Capitolo 21
Mi fece strano rimettere piede nel Quartiere alla fine di quell'agosto del 1996: negli anni passati le vacanze duravano fino ai primi di settembre, a volte anche alla metà.
I casermoni erano semivuoti, a parte qualcuno che era rientrato prima o che in vacanza non ci andava proprio, a parte qualche volta sporadica al lido di Ostia; sebbene il caldo da quelle parti fosse umido e che regnasse un'afa che non faceva respirare, non mi ammorbava, anzi: mai come quell'anno sentivo la necessità di respirare l'aria di casa mia.
Temevo che qualcosa fosse successo mentre non c'ero: come dice il proverbio, Quando il gatto non c'è, i sorci ballano.
E io me li vedevo, Emma e Gabriele, che ballavano la lap dance nelle cantine, o sdraiati sul pavimento rovente del terrazzo condominiale; vedevo i loro corpi nudi intrecciarsi, mescolarsi, fondersi, la pelle lattea e lentigginosa di lei contro i muscoli contratti di lui. E mi facevano schifo. E volevo ucciderli, entrambi in un colpo solo, carbonizzare i loro cadaveri e sotterrarli nel parco della discarica, sì, cancellare le prove per commettere il delitto perfetto, tagliare fuori della mia vita quella cancrena - Gabriele sempre maledettamente nei miei pensieri, Emma che mi rubava la scena in tutto e per tutto - e vivere la mia vita, finalmente libera dalle loro ingombranti personalità.
Suonai a casa, mi aprì mia madre.
<< Ah, sei tu. Eccoti, finalmente. T'hanno riportato in tempo, pensavo ti saresti messa a frignare per sforare >> commentò, squadrandomi come faceva di solito. Ero abbronzata e più imbiondita, anche se non come mi accadeva in Sicilia.
<< I Battaglia avevano detto "fine agosto", e fine agosto è stato. Ma invece, i Ferranti sono rientrati? >> replicai.
<< Ma che sei matta? Giulio e Amanda con le ragazze, beati loro, ancora stanno a Marina di Pisciotta. Mica hanno una figlia che vuole fare la principessa e li costringe a rientrare in anticipo dalle meritate vacanze. Meno male che c'ho un'altra figlia che qualche soddisfazione me la dà... >> ribatté.
<< In che senso? Che ha fatto Simona? >> domandai.
<< S'è messa col figlio grande degli Altieri, quello giudizioso, con la testa sulle spalle. Almeno nessuno dei due ha grilli per la testa, e se imbroccano veramente, capace pure che si sposano >> mi informò.
A quelle parole sentii sciogliersi il groppo che avevo in gola.
Emma e Gabriele amanti abitavano solo nella mia testa.
***
Simona e Mario si erano messi insieme ufficialmente il 27 agosto, due giorni prima che rientrassi; quando lo gridarono al mondo, non fu una sorpresa per nessuno: era dalle vacanze di Natale del 1995 che flirtavano.
Mario si era trasformato nell'Adone che prometteva di diventare fin da ragazzino: a diciassette anni era bellissimo, quasi normanno coi capelli biondi e gli occhi azzurri, la pelle chiara e un carattere opposto a quello del fratello, meno frizzante e più assennato; per aiutare i genitori che sgobbavano come muli tra il garage e le scale, aveva trovato un lavoro come cassiere al supermercato dei Zanoni, ed era talmente bravo che presto si sarebbe sicuramente guadagnato una promozione.
Simona l'aveva conquistato a suon di margherite, capricciose e marinare, in un sapiente e assiduo lavoro ai fianchi che alla fine lo aveva fatto capitolare.
I nostri genitori erano belli, quindi anche mia sorella era bella - somigliava più a mio padre, di cui però solo io e Dario avevamo ripreso l'altezza - ma non riuscivo a capire se Mario si fosse messo con lei perché ne fosse sinceramente attratto o se le avesse detto di sì per farla contenta, per evitare che continuasse a scassargli la minchia per altri mesi.
A me, Simona non lo avrebbe mai detto: il tempo mi avrebbe dato la risposta.
***
Andai da Gabriele - che inspiegabilmente trovai a casa - per commentare l'avvicinamento tra mia sorella e suo fratello.
<< Beh, direi che non sono male, giusto? >> esordì lui.
<< "Non sono male" è l'unica cosa che riesci a dire? >> domandai.
<< Perché, che altro dovrei dire? >> ribatté.
<< Simona non è proprio il massimo della simpatia, l'hai detto anche tu >> replicai.
<< Però è una bella donna, e ha piantonato Mario, prendendolo per la gola, fino a che non ha ceduto >> mi fece notare.
<< Anch'io ti sono stata spesso appresso, negli anni passati, solo che non stiamo mica insieme >> gli ricordai.
<< Lo so. Ti sei messa con Federico Battaglia, che sta in classe con me. Siete stati anche in vacanza insieme ad Anzio >> evidenziò.
<< E tu con la biondina della I C, che hai anche portato qui nel Quartiere >> dissi allora.
<< Si chiama Paola >> puntualizzò.
<< Insomma sì, lei >> concordai in tono scocciato, talmente scocciato che temetti di aver appena innescato la Terza Guerra Mondiale.
<< Comunque i miei pensavano di organizzare una cena per sancire l'unione delle nostre famiglie >> cambiò argomento.
<< Sancire l'unione, che parolone... Mica Mario e Simo stanno per sposarsi... >> commentai.
<< Lo sai meglio di me come sono fatti qui. Un fidanzamento, anche se non sai quanto durerà, viene interpretato come una promessa di matrimonio >> sostenne.
Ripensai a quando ci eravamo fidanzati, ancora bambini, sei anni prima. Anche all'epoca non sapevamo quanto saremmo durati, ma sembrava un giuramento per l'eternità.
E un angolo piccolo piccolo del mio cuore, forse, ancora ci credeva.
***
La cena venne organizzata il giorno dopo quello in cui rientrarono i Ferranti. Volevo assolutamente condividere con Emma quella nuova situazione; andai a trovarla sia il pomeriggio stesso del rientro, sia quello della cena dagli Altieri: le raccontai del Mar Tirreno, dell'orizzonte semicircolare, dei resti dello Sbarco di Anzio, dei caratteri di ogni membro della famiglia Battaglia, del cambio di umore generale rispetto alla partenza.
Durante l'estate lei aveva lavorato a nuovi modelli di composizioni floreali: erano solo dei disegni, ma pensai che dal vivo potessero risultare straordinari, con le loro geometrie avveniristiche; una parte di quel materiale lo avrebbe dato alla compagna di banco Sonia, che avrebbe stirato le fantasie sopra gli abiti che cuciva: non vedevo l'ora di indossarne uno nuovo, magari bello come quello di Capodanno o anche di più. Ma l'idea dei vestiti non riusciva a distogliermi dall'idea che quella cena potesse rivelarsi un disastro.
<< Perché dovrebbe rivelarsi un disastro? >> chiese tranquillamente Emma.
<< E me lo domandi pure? Lo sai che mia madre disprezza gli Altieri da quando sono arrivati, e poi la disistima che ha sempre riservato nei confronti di Gabriele, te la devo ricordare? >> risposi.
<< Ne hai parlato con lui? >> continuò Emma.
<< È la prima cosa che ho fatto. Lui dice che non sono male >> raccontai.
<< Ammazza oh, s'è sprecato! >> esclamò.
<< Esattamente quello che gli ho detto io! Però mi ha lasciato intendere che Mario, per lui, può fare quello che vuole, frequentare chi vuole >> replicai.
<< Mario si è integrato subito nel Quartiere, Gabriele no. Ci ha sempre schifati, anche se non l'ha mai detto chiaramente, come se non si fosse mai spostato dai quartieri alti >> ribatté.
Come al solito elargiva una verità lapalissiana come la luce del Sole, ma io tale verità la vedevo inquinata dal dubbio che non mi dicesse tutto su cosa pensava realmente di Gabriele. Cercai di ricacciare quegli orribili pensieri nel fondo del mio inconscio. Avevo un'altra priorità, in quel momento.
***
Alle otto e mezza noi Finelli al gran completo ci presentammo alla porta degli Altieri con una bottiglia di Moscato di Noto del 1987, un cartone di pizza con la mozzarella di bufala e un altro con la pizza bianca ripiena di Nutella, tanto per ricordare chi comandava, secondo mia madre: mio padre le aveva detto che forse era esagerato portare così tanta roba, che forse gli Altieri si sarebbero sentiti umiliati; per tutta risposta, lei aveva detto che così almeno si ricordavano che era Mario quello fortunato a cui era capitata Simona, visto che ormai non erano più ricchi da più di dieci anni e che adesso eravamo noi ad appartenere ad una posizione sociale superiore.
<< Buonasera, benvenuti! >> esclamò la signora Agata, venendoci ad aprire: aveva il volto scavato dalla fatica, le mani callose di chi si ha pulito undici piani di scale mentre la maggior parte degli inquilini dei casermoni era in vacanza.
<< Buonasera, Agata >> la salutò mio padre.
<< Oh, ma quante cose che avete portato! >> ci accolse la signora Altieri, conducendoci dentro l'appartamento, che io avevo visto un sacco di volte e che era uguale a tutti gli altri appartamenti dei casermoni: tre stanze, uno sgabuzzino - che noi avevamo riconvertito in camera di Dario - il bagno e la cucina. Non avevano nulla di cui lamentarsi, ma certamente, rispetto alla villa ai Parioli dove abitavano un tempo, era un po' misero.
<< Giusto due scemenze. Le pizze più buone della nostra produzione e un Moscato di Noto dell'87. Una cosa semplice >> precisò mia madre, soddisfatta. Avrei voluto sotterrarmi per lei.
Agata Altieri ci condusse in soggiorno, dove era stato apparecchiato per nove persone; Mario ci venne incontro sorridente: baciò Simona e ci salutò uno ad uno.
<< Buonasera! Scusate la mia perenne aria assonnata, ma a volte fare il guardiano è tremendamente noioso... >> disse il capofamiglia Gaetano, dirigendosi nella nostra direzione.
<< Sicuramente non è come andare sullo yacht... >> sussurrò Dario al mio orecchio.
<< Dario! >> lo rimproverai a bassa voce. A nove anni, mio fratello subiva anche troppo l'influenza dell'ambiente che lo circondava.
<< Dai, sediamoci... >> ci fece accomodare la signora Agata.
<< Eh già, abbiamo un sacco di cose da raccontare, questa sera. Non solo il fidanzamento di Mario e Simona, ma anche la vacanza della nostra Letizia ad Anzio, col suo ragazzo >> dichiarò Gabriele, guardandomi fisso negli occhi. Una luce strana gli scintillava negli occhi azzurri, una luce che non mi piaceva per niente.
***
<< E così sei stata a Nettuno con la famiglia del tuo fidanzato... >> esordì il signor Gaetano.
<< Sì, con i Battaglia. Sono simpatici >> risposi.
<< Oh sì, ne parlava tutto il Quartiere. Erano gente benestante, avevano una bella macchina >> osservò Mario.
<< Secondo me quelli sono ancora più ricchi di quanto dichiarano... >> commentò mia madre, credendo di far ridere. Riuscì nel suo intento, rideva perfino Dario, che in un certo senso era venuto al mondo l'altro ieri.
Gabriele rideva più forte di tutti.
<< Sicuro. Talmente che avranno trattato Leti come la signora che promette di diventare... >> sostenne, con il sorriso ancora sulle labbra.
Mi metteva il nervoso, quel suo sorriso. Era di sfottò o di gelosia, non lo capivo. Ma comunque mi faceva incazzare. Mi faceva venire il sangue al cervello.
<< Anzio è bella. Carica di storia: antica, moderna... E poi c'è un bel Sole. Certo, non è come quello della Sicilia, ma è gradevole. E uscivamo. Tutte le sere >> raccontai, enfatizzando sull'ultima frase. Non era verso che fossi uscita per sessanta giorni, era un'iperbole, ma speravo che facesse rosicare quello stronzo, che finché gli sbavavo dietro nemmeno mi cagava, e adesso che avevo qualcun altro nei miei pensieri faceva il geloso.
<< E quindi hai visto i resti dello Sbarco degli Alleati? >> chiese Agata. Ringraziai che fosse arrivata, quella domanda. Altrimenti avrei letteralmente rovesciato il mio piatto di carbonara in testa a Gabriele.
***
<< Si è comportato veramente da stronzo! >> mi lamentai con Emma il giorno dopo. Eravamo da lei, si stava provando un rossetto nuovo, color prugna.
<< Ah sì? >> fece lei, cercando di non distrarsi troppo per non uscire dalla curvatura delle labbra.
<< Ha cominciato a fare battute per tutta la sera su me e Federico, come se fossimo noi i protagonisti della cena e non Simona e Mario... >> risposi.
Se ci ripensavo mi veniva la gastrite.
<< È geloso >> constatò Emma. << Oh, che opera d'arte! >> esclamò poi soddisfatta, guardando il risultato allo specchio.
<< Ma non è troppo scuro? >> domandai, guardando l'effetto che faceva il colore del rossetto sulle sue labbra.
<< Macché! Le ragazze dell'artistico, in media, usano anche colori più scuri di questo, tipo blu o nero >> mi rispose.
<< Mia madre non mi farebbe mai uscire di casa con le labbra color prugna, direbbe che mi concio come una puttana. E sono sicura che lo direbbe anche tuo padre >> la avvertii.
<< Mio padre si abituerà a questo e a molto altro. Ho intenzione di vedermi nuova, diversa! >> decretò.
<< In che senso? >> chiesi.
<< Tu porta pazienza, Leti. Ti dico solo che questa chioma rossa ha bisogno di una nota creativa... >> mi concesse, toccandosi i ricci.
<< Ti vuoi fare le ciocche colorate? Hai conosciuto un tipo e vuoi fare colpo? >> volli sapere, piena di curiosità. Se non c'era un ragazzo dietro quella voglia di cambiare, non sapevo come spiegarmela.
<< No, non c'è nessuno. Ma se mi svecchio sai che fila, che c'avrò? Non basteranno i maschi dell'artistico, si metteranno in coda pure quelli del classico... >> ribatté.
<< Sì, vabbè... Così a noi non rimarrà nessun ragazzo e vi muoveremo guerra... >> scherzai.
<< Te lo immagini? Verrete a dichiararci guerra coi Rocci e gli IL... E noi vi risponderemo con tele e acquerelli... A dirla così sembra una tragedia greca... Dovresti scriverci una piece, tu che fai teatro... >> propose lei. Ci mettemmo a ridere a crepapelle. Non ridevo così da quando ero rientrata a Roma.
A partire da quel pomeriggio non pensai più alle frecciatine di Gabriele.
***
Quando Emma si metteva in testa una cosa, non c'era verso di farle cambiare idea: solo che stavolta qualcosa in testa se l'era messo per davvero; il giorno in cui comparvero tra i suoi capelli rossi le prime meches viola, suo padre per poco non la scaraventò giù dal balcone.
<< Figl' 'e 'ndrocchia, ma comm cazz te si' cunciat'? >> sbraitò il signor Giulio, strattonando Emma vicinissimo alla ringhiera. Amanda e le figlie minori cercavano di fermarli, terrorizzate dai possibili esiti di quella sfuriata.
<< Sono cazzi miei di come voglio andare in giro, papà! >> gli teneva testa lei.
<< Ah sì? Ca te pienz' ca 'icn tutt quant 'ind a o' Quartiere hann' a pnzà ca te si' mess a fa' a zoccola com 'a figl 'e Lilly Marlen? >> insisteva lui.
<< Ah, quind mo' so 'na zoccola pe doie culur 'ind 'e capill? >> lo sfidò lei. Raramente usava il dialetto di suo padre, solo quando qualcosa la faceva incazzare davvero.
<< Stronza, t'agg accir cu' 'sti mman! >> si infervorò il capofamiglia, e l'avrebbe scaraventata giù dal terzo piano, se Amanda, Beatrice e Marta non si fossero messe a trattenerlo. Pensavo che le avrebbe spinte via, ma non so come riuscirono a fermarlo.
***
Fu mio padre a calmare definitivamente il signor Giulio, mentre Emma aveva chiesto asilo politico da noi.
Gli disse che eravamo adolescenti, che avevamo i grilli per la testa, ma che poi, con l'età adulta, questi grilli se ne sarebbero andati e non avremmo fatto più stronzate.
Solo dopo questa chiacchierata Emma poté tornare a casa e guardarsi in faccia col padre dopo la sceneggiata in balcone: fortunatamente il signor Giulio non la tenne in casa come una reclusa finché non si fosse levata quella tinta, ma la lasciò libera di portare il colore di capelli che voleva, anche a costo di attirare i pettegolezzi di tutto il Quartiere.
Pure perché a novembre, ci fu presto un altro argomento di cui parlare: Manuel Baschetti venne beccato mentre spacciava coca al centro, e trascinato via in manette davanti agli occhi della povera madre Iolanda e della fidanzata Laura, che corse appresso alla volante come Anna Magnani in Roma città aperta, e rovinando a terra nella corsa proprio come lei.
Quella scena mi fece promettere di non dovermi mai ritrovare in una situazione simile. Con Federico appartenente a un altro ambiente, mi sentivo al sicuro.
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