Capitolo 2

Il commissario Fortis e i suoi collaboratori entrano in casa, li facciamo accomodare senza troppi problemi: non venivano nel Quartiere dall'inizio di luglio, dopo tre mesi di assedio della zona per trovare eventuali collegamenti tra la morte di Italo Bianchi e il suicidio di Laura Martini, l'irrequieta moglie del ferramenta Giovanni Santini. Ma il nesso tra Italo e Laura almeno c'era: lui nutriva una vera e propria ossessione per lei; piuttosto, non capivo cosa avesse a che spartire Emma con lo spacciatore.
<< Come sarebbe a dire che Emma è latitante? >> chiede Gabriele, che ancora non si è ripreso dalla rivelazione di Fortis.
<< È scomparsa quasi in contemporanea col suo amante, sospettiamo che siano latitanti insieme >> risponde il commissario.
<< Emma scompare ogni tanto. Ma poi torna >> interviene Carmine. Per lui le fughe della moglie sono la prassi, l'ultima cosa che gli passa per la testa è sicuramente una sua possibile latitanza.
<< Temo che la dobbiamo deludere stavolta, signor Floris. Monitoriamo i movimenti di sua moglie da tempo >> spiega la Pellegrino.
<< Monitorare? >> domanda stralunato Carmine. La faccenda è troppo torbida, per lui che ha sempre condotto un'esistenza semplice, nonostante Emma non la condividesse affatto.
<< Proprio così, signor Floris. Diventando l'amante di Luca Berardi era entrata nel giro della gente che più conta, a Roma. Si era legata al braccio destro di Ruggero Di Maggio, il Numero 2 della "Di Maggio Building S.p.A." >> sostenne Fortis.
<< Uno degli uomini più ricercati della città >> puntualizza Fontana.
<< Non vi rispondo che non è possibile perché farei soltanto la figura del fesso che casca dalle nuvole, ma quello che so è che mi state dipingendo un'altra Emma, diversa da quella che conosco io.  Che non si lega ai malavitosi ripuliti e soprattutto che non si dà alla latitanza. E adesso scusate, ma non ce la faccio >> si congeda Carmine, trattenendo a stento le lacrime.
<< Mi dispiace, veramente. Non volevamo essere così bruschi. Almeno con voi possiamo parlare? >> fa il commissario.
<< D'accordo. Ma a casa dei miei. Tanto in questo momento non c'è nessuno >> dice Gabriele.
Ha fatto bene a proporre casa dei suoi: mia madre avrebbe buttato Fortis e i suoi fuori a calci in culo.

                                    ***

Mio marito tira fuori le chiavi e apre la porta: l'appartamento della famiglia Altieri ha metratura uguale a quello dei miei, dei Floris, dei Ferranti e di tutti gli abitanti dei casermoni; l'unica cosa che rendeva la famiglia di Gabriele diversa da tutte le altre, nel Quartiere, era il fatto che fossero ricchi, che per una serie di vicissitudini erano stati costretti a trasferirsi qui nel 1989.
Gabriele ci fa strada dentro l'appartamento, noi tutti lo seguiamo.
<< Sistemiamoci in soggiorno >> decide, e ci sediamo tutti intorno al tavolo.
La tensione si taglia con il coltello.
<< Credo che vi convenga parlare principalmente con noi. I Ferranti non vi accoglieranno bene >> li avverto.
<< Non importa, dovremo parlare anche con loro >> afferma Fortis.
<< Allora si vede che non conosce Giulio Ferranti. Quello vi avvelena coi diserbanti >> interviene Gabriele.
<< Può fare quello che vuole, non ne abbiamo paura. Abbiamo affrontato questo posto quando era una polveriera, figuriamoci adesso che la situazione si è affievolita >> sottolinea la Pellegrino.
Sono incoscienti, come i bambini. Ma sono anche coraggiosi. Io li ammiro, dico davvero. Solo che non possono giocare a guardie e ladri coi criminali veri sulla pelle di noi che stiamo in mezzo.

                                    ***

Il commissario e i suoi ci chiedono vita, morte e miracoli di Emma, della sua storia, del suo lavoro di garden designer, della sua vita matrimoniale e dei suoi amanti: rispondiamo a tutte le domande, senza vergogna; le sue abitudini, nel Quartiere, non erano un segreto, per quanto discusse e discutibili.
Usciamo da quell'interrogatorio distrutti - manco fossimo noi i colpevoli - ma vivi: non abbiamo nemmeno fatto colazione per venire qui.
<< Ci facciamo una pizza? >> propone Gabriele. Annuisco senza troppa convinzione: la pizzeria in questione appartiene alla mia famiglia, e andare a mangiare lì significa affrontare le malelingue, a cui ha sicuramente dato la stura mia sorella, tra una margherita e una capricciosa; non ha mai sopportato né Emma né il fatto che fossimo amiche, quindi adesso ci sguazza, nei pettegolezzi su di lei.
Ci sediamo ad uno dei tavoli di fuori.
<< Buongiorno, signori Altieri. Cosa volete ordinare? >> ci chiede la voce di Christian Moretti, il più giovane dei camerieri. Ha diciannove anni e lavora da noi da quando ne ha undici, è sempre stato acuto e in gamba, molto più di tanti suoi colleghi più grandi.
<< Sì Christian, grazie. Io una margherita >> faccio io.
<< Io invece una capricciosa >> mi fa eco mio marito.
<< Arrivano subito le pizze. E se posso permettermi di darvi un consiglio, occhio alla signora Simona. Mozzica più del solito >> dice il ragazzo, prima di sparire dentro.
<< Andiamo bene... >> commenta Gabriele.
<< La conosci, Simona. Sta sempre lì ad aspettare un passo falso di chiunque le stia sul cazzo, e poi gli dà il carico da undici >> rispondo.

                                   ***

Una volta finito di mangiare, andiamo dentro per salutare mio padre e mio fratello Dario: sono le uniche persone della mia famiglia con cui sono andata d'accordo, al contrario di mia madre e di Simona.
<< Ma guarda chi si è degnato di venirci a trovare! >> esclama mia sorella col solito tono di sfottò, che riserva a me e Gabriele ogni volta che torniamo nel Quartiere.
Era l'ultima persona in assoluto che desideravo vedere, specialmente oggi. Sputerà veleno su Emma con tutte le sue forze, già lo so.
<< Simona... >> esordisce mio marito, con un sorriso perfettamente finto.
<< Non c'è bisogno che fai finta di essere contento di vedermi, lo so che ti sto sul cazzo >> risponde mia sorella, brusca come sempre.
<< Cercavamo papà e Dario, dove stanno? >> chiedo subito.
<< Dario è dentro, papà sta parlando coi fornitori. Dovrebbe essere qui a momenti >> riferisce lei.
<< Ah ok, li aspettiamo >> decido.
<< Almeno a voi due la pazienza non manca, al contrario di quella pazza di Emma. Riccardo dall'officina ha visto arrivare gli sbirri, per colpa di quella cretina sono tornati ad invadere il Quartiere... >> sbuffa Simona. Ha sposato il fratello maggiore di Carmine e non ha mai gradito avere Emma come cognata.
<< Stanno cercando di capire che cazzo ha fatto Emma >> sottolineo.
<< Ve lo dico io che cazzo ha fatto: nascere. Da quando siamo piccole ha fatto solo casini, e con l'età adulta non è cambiata affatto. Mi chiedo come la riuscivate a sopportare >> ribatte lei.
Sto per risponderle, quando mio padre entra in pizzeria.
<< Ragazzi! >> esclama, venendoci incontro.
<< Ciao, papà >> lo saluto. Meno male che è arrivato, perché all'ennesima calunnia di Simona nei confronti di Emma, giuro che le avrei messo le mani addosso davanti a tutti.
<< Ma quanto ci hai messo coi fornitori? Che la dovevate fabbricare, la merce? Quella deficiente di Jessica sarebbe stata più veloce! >> bercia mia sorella. Jessica è sua figlia maggiore, ha sedici anni ed una storia con Christian Moretti, che Simona non deve assolutamente scoprire: pensa che il ragazzo non sia adatto a lei, perché è l'erede dell'attività, mentre lui solo un cameriere; ma mia nipote se ne frega del classismo di sua madre, e vorrebbe amare il giovane alla luce del sole.
<< Ringrazia che tua figlia è in cucina, altrimenti sai che polverone... >> risponde mio padre. Poi, rivolgendosi a noi: << Avete già mangiato? >>
<< Proprio poco fa >> afferma Gabriele.
<< E quanto vi fermate? >> chiede poi mio padre.
<< Il tempo che si calmano le acque. Verremo tutti i giorni >> prometto.
<< Letizia! Gabriele! >> interviene Dario, tutto sudato dopo aver sfornato pizze da stamattina alle sei.
<< Dario! >> lo abbraccio, fregandomene del suo stato. C'è sempre stato un legame fortissimo tra di noi.
<< Avete saputo? >> domanda poi.
<< E come no? Ne parlano tutti, e continueranno a farlo >> rispondo.
<< Mi dispiace per Marta. Con questo polverone che sua sorella ha alzato, non potrà nemmeno uscire di casa >> commenta Dario. Tra il matrimonio e il bambino, hanno passato due anni al colmo della felicità, e adesso questo.
Se non conoscessi Emma, mi chiederei se ha almeno un po' di rimorso, per tutte le macerie che lascia dietro di sé, dopo essere stata lei a provocarle; ma siccome la conosco, ho smesso di farmi domande ovvie tanto tempo fa, quando eravamo bambine.
<< Ci stiamo rimettendo tutti, per colpa sua. È meglio per lei se non si ripresenta più >> sentenzia Simona, il disprezzo che le esce pure dalle orbite.

                                     ***

Usciamo dalla pizzeria, dove l'aria si stava facendo pesante, e sbuchiamo sulla piazza principale del Quartiere, cuore pulsante della zona nonché teatro di vicende d'ogni genere; di fronte a noi compaiono i principali negozi ed edifici: la Pizzeria Finelli, il banco di fiori dei Ferranti, l'officina dei Floris, il Bar Martini, l'edicola dei Leonardi, il ferramenta dei Santini, la chiesa con l'oratorio, dove Don Fernando ha celebrato battesimi, cresime, matrimoni e funerali.
In un angolo, avvinghiati come due anguille, si contorcono, in preda alla passione, mia nipote Jessica e Christian Moretti, sbracati sul muro di un vicolo che si affaccia direttamente sulla piazza: si baciano come se si stessero baciando solo loro al mondo, con le rispettive lingue che sembrano fare l'ispezione alle reciproche bocche.
Ci sta, in fondo siamo stati tutti adolescenti, e a quell'età si sente tutto amplificato: l'amore, il dolore, l'invidia, la rabbia. Spero soltanto che non passi di qui mia sorella, altrimenti li ammazza entrambi in un colpo solo, dando vita all'ennesimo caso di cronaca nera nel Quartiere.

                                    ***

Ma tanto allo schifo che ha l'opinione pubblica nei nostri confronti ci siamo abituati.
"Quegli animali del Quartiere Anceschi finiranno con l'uccidersi tra di loro" questo dicono di noi in città.
Il Complesso "Riccardo Anceschi", divenuto col tempo "Quartiere Riccardo Anceschi", poi "Quartiere Anceschi" e infine "Quartiere", venne progettato dall'omonimo e rampante architetto figlio del dopoguerra e della ricostruzione, che fece costruire a tavolino, all'inizio degli Anni Sessanta, un complesso di case popolari nel bel mezzo del nulla, mentre in contemporanea diversi suoi colleghi si occupavano di cementificare le zone limitrofe, sempre più ad est dell'Agro Romano.
Erano quartieri nuovissimi, dotati di tutti i servizi: la piazza principale, la chiesa, i negozi, gli autobus che portavano al centro; solo che questo "tutto" si è frantumato nelle mani degli stessi assegnatari nel giro di pochi anni.
All'interno dei casermoni - palazzine di dieci piani che si chiamavano così perché si sviluppavano in lunghezza e in larghezza, segnati vicino ai portoni perché erano tutti uguali e potevamo perderci - c'era finita gente di ogni genere, provenienza,  partito politico e ideologia: sfollati di guerra e meridionali in cerca di riscatto, militanti delle Brigate Rosse e operai della Fiat, cosicché era venuto a formarsi un minestrone umano tale che non si capiva più chi era comunista e chi democristiano, chi aveva combattuto coi partigiani e chi con le camicie nere.
Quella vita da formicaio aveva annullato tutte le differenze, e l'unica regola era cercare di non morire, anche se questo significava uccidere il proprio vicino di casa.
I morti ammazzati per strada o negli androni delle scale non ci scandalizzavano più: a tutta quella violenza ci avevamo fatto l'abitudine.

                                  ***

La droga arrivò nel Quartiere qualche anno dopo i residenti. Prima era una roba d'élite, per pochi, ma con la liberalizzazione dei costumi diventò un prodotto alla portata di tutti; sniffata, fumata, schizzata in endovena, ingerita in pillole, si rivolgeva ai più diversi target: i ragazzi che volevano farsi le canne nelle aule universitarie occupate; gli spiantati che cercavano di evadere dalla realtà alienante della catena di montaggio; ricchi e poveri, ignoranti e laureati, senza alcuna discriminazione.
A guadagnarci furono gli spacciatori, che si ritagliarono un ruolo trasversale a tutte le classi sociali, a seconda della clientela a cui si rivolgevano.
Da noi ce n'erano stati parecchi, ma quando eravamo ragazzi la scena era predominata da Tito De Angelis detto Chicano, un nostalgico degli Anni Settanta con tanto di giacca con le frange, bandana e boots, gli stivali americani da cowboy, che andava in giro per il Quartiere in moto d'epoca e insegnava i trucchi del mestiere a giovani "emergenti" come Italo Bianchi, Manuel Baschetti e Francesco Santini.
Era fidanzato con Luisa Gijon, una cubista argentina che sosteneva  di amarlo, ma immaginavamo tutti che stesse con lui per i soldi, e per non finire nel mirino del pappone Pino O' Serpente, di cui Chicano aveva una paura fottuta: era impossibile non avere paura di Pino O' Serpente.

                                    ***

Ma il Quartiere non era stato sempre degradato, né i suoi abitanti sempre subumani: c'è stato un tempo, il Boom Economico - a cavallo tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, in cui un ottimismo crescente aveva invaso le persone, e spinto le città ad espandersi, dando vita ai cosiddetti quartieri del futuro; famiglie intere, che avevano fatto più o meno fortuna in quel periodo, si erano trasferite subito in queste zone avveniristiche, anche fino agli Anni Ottanta, convinte di aver trovato la terra promessa: la guerra era finita da vent'anni, il blocco americano forniva aiuti all'Europa occidentale come una flebo, e loro pensavano che le cose potessero andare solo meglio.
Sono stati il degrado, la violenza, i sogni infranti e le promesse formulate e non mantenute a trasformarci in esseri ancestrali, vendicativi e rabbiosi.
Da piccola credevo che un liquame scuro, proveniente dalle zone più putride della città - discariche, baraccopoli, case diroccate - attraversasse il Viale dei morti ammazzati, si appiccicasse ai casermoni e poi avvolgesse, come una pellicola subdola e infame, i nostri cervelli, cuori, stomaci, e tutte le membra dei nostri corpi, fino a corromperci, fino a farci pensare di non poter vivere un'altra vita all'infuori di quella.
Il liquame scuro non esisteva, l'avevo inventato io, ma questa mia spiegazione infantile non era poi così lontana dalla realtà: avevamo un risentimento tale, verso la società che prima ci aveva costituiti e poi abbandonati, che ci accomunava tutti, vecchi e giovani, bianchi e neri, uomini e donne, in un'unica matrice di disperazione.







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