Capitolo 20

Quando a casa dichiarai la mia intenzione di frequentare il corso di teatro, per poco non si scatenò il finimondo.
<< Che cosa vuoi fare te? >> berciò mia madre, in piedi. Eravamo a cena, e lei mi guardava dall'alto in basso, con gli occhi verdi scintillanti di astio.
<< Il corso di teatro, quello della scuola. Guarda che si tratta soltanto di rimanere due ore in più il mercoledì pomeriggio, e poi è gratis, mica si paga >> risposi.
<< E ci mancherebbe che non è gratis! Ma quello è il meno... Già non fai un cazzo dalla mattina alla sera, sempre su quei libri maledetti... E io, tuo padre e tua sorella sgobbiamo! >> mi rinfacciò. Accanto a lei, Simona sorrideva trionfante: essere dipinta come la figlia ideale davanti a me che venivo rimproverata la faceva gongolare, a quella stronza.
<< Guarda che pure io sgobbo. Tutti i giorni appena finito di studiare, proprio perché altrimenti dici che sono una scansafatiche. E il sabato e la domenica, in pizzeria >> le ricordai.
Mia madre aveva preparato la mano destra per tirarmi un manrovescio, quando mio padre prese la parola.
<< E dai, Clè. Che ti costa farla provare? È pure gratis... Ci fossero sempre 'ste cose che non fanno uscire piccioli... >> le fece presente.
La piega della bocca di mia madre, da storta che era, si raddrizzò: tutte le volte che faceva così era un buon segnale, significava che il concetto espresso dall'interlocutore di turno le andava a genio.
<< E va bene, Calò. Basta che non la distrae da 'sti cazzo di studi che ha preteso tanto, la principessina... >> commentò comunque sarcastica. Proprio non riusciva ad avere stima nei miei confronti, non le veniva naturale.
<< Ti pare che si distrae? Idda tiene na capa tanta, pigghia dieci pure se non fa nenti... >> replicò mio padre.
Lo ringraziai mille volte, come facevo da quando ero nata. Era l'unico capace di difendermi dalle grinfie di mia madre e mia sorella.

                                    ***

E così il giorno successivo annunciai a Tony che dalla settimana dopo avrei frequentato il corso.
<< Sapessi quanto sono contento, tesò... Stavamo tutti appesi... >> mi rispose lui.
Il mercoledì della settimana successiva arrivò in fretta, ma per me sembrava non giungere mai: la verità era che non vedevo l'ora di rincontrare Federico Battaglia, il ragazzo che avrebbe interpretato la parte di Nick Bottom in Sogno di una notte di mezza estate.
Non sapevo niente di lui, non ci eravamo mai incontrati prima della settimana precedente: ma da quelle poche ore passate con lui già avevo capito che mi piaceva, e desideravo sapere qualcosa di più sulla sua vita. Chi era, da dove veniva, che lavoro facevano i suoi genitori, se aveva fratelli e cosa desiderava nella vita: era l'ultima domanda, secondo me, la più importante; ero convinta che tutti avessero un sogno, perfino chi, come me, veniva dallo sprofondo e sembrava non avere diritto ad alcun desiderio.
Per pranzo avevo un panino con prosciutto, formaggio e maionese; Federico si avvicinò a me per mangiare: il suo, di panino, era alla frittata. E a giudicare dal bel colore giallo di quest'ultima, doveva essere fatta con uova fresche, magari provenienti dalla campagna o magari biologiche, non come le uova scrause che compravamo nell'unico negozio di generi alimentari del Quartiere, gestito a conduzione famigliare dagli Zanoni, una famiglia di sette persone che non pensava altro che a far fruttare la sua attività.
<< Bella, quella frittata. È gialla di una tonalità molto viva >> osservai, vergognandomi segretamente per essermi attaccata ad una frittata pur di trovare un argomento di conversazione.
<< Grazie, sì. Le uova le producono i miei nonni paterni, che sono ciociari. Come vedi, non sono romano di sette generazioni! >> rispose lui sorridendo.
<< Nemmeno io. Mio padre è siculo >> raccontai. Sapevo benissimo sarebbe stato più corretto dire "siciliano", ma davanti a quel ragazzo mi era sparito l'uso della grammatica.
<< Ah, bella la Sicilia! Sono stato a Taormina, anni fa... >> ricordò.
<< La mia famiglia paterna viene dalle parti di Modica >> replicai.
<< Ah, dove fanno il cioccolato fondente? >> mi domandò.
<< Sì, là. E poi c'è il Val di Noto, dove la Sicilia diventa barocca >> spiegai.
<< L'Italia è bella tutta. Da Nord a Sud non c'è un solo angolo che non sa d'arte... E mi pare di aver capito che a te l'arte piace molto, vero? >> ribatté.
Alla parola arte, mi venne subito in mente Emma: pensai che a me, di arte, piaceva più quella antica, mentre nel senso più ampio del termine era lei la vera appassionata, tanto che aveva scelto di fare l'artistico.
<< Sì, mi piace molto >> dissi. In fondo quella che avevo espresso era una mezza verità.
<< E allora ti piacerà anche il teatro, vedrai! >> esclamò.
Finimmo di mangiare, poi ci avviammo verso il laboratorio teatrale.

                                   ***

Ero talmente felice, del teatro e di Federico, che decisi di parlarne immediatamente con Emma: la cercai a casa sua ma non c'era. Immaginai che fosse nel suo laboratorio, per cui scesi in cantina.
Avevo ragione: lei era dietro la tenda, che dava libero sfogo alle sue creazioni.
<< Emma! >> la chiamai.
<< Leti... Immaginavo che mi avresti cercata qui >> rispose lei.
<< Non ho aspettato il tuo via per scendere quaggiù... Non sei incazzata? >> domandai.
<< No, non lo sono. Saresti venuta a raccontarmi immediatamente del corso di teatro e di quel ragazzo, quel... >> replicò.
<< Federico >> le suggerii.
<< Sì, Federico. Battaglia, mi pare faccia di cognome. Sta in classe con Gabriele. Lo sapevi? >> continua.
No che non lo sapevo. Da quando aveva cominciato ad andare alle superiori, Gabriele viveva in un un universo a parte, figuriamoci se si fosse voltato di nuovo verso di me. Ma mi dava fastidio, dannatamente fastidio, che lo sapesse Emma. Mi sentii come quando gli aveva detto del laboratorio, dopo aver saputo che si era appena fidanzato con me.
<< No, Gabriele non mi racconta più niente da anni, ormai. E nemmeno il fatto che facciamo entrambi le superiori nello stesso complesso ha cambiato le cose. Io faccio la quarta ginnasio, lui la prima liceo, mi considera una bambina >> ribattei.
<< Ci considera entrambe bambine. Ma io l'ho visto, come sai lui sta di fronte alla mia classe. Lo sai quanto sono curiosa... >> mi ricordò. E come dimenticarsene? La sua curiosità ci aveva messe più volte a repentaglio, ma ne era valsa la pena.
<< Non mi importa, se Federico sta in classe di Gabriele. Lui non può più farmi le piazzate di gelosia, ne ha perso il diritto tre anni fa. A me piace, cazzo se mi piace >> dichiarai.
<< Talmente che vorrai andarci a letto? >> mi chiese spudoratamente. Parlava di sesso esattamente come mia sorella o Gilda, senza alcun imbarazzo; perfino Alice, costretta sulla strada, avrebbe avuto più remore di lei.
Tuttavia l'idea di fare l'amore prima di Emma mi faceva sentire vincente, mi dava la certezza che il mio primato, perso lentamente coi quattordici anni, stesse tornando.
Per cui sfoggiai un sorriso a trentadue denti e la guardai, asserendo: << Certo, non vedo l'ora! >>

                                  ***

Uscimmo dopo circa due ore, chiudendo la porta della cantina. Avevamo appena cominciato a salire la prima rampa verso il pianoterra, quando la voce del portinaio Raoul ci raggiunse.
<< Ma guarda un po' chi sta qui, la ginestra e il girasole, sempre pappa e ciccia voi due, eh? Ma non vi farà male tutto questo studiare? >> osservò, con quella sua voce acida e sgradevole.
<< Fatti i cazzi tuoi, Raoul! >> berciò Emma.
<< Ma che modi! Io lo dicevo per il bene vostro... Altrimenti fosse mai che finite come quella sgualdrina che l'Altieri piccolo ha cominciato a portarsi appresso... >> ribatté Raoul, sorridendo con l'aria maliziosa di chi ha appena messo in circolo il più piccante dei pettegolezzi.
Io rimasi di sasso, le pupille di Emma si dilatarono.
<< Che hai detto di Gabriele? >> gli chiese bruscamente.
<< Che forse l'amico vostro s'è messo sulla piazza come gigolò per arrotondare le entrate familiari, ma comunque le clienti se l'è scelte bene... La biondina che stava con lui era niente male, anzi era roba raffinata, tutta curve nei punti giusti, mica come le scrocchiazzeppi che girano da queste parti... >> rispose il portinaio riferendosi a noi.
Non volevo stare a sentire una parola di più. Avevo lasciato che Gabriele facesse la sua vita, ma l'importante era che la facesse fuori dal Quartiere. Invece, questa zoccola altolocata se l'era portata fin sotto casa. Forse avevano scopato dietro qualche fratta, o in uno degli scantinati.
Feci cenno ad Emma di lasciarlo perdere e andarcene, ma lei parve non darmi ascolto, anzi si avvicinò minacciosamente a Raoul.
Aveva l'espressione imbufalita, gli occhi azzurri fuori dalle orbite.
<< Prega che sia vero, perché se scopro che hai calunniato Gabriele vengo qui e ti sgozzo come l'abbacchio sotto Pasqua! >> sibilò, avvicinando un coltellino a scatto, che non avevo mai visto prima di allora, alla gola dell'uomo.
Tremai per alcuni minuti, temendo che l'avrebbe sgozzato per davvero.
<< Io non dico mai bugie, a' pazza psicopatica! >> la apostrofò Raoul terrorizzato. E solo in quel momento Emma allontanò l'arma.

                                   ***

<< Ma sei impazzita? >> le chiesi, sul pianerottolo del primo piano.
<< Quello lì è sempre stato uno stronzo >> si difese.
<< Lo so bene, ma ti pareva un motivo sufficiente per puntargli un trincetto alla gola? >> continuai.
<< Ha calunniato Gabri >> rispose.
<< Potrebbe essere vero che ha una tipa >> ipotizzai.
<< E non ti interessa sapere chi è? >> mi sfidò.
<< Perché dovrebbe interessarmi? >> ribattei.
<< Insomma, Gabri è stato importante, per te, o no? >> insistette.
<< Sì, ma adesso c'è Federico >> replicai.
<< E allora, non gli vuoi andare incontro con la coscienza sgravata, libera dal fantasma di Gabriele che ti si palesa negli occhi ogni volta che ti approcci a un maschio? >> indovinò.
Aveva ragione da vendere. Per quanto nell'ultimo anno fossi stata degnata delle attenzioni dell'altro sesso - anche quando il fine ultimo dei ragazzi si rivelava Emma - Gabriele mi era rimasto stampato sul cuore, e io non avevo fatto niente per mandare via la sua immagine, talmente niente che continuavo a soffrire tutte le volte che lo vedevo abbracciato a una ragazza più grande di me.
Accettai la sua proposta, e i giorni successivi li passammo a pedinare tutti gli spostamenti di Gabriele in coppia, fino a che non individuammo la biondina in questione: si chiamava Paola Bernulli e frequentava la I C, la classe a fianco a quella di lui.
Erano seduti al bar Martini e si tenevano la mano, teneramente: quel gesto mi fece stare male, ma non si trattava di gelosia; mi sentii terribilmente egoista, incapace di lasciarlo andare veramente e di fargli vivere la sua vita senza che ciò incidesse negativamente sulla mia.
Quella sera andai a dormire con l'animo vuoto.

                                  ***

Da quel momento in poi mi concentrai solo su Federico: nel giro di qualche mese, complici le prove di Sogno di una notte di mezza estate e i ruoli di Titania e Nick Bottom, ci dichiarammo i nostri reciproci sentimenti poco prima del giorno dello spettacolo, che si tenne alla fine di maggio.
Dopodiché a giugno, dopo i quadri, mi propose di venire con lui al mare ad Anzio, nella casa che i genitori affittavano a luglio e agosto; io dissi che dovevo farlo sapere ai miei, che non sapevo se mia madre mi avrebbe dato o meno il permesso: inspiegabilmente disse di sì, allettata dal fatto che i Battaglia fossero benestanti e che potessi fare un fidanzamento mirato a far stare meglio tutta la nostra famiglia.
Ne parlai con Emma: si dimostrò felice per me, ma sentivo che aveva qualcosa di storto, glielo leggevo negli occhi.
<< Che c'è, Emma? Sei triste perché non hai ancora un fidanzato che ti porta in vacanza con lui? >> domandai ingenuamente.
<< No, sai quanto me ne frega? Un giorno sarò io quella ricca che porterà tutti i suoi uomini in vacanza. Ma intanto sono contenta per te, perché almeno tu stai veramente svoltando >> mi disse.
Quella fu l'ultima volta che parlammo dell'argomento prima che cominciassero i preparativi per la mia partenza: nella valigia misi vestiti, sandali, costumi e parei che ormai consideravo fuori moda, ma mia madre mi avrebbe proibito di comprarmene altri; quest'ultima sembrò cambiare atteggiamento nei miei confronti: divenne apprensiva, elargiva consigli, mi diceva di fare attenzione al Mar Tirreno, che era più sporco del Mediterraneo perché Anzio e Nettuno formavano un polo industriale e inquinante.
I Battaglia mi vennero a prendere un sabato mattina di inizio luglio: appena la macchina si mise in moto, il Quartiere divenne sempre più lontano, fino a che non fu soltanto un puntino all'orizzonte, in fondo al Viale dei morti ammazzati.

                                   ***

Appena arrivammo, la vista di Anzio, con il mare abbracciato da un orizzonte semicircolare, a forma di ferro di cavallo, mi incantò: non ero mai stata sul Tirreno, non mi ero mai soffermata sul litorale laziale, quando con i miei scendevamo giù a Modica tendevamo a lasciarcelo alle spalle.
<< Anzio, ragazzi, è una città ricca di storia... Pensate che proprio nel porto della città, nel 1944, ci fu lo sbarco degli Alleati per liberare la Linea di Cassino dai Tedeschi... >> cominciò a raccontare il signor Luciano Battaglia.
<< E morirono, papà? >> domandò Lorena, la più piccola delle sorelle di Federico, una bambina di sei anni.
<< No, ma molti persero la vita. Ma non ci facevano troppo caso, alla morte. Per loro era un onore morire in battaglia >> continuò suo padre.
<< Ci stanno ancora un po' di resti, lo sai che papà mi ha portato a vederli, una volta? >> intervenne il piccolo Giuseppe, otto anni, rivolto a me.
<< Che palle, Giusè! Non credi che a Letizia possa interessare altro? >> ribatté Nina, la sorella dodicenne. << Sai, Leti, che qui ci sono un sacco di locali ed è pieno di gente, la sera? >> continuò poi, rivolta a me.
<< Invece di pensare sempre e solo a divertirti, prendi esempio da Letizia, che è una ragazza giudiziosa che pensa solo a studiare! >> esclamò la signora Nicoletta.
<< Signora, così mi lusinga... >> dissi arrossendo. Federico mi cinse le spalle con un braccio.
<< Mia madre dice soltanto la verità. Goditi questa vacanza, che con tutti i dieci che hai avuto ai quadri, te la sei meritata! >> esclamò, mentre ci avviavamo verso l'abitazione nella quale saremmo stati per quei due mesi.

                                     ***

Mi abituai presto a quella nuova, temporanea routine.
La casa si trovava al primo piano di una palazzina che ne aveva quattro; nell'appartamento accanto al nostro abitava la padrona di casa, tale Giulia Gagliani, una donna sui quarantacinque anni, vedova ma ancora piacente, con l'appartamento della figlia, andata a stare a Londra, di cui non sapeva che farsene, se non affittarla per l'estate e ripulirla d'inverno; per ammazzare il tempo stava sempre dai Battaglia, che loro accoglievano perché convinti che la solitudine la divorasse.
La mattina ci svegliavamo alle otto, facevamo colazione e per le dieci scendevamo in spiaggia, dove stavamo fino all'una; risalivamo su a mangiare e dalle due alle quattro facevamo i compiti: libri delle vacanze per Nina, Giuseppe e Lorena, versioni di latino e greco per me e per Federico.
Dopo i compiti scendevamo di nuovo in spiaggia, dove restavamo fino alle sette, poi risalivamo, ci facevamo la doccia a turno e cenavamo in compagnia dell'immancabile signora Gagliani, che raccontava aneddoti della sua vita coniugale e familiare ormai passata: il più coinvolto nei racconti era il signor Luciano, che si commuoveva a quelli tristi e rideva a quelli felici.
A volte Federico, Nina e io uscivamo: lei raggiungeva i suoi amici, noi rimanevamo da soli. Ci baciavamo in continuazione, ma contrariamente alle mie aspettative non andavamo mai oltre: una parte di me apprezzò tutto ciò, significava che per lui non ero una ragazza facile, mi rispettava.
Mi piaceva Federico, mi piaceva la sua famiglia e soprattutto mi piaceva Anzio: non avrei mai voluto andare via da quel paradiso a pochi chilometri da Roma, avrei voluto rimanerci per sempre.

                                     ***

In quell'oasi di pace gli echi del Quartiere e dei suoi drammi mi arrivavano lontani, ma comunque mi arrivavano: aspettavo notizie di Emma, volevo sapere cosa le passava per la testa dal giorno in cui aveva puntato quel coltellino a scatto alla gola di Raoul, pronta a tagliargliela per aver osato parlare male di Gabriele.
Sebbene tra me e lui non ci fosse stata altro che una storiella infantile, un fidanzamento di quelli che si sanciscono da bambini, era stata Emma ad attirare la sua attenzione, con quel "petardo di benvenuto" che gli piantò nella giacca nel 1989; ma mai, prima di allora, avevo immaginato un coinvolgimento emotivo così forte da parte di lei: in fondo lo sapeva benissimo che Gabriele piaceva a me.
Ma c'era stato anche il fatto che lo aveva invitato nel suo laboratorio senza dirmi niente, poco tempo dopo; e quel suo insistere sul fatto che gli Altieri fossero degli squattrinati sembrava quasi una difesa, un'imposizione a non far entrare Gabriele nel suo cuore, nei suoi pensieri.
Un sentimento sconosciuto, nero come il liquame che pensavo si appiccicasse sulle superfici e sugli abitanti del Quartiere durante la notte, quando ero piccola, si stava facendo prepotentemente spazio nella mia testa, infettava il sangue nelle mie vene e si appiccicava come una pellicola sul mio cuore, impacchettandolo fino a stritolarlo: non avevo mai pensato ad Emma come a una rivale in amore, non riuscivo nemmeno a pensarlo; mi sentivo sporca, come se mi fossi macchiata della più vergognosa delle onte. Solo l'idea che lei si trovasse, in quel momento, a Marina di Pisciotta, e che rientrassi prima io di lei, mi tranquillizzava, lasciandomi godere quell'ultima parte dell'estate.

                                     ***

Tornammo a Roma verso la fine di agosto, con un clima diverso da quello della partenza: i Battaglia, che nel viaggio dell'andata erano stati così allegri e spiritosi, genitori e figli, da dopo Ferragosto si erano come incupiti; soprattutto i rapporti tra Federico e suo padre erano andati inasprendosi, anche se non ne capivo minimamente il motivo, né osavo chiederlo a nessuno; a tutto questo si era aggiunta la perenne espressione stizzita della signora Silvia, che lanciava occhiate di rimprovero sempre più frequenti al suo consorte, che aumentavano all'aumentare dell'allegria contagiosa di lui: dentro di me pensavo che stare accanto a una persona troppo estroversa potesse dare fastidio a chi lo era meno - e potevo capirla, visto che sono sempre stata un'introversa cronica - ma non da ritenere che una simile apertura di carattere potesse addirittura essere un vero e proprio problema che avesse gettato un'ombra su quella che mi era parsa, fin da subito, come la Famiglia del Mulino Bianco.
Fatto sta che passammo il viaggio di ritorno prevalentemente in silenzio, e quando la macchina del signor Luciano imboccò il Viale dei morti ammazzati e cominciarono a stagliarsi all'orizzonte i casermoni del Quartiere, capii che non mi interessavano più di tanto, i cavoli dei Battaglia: sicuramente i miei erano rientrati, e avrebbero avuto da ridire che li avevo fatti rientrare prima da Modica perché almeno qualcuno, dentro casa, appena fossi rientrata avrei dovuto trovarlo, e poi dovevo assolutamente parlare con Emma, scoprire cosa le passava per la testa, sapere se mi sbagliavo e sentirmi una merda perché avevo pensato male di lei o confermare quello che temevo e scaraventarla giù per le scale, così a tradimento, e liberarmene per sempre.

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