele.
Le materie sarebbero diventate di più,  mentre per quanto riguardava il greco e il latino, accanto alla grammatica avremmo iniziato a studiare i classici, come Cicerone, Tacito, Tucidide e Senofonte; poi, al secondo e al terzo, sempre stando a ciò che raccontava Gabriele, ci saremmo spostati verso le opere in versi, come quelle di Virgilio, di Orazio e di Ovidio.
Senza contare tutti i nuovi argomenti che avremmo affrontato nella letteratura italiana: il Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi - primo grande esempio di un proto-italiano effettivo - Jacopone da Todi, poi Petrarca, Boccaccio e il grande Dante, di cui avremmo studiato, quell'anno, l'Inferno della Divina Commedia.
Al pensiero di tutto questo sapere che avremmo assimilato pensavo che non sarei riuscita a sostenerne il peso, che sarebbe stato troppo anche per me che ero la prima della classe: ma fortunatamente adesso c'era Annibale ad incoraggiarmi; non aveva idea di quello che sarei andata a studiare, si era fermato alla licenza media, ma nonostante tutto faceva uno sforzo per apprezzare sinceramente quello che gli confidavo, senza finzioni e senza fronzoli.
Era proprio questo che apprezzavo di lui, la sua autenticità mi scaldava il cuore.

                                     ***

Il vento del cambiamento non aveva investito solo la mia vita, in quegli ultimi mesi del 1997: Mario e Caterina ormai formavano una coppia fissa, nonostante le sofferenze sociali; non nego che la signora Agata non si fosse opposta alla relazione tra suo figlio e l'unicogenita di Don Domenico Esposito, che anzi lo avesse incoraggiato, perché con il braccio destro del boss, Pino O' Serpente, nello stesso palazzo, non era il caso di rifiutarne l'erede, che sarebbe stato un vero e proprio affronto.
Un'altra persona che trovavo strana era, invece, Gabriele: ormai ero abituata ad ogni sua bizzarria, e l'associavo quasi sempre alla ragazza che lo accompagnava in quel momento, che fosse una passione duratura o una storiella di qualche mese; ma la sua bizzarria di quel frangente era contemporanea ad un'altra bizzarria, quella di Emma: anche lei negli ultimi giorni era più strana del solito, e nella mia testa cominciò a farsi strada un timore che mi aveva logorato già un anno prima, quando al ritorno dalle vacanze ad Anzio con la famiglia Battaglia temevo che lei e Gabriele fossero diventati amanti, che Emma, tra tutti i maschi che avrebbe potuto scoparsi, avesse scelto quello che era sempre piaciuto a me. Mi ero sentita una merda, a quel pensiero, sia perché avevo un ragazzo, sia perché lei era comunque la mia migliore amica e mi aveva giurato che un poveraccio come il secondogenito degli Altieri non rientrava tra i suoi progetti di vita; quel pensiero torbido, perciò, l'avevo riposto in un angolo remoto e nascosto della mia mente, ma era bastato fare due più due per farlo tornare a galla. Dovevo assolutamente indagare in merito: perciò decisi di spiare tutti i movimenti di Gabriele a partire da quelli all'interno del Quartiere. Ovviamente Emma se ne accorse.
<< Si può sapere chi stai spiando? >> mi domandò a bruciapelo, facendomi prendere un colpo.
<< Gabriele. Però non come pensi tu. È che secondo me ha una, qui nel Quartiere >> mi affrettai a spiegare.
<< No, ti sbagli. Lei non è del Quartiere. Semplicemente ce la porta... >> mi dimostrò lei indicandomi due figure mano nella mano in piazza.
Lui era indubbiamente Gabriele. Lei la misi a fuoco poco dopo, ma non ebbi alcun dubbio: era Irene Aiello, la mia compagna di banco.

                                     ***

Ci misi un po' ad elaborare il fatto che Irene, la mia compagna di banco, la mia prima amica da quando avevo cominciato le superiori, si fosse messa, di tutti i ragazzi del nostro liceo, proprio con Gabriele, che sicuramente l'avrebbe usata e gettata come faceva come con la maggior parte delle sue fiamme.
Eppure erano sfilati lì, davanti a me e ad Emma, e lui la sfoggiava nel Quartiere come un gingillo; e lei gli dava il braccio, sorridente, Irene che per quanto provenisse dal Villaggio cercava di scrollarsi di dosso il peso di una zona difficile quanto la nostra, Irene che, forse, era accomunata a Gabriele proprio da questo: la speranza che la provenienza non si appiccicasse loro addosso come un'etichetta infame.
Eppure, nonostante fossero entrambi miei amici, e nonostante il fatto che ormai fossi ufficialmente fidanzata con Annibale, non riuscivo a reprimere una certa gelosia che mi nasceva dentro tutte le volte che vedevo Gabriele con un'altra.
Perciò raccolsi tutte le energie possibili, e il giorno dopo, a ricreazione, la affrontai.
<< Da quanto state insieme? Tu e Gabri dico... >> esordii.
<< Ci hai visti in giro per il Quartiere? >> domandò.
<< Sì, per caso >> mentii. Non potevo dirle che Emma e io li avevamo spiati da dietro un muro.
<< Che ti dà fastidio? >> volle sapere.
<< No, macché. Io già ce l'ho un fidanzato. L'unica cosa che mi dispiace è che non mi hai detto niente. Come mai? >> ribattei.
<< Perché è successo tutto velocemente, e soprattutto pochi giorni fa. È stata Emma a presentarmelo >> replicò.
Quella sua dichiarazione mi spiazzò. Se le piaceva Gabriele, perché aveva chiesto aiuto per conquistarlo ad Emma e non a me? Perché mi sentivo dannatamente scavalcata, in tutta quella storia? Doveva esserci qualcosa sotto.
<< Emma? >> feci allora.
<< Sì, Emma. Si è offerta di aiutarmi con Gabriele, ma ad un patto >> rispose Irene.
Lo immaginai: adesso tornava tutto. Emma non faceva mai niente per niente.
<< Quale patto? >> chiesi quindi.
<< Che gli dessi qualche informazione in più su Rocco Piaggi, un ragazzo che abita al Villaggio >> mi spiegò lei.
La tensione che avevo accumulato dentro per giorni si dissolse: Emma aveva un interesse amoroso diverso da Gabriele. Potevo tornare a respirare.

                                     ***

Tempestai perciò Irene di domande su chi fosse il tizio che la mia amica stava frequentando e come si fossero conosciuti: Emma si era trovata senza benzina nel motorino sul tratto di strada che collegava il Quartiere al Villaggio; stava andando a prendere delle bombolette spray per realizzare alcuni murales per il cortile della scuola e per poco non avrebbe dato fuoco a qualcosa, se non fosse arrivato Rocco, che, una volta ascoltata la sua storia, le avrebbe proposto di farle fare benzina da suo padre gratis a patto di poterla rivedere: e invece di mandarlo a fanculo come ci si sarebbe aspettato da lei, accettò.
E forte della provenienza di Irene dalla stessa zona del ragazzo, Emma si era fatta dare tutte le informazioni possibili su di lui, che oscillavano tra la legalità e l'illegalità; niente di cui stupirsi, esattamente lo stesso destino dell'adolescente medio nel Quartiere.
A dire la verità tutte queste differenze tra il nostro rione e il Villaggio Ettore Castaldo nemmeno c'erano, o meglio, se anche fossero esistite, erano state parecchio enfatizzate: alle nostre orecchie era sempre arrivato il concetto che laggiù fossero un branco di poveri coglioni senza arte né parte, ma la verità era che ci fosse sempre stata una forte rivalità tra le due zone,  e forse nel Villaggio dicevano le stesse cose su di noi.
Spesso, infatti, alternavamo momenti di guerra tra criminali a momenti di tregua: ad Emma e Rocco era andata di culo, visto che s'erano conosciuti in uno di questi ultimi momenti; a noi era consigliato di dare meno confidenza possibile a quelli del Villaggio, che dovevamo considerarli come bestie perché quello erano, che non dovevamo perdere tempo a comunicare con loro in maniera umana perché tanto, in quanto animali il nostro linguaggio nemmeno lo capivano; tuttavia nei momenti di tregua le tensioni si allentavano, e una love story tra una ragazza anceschina e un giovane castaldiano - così ci distinguevano in città - non avrebbe dovuto far gridare allo scandalo.

                                      ***

Doveva essere per forza questo il motivo per cui Emma non mi aveva detto niente, altrimenti se così non fosse stato, ci sarei rimasta veramente male: a lei avevo sempre confidato tutto, e l'idea che la mia migliore amica, invece, mi escludesse dalle sue scelte mi faceva temere che, in futuro, sarebbe stata capace di nascondere qualcosa di ben più grave.
Quel pomeriggio all'Incompiuta le dissi che sapevo di lei e Rocco, che con me poteva sempre confidarsi.
<< Che palle, la tua compagna di banco non sa tenersi un cecio in bocca! >> sbottò amareggiata.
<< Perché, altrimenti non me ne avresti parlato mai? >> domandai offesa.
<< A tempo debito, Leti. Viene pur sempre dal Villaggio >> mi ricordò.
<< La rivalità tra il Quartiere e il Villaggio è sempre stata più leggendaria che vera, lo sai anche tu. Irene viene da lì, eppure siamo amiche. Perché i tuoi dovrebbero farne un problema, se hai un ragazzo castaldiano? >> le feci notare.
<< Mio padre mi voleva ammazzare per due ciocche viola l'anno scorso, pensa che casino potrebbe tirare su se mi porto dentro casa un tipo del Villaggio... >> commentò, riesumando la morte giù dal balcone che aveva scampato l'anno prima per aver osato far comparire qualche meches viola che ultimamente era sparita.
<< Vabbè, ma avete sedici anni, mica vi dovete sposare... >> replicai.
<< No, infatti. Intanto si tratta di una storia di sesso, poi se scappa fuori qualcosa di più serio si vedrà... >> ribatté lei. La guardai con occhi spalancati.
<< Già scopate? >> chiesi sbigottita.
<< Sì, e allora? Rocco mica è un morto di sonno come il tuo Annibale... Anzi, consigliagli di darsi una svegliata, altrimenti lo farete a ottembre... >> fece divertita, fumandomi in faccia. Lo faceva sempre quando voleva sottolineare che mi aveva superato in qualcosa.
<< Vaffanculo, Emma! Annibale è sveglissimo, solo che non siamo animali, non vogliamo accoppiarci ma fare sesso in modo memorabile, da non dimenticarlo più! >> dichiarai, per farla rosicare un minimo e far sentire lei e il suo Rocco Piaggi raccattato all'ultimo minuto come due bestie in calore, che soddisfacevano un semplice istinto.
Cercavo ancora una volta - magari inutilmente - di dimostrarle e dimostrarmi che ero migliore di lei.

                                     ***

Purtroppo Emma aveva gettato luce su una fastidiosa verità: avevo sedici anni e ancora non l'avevo fatto, una cosa assurda per gli standard del Quartiere.
Tutte le ragazze attorno a me avevano cominciato a darla via come se non fosse loro: Alice era stata la prima,  non per sua scelta, obbligata a battere come sua madre al compimento dei quattordici anni; Simona s'era sverginata con Mario e non dubitavo che si fosse fatta ripassare anche da Italo e Francesco; Gilda e Attilio ci davano dentro come conigli, probabilmente avrebbero anche passato tutta la vita insieme; qualcuno doveva aver dato una botta anche a Diana e a Viviana ormai.
Dovevo affrontare il problema direttamente con Annibale.
Fu così che decisi di farlo, un pomeriggio di ottobre, nel retrobottega del supermercato degli Zanoni.
<< Voglio fare l'amore con te >> dissi con una sicurezza che non era mia.
Se ne accorse, ma non me lo fece pesare.
<< Anche io, lo sai. Ma pensavo non volessi pressioni... >> commentò.
<< Non è questione di pressioni, Annì. Io ti amo, ma temo di non dimostrarlo abbastanza, se non te la do entro un tempo ragionevole... >> sospirai. Anche se non era tutta la verità, quello che avevo detto lo pensavo realmente.
Annibale sorrise e mi accarezzò una guancia.
<< Leti, io ti amo proprio perché sei così. Perché non pretendi tutto e subito, come molte ragazze del Quartiere. Sei entrata nella mia vita in punta di piedi, e questo mi ha fatto impazzire di te. Quindi io farei l'amore con te anche qui, nel retrobottega del supermercato, ma solo se è quello che vuoi anche tu... >> replicò, rassicurante. Era talmente gentile che mi sentivo inadeguata, sporca e bugiarda, visto che una parte di me aveva sempre continuato a pensare a Gabriele.
Tuttavia cercai di non far trasparire l'insicurezza che mi si mangiava da dentro, di essere, almeno una volta nella vita, all'altezza di qualcuno che mi portava in palmo di mano.
Perciò sorrisi, eloquente.
<< Sì, è quello che voglio anch'io >> dichiarai.
Annibale sorrise, cominciò a baciarmi e a toccarmi i seni, le coscie, poi le sue mani si infilarono sotto i vestiti, salendo su per la schiena. Lo lasciai fare. Sentivo che era una cosa giusta. Che stavo pareggiando pareggiando i conti, facendo con lui tutte le cose che già faceva Emma con Rocco.
Ci accasciammo addosso a una pila di scatolette di tonno, che rovinò addosso ad una torretta di pandori dell'anno prima che sarebbero stati spacciati per freschi, lasciando che tutta la merce cadesse sul pavimento. Vi ci buttammo in mezzo, lui si sfilò i vestiti, io gettai via la biancheria intima; e dopo che fummo entrambi finalmente nudi, lo lasciai entrare dentro di me, noncurante che una macchiolina di sangue si stava allargando sotto di me. Non provai dolore, non ci feci caso. Per la prima volta nella mia vita mi sentii finalmente una donna.
Era una situazione impareggiabile.

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