Capitolo 18

Non confidai a nessuno ciò che avevo visto, quel giorno. Mi faceva ribrezzo pensare ad Alice, così dolce e comprensiva, in mezzo alla strada, montata da camionisti sudati e padri di famiglia annoiati, terrorizzata da Pino O' Serpente che, al rientro, faceva le lastre ai suoi incassi.
Ma non ce la facevo nemmeno a tenermi tutto dentro, dovevo parlare con qualcuno. Ricorsi ad Emma: glielo confessai sul 105, mentre andavamo a scuola.
<< Batte >> esordii.
<< Come, scusa? >> domandò lei.
<< Ali, dico. Ha cominciato a battere sul Viale dei morti ammazzati >> risposi.
<< Ah, ecco perché non si faceva vedere più in giro... >> si rese conto lei, a cui non sfuggiva mai niente.
<< Cazzo, Emma. Non penserai mica che si sia messa a battere volontariamente... >> scattai, pensando che la mia amica ragionasse sul concetto di "Tale madre, tale figlia".
<< Sua madre è una zoccola e il suo patrigno un protettore. Mi pare logico, no? >> fece tranquillamente.
<< L'ha costretta Pino O' Serpente, ne sono sicura. Alice ha quattordici anni ed è vergine, sai quanto vale agli occhi di quello stronzo? >> la delucidai. La sua capacità di pensare male delle persone poteva risultare irritante.
<< Un sacco di soldi, sì. Da fargli girare la testa, tanto che potrebbe smettere di mettere le mani addosso a Lilly Marlen perché hanno un'entrata in più. Tu lo sai come cambia quando vede i soldi? >> ribatté.
La stessa frase di quando O' Serpente buttò dalla finestra Lilly Marlen. Ci aveva preso, anche questa volta. Questa sua deduzione non faceva una piega.
<< Dici che Ali ha accettato per difendere sua madre? >> chiesi.
<< Penso che sarà difficile per lei, adesso, la vita nel Quartiere >> commentò Emma.

                                      ***

Ne avemmo la conferma quel pomeriggio, quando andammo a trovare Gilda, che dal giorno in cui era subentrata nel negozio di scarpe dei suoi, non aveva molto tempo libero.
<< Ma guarda qui, ecco le scienziate! >> ci salutò allegramente.
<< E dai, Gi... Scienziate de che... Semmai Leti, che prende sempre tutti dieci >> commentò Emma.
<< Vabbè, ma è sempre stato così fin dalle elementari... Fossimo state tutte così fortunate... >> replicò Gilda.
<< In che senso? >> domandai.
<< Come, non sapete di Alice? Si è messa a fare la puttana, come sua madre >> rispose lei.
<< Da quanto lo sai? >> chiesi, sperando che fossimo solo Emma e io a sapere la verità. E invece pareva essere il segreto di Pulcinella.
<< Mia madre e io l'abbiamo vista una mattina, mentre andavamo ad aprire il negozio. Dovevate vederla, coi vestiti microscopici e la parrucca bionda, sembrava la più broccola di noi e invece, avete capito che drittona? Ha tirato fuori i geni della madre... >> commentò maliziosamente. Anche troppo, tanto che mi era salita una voglia irrefrenabile di prenderla a mazzate: con Alice avevamo condiviso tutto, e adesso lei, invece di compatirla, di chiederle perché l'aveva fatto, insomma di dimostrare un minimo di umanità nei suoi confronti, ne parlava come se fosse una puttana per vocazione naturale?
Meno male che mi trattenni.
<< Noi pensiamo che l'abbia costretta O' Serpente. E che lei abbia accettato per non fargli più gonfiare di botte sua madre, con tutti soldi che adesso vale visto che s'è appena messa sulla piazza... >> spiegò Emma.
<< Pino o non Pino, fatto sta che hanno svoltato. E che Alice ha scopato prima di noi. Mammamia, come mi fa rosicare questa cosa... >> sbuffò Gilda, mettendo a posto l'ennesima scatola di scarpe.
Era sempre stata superficiale, e ce lo aveva dimostrato ancora una volta.

                                     ***

Dovevo affrontare Alice, dirle che se tutti adesso la evitavano, io le sarei rimasta amica, non importava se Emma non mi avesse appoggiato.
La aspettai un pomeriggio, mentre rientrava dal Viale dei morti ammazzati; aveva i capelli della parrucca scomposti, il trucco sfatto e l'aria stanca: chissà quanti clienti doveva essersi scopata.
Non appena la vidi sull'uscio la affrontai.
<< Leti, ma che ci fai qui? >> esordì lei, imbarazzatissima che l'avessi vista conciata a quel modo.
<< Dobbiamo parlare. So tutto >> risposi.
<< Bene, allora non serve spiegazione. Adesso lasciami rientrare, che sono distrutta... >> ribatté Alice.
Ma mi ero ripromessa che non mi sarebbe sfuggita, perciò la presi da parte e la misi al muro: nonostante fossi un chiodo, ero più alta di lei di tutta la testa e per di più ero la migliore amica di Emma e tutti erano convinti che se io la influenzassi positivamente, lei facesse lo stesso con me, ma negativamente.
<< No che non ti lascio andare, Ali. Le ho sentite le persone, giù in piazza, per le strade. Parlano tutti male di te, ma non io. Io lo so che ti ha obbligata O' Serpente dicendoti che se non battevi avrebbe menato talmente tanto tua madre da farla secca, questa volta definitivamente >> replicai, guardandola dritta negli occhi.
Alice, i cui muscoli erano diventati rigidi sotto la mia presa, all'improvviso si rilassò. Mi piantò i grandi occhi marroni nei miei.
<< Ma che ne puoi sapere tu, Leti? Tu vai al classico, sei fortunata. Magari lo sarai ancora di più nel futuro, magari riesci davvero ad andartene da questo posto di merda... Io invece dove vuoi che vado? Sono una figlia di puttana, e adesso sono una puttana io stessa >> concluse abbassando lo sguardo. Quell'affermazione mi aveva talmente annichilita per la sua ovvietà che mollai la presa.
<< Buonasera, belle fanciulle! >> intervenne una voce che avevo sentito spesso, nel Quartiere. Era Italo Bianchi, coi compari di sempre Francesco Santini e Manuel Baschetti.
<< Ragazzi... >> li salutò mestamente Alice, sapendo benissimo cosa volevano quei tre.
<< Abbiamo fatto affari d'oro, dobbiamo festeggiare! >> riferì Manuel, come se non sapessimo che si riferivano a una qualche grossa partita di droga venduta a qualche cliente che aveva offerto loro una cifra da capogiro.
Alice annuì, rassegnata, mentre Italo ci sventolava davanti un bel mazzo di banconote fruscianti: il festeggiamento in questione sarebbe stato un'orgia.
<< E tu, vuoi unirti a noi? >> fece Francesco, rivolto a me.
<< Ma vaffanculo, Francè! >> esclamai disgustata, superandoli e correndo verso casa, mentre dietro di me Italo aveva già messo una mano nella scollatura di Alice.

                                     ***

L'infelice destino di Alice mi aveva spinto a porre l'accento, nuovamente dopo qualche mese, sul rapporto con gli uomini; mi chiedevo cosa ci si dovesse aspettare da un fidanzato, che davvero ti volesse bene e ti rispettasse, o che per fare soldi ti mandasse a fare la puttana sul Viale dei morti ammazzati.
Non riuscivo a chiarire i miei dubbi in un posto come il Quartiere, dove tutto era promiscuo e per di più i miei amici avevano concezioni diverse e discordanti dell'amore: c'era Gilda che fin da piccola aspettava l'ereditiero, l'uomo ricco che le avrebbe fatto fare la vita da signora che lei voleva; c'era Simona che voleva un uomo con i coglioni e i controcoglioni, uno di quelli che riuscissero a stare dietro al suo carattere di merda; c'era Gabriele, che al liceo distribuiva sorrisi e si circondava di belle ragazze della sua età, a cui sussurrava chissà quali parole; e poi c'era Emma, che aveva manifestato, dall'oggi al domani, una bellezza tutta sua, che aveva trasformato le giornate in piazza in una festa perenne, per i ragazzi del Quartiere; Emma che ci faceva credere tutti ma non prometteva mai niente a nessuno, presa com'era solo dai suoi mille progetti sulle composizioni floreali.
Mi domandavo spesso se al liceo le piacesse qualche ragazzo, o se qualcuno fosse uscito pazzo per lei; una volta trovai il coraggio di chiederglielo: lei rise, per tutta risposta.
Pensavo che il suo atteggiamento fosse una reazione a ciò che era successo ad Alice, credevo che facesse di tutto per non fare la sua fine.

                                     ***

Perciò mi buttai a capofitto nelle nuove materie che stavo imparando a scuola: studiavo per non finire come mia madre, che aveva annegato i suoi sogni nei forni della pizzeria e nelle maratone davanti alle telenovelas; come Alice e Lilly Marlen, prede senza scampo di un mostro che si era preso anche la loro dignità; come Gilda, che si sarebbe sposata pure con un vecchio o con un criminale, bastava che fosse ricco; o come Simona, che piantonava i tipi che le interessavano finché non le dicevano di sì per sfinimento.
E soprattutto studiavo per poter accedere definitivamente, un giorno, al mondo dei miei nuovi amici, i quali non conoscevano nessuno che fosse mai stato in carcere, né avevano mai vissuto il degrado, la violenza, le urla, le mazzate.
A forza di studiare non mi accorsi quasi che il tempo volò: tre mesi erano passati dall'inizio del liceo, stavano per cominciare le vacanze di Natale.
Era sabato ed Emma, Simona, Diana e io ci stavamo dirigendo al bar Martini per la pausa pranzo, quando Gilda ci venne incontro raggiante.
<< Ho una notizia bomba: le Di Stefano hanno casa libera a Capodanno, ci hanno invitato a festeggiare da loro! >> esclamò.
<< Ma veramente? >> fece Simona, gli occhi che le brillavano.
<< Sì, ci sarà un sacco di gente, e poi i ragazzi hanno preparato pure i botti, ci hanno promesso che faremo un casino! >> rispose Gilda.
<< Che figata! Devo andare a scegliere un vestito top! >> dichiarò Diana.
<< Io devo essere irresistibile, così Mario lo stendo definitivamente! >> sostenne mia sorella.
<< Spero che non sia un Capodanno come tutti quelli che festeggiamo di solito, io me lo voglio ricordare a vita! >> intervenne Emma.
<< E ce lo ricorderemo eccome, cazzo se ce lo ricorderemo! Sarà il nostro primo Capodanno da soli, senza gli adulti! >> ribatté Gilda.
Alla fine della pausa pranzo ognuno tornò alle rispettive mansioni, ma mentre ci dirigevamo alle rispettive botteghe, c'era una domanda che volevo fare assolutamente ad Emma, così gliela sussurrai all'orecchio.
<< Ma perché non hanno invitato anche Ali? >> chiesi, pensando alla più sfortunata delle nostre amiche d'infanzia.
<< E me lo domandi, Leti? Da lei i maschi ci andranno, a festeggiare, a fare i "botti" una seconda volta... >> commentò amaramente lei, intendendo che Alice li avrebbe aspettati nella sua alcova per un dopofesta di fuoco.

                                      ***

Il giorno successivo andai da lei perché dovevamo decidere gli outfit che avremmo sfoggiato alla festa da Sara e Livia Di Stefano; tra i suoi nuovi amici di scuola c'era Sonia Verdini, la sua compagna di banco che avevo conosciuto anch'io, una ragazza coi capelli striati di blu e un grande talento per il cucito: era capace di creare dal nulla, armata di fantasia, stoffe e macchina da cucire, vestiti talmente belli da far scomparire perfino quelli delle boutique del centro. Con Emma che amava il disegno avevano formato immediatamente una combinazione vincente: una fabbricava i vestiti, l'altra i motivi, e il risultato fu quello che Emma mi mostrò, tirando fuori da una busta due loro creazioni.
<< Sonia si è ispirata esattamente alle nostre personalità per farli >> disse consegnandomi un abito azzurro polvere con la scollatura a V che si allacciava dietro il collo, e delle iris stampate sopra il tessuto.
<< Ma è veramente bellissimo! >> esclamai, poggiandomelo addosso davanti allo specchio della stanza di Emma e delle sorelle.
<< Perché, il mio è da meno? >> fece lei, mostrandomi il suo, un abito rosso a fascia dove il fiore predominante erano le rose rosa.
<< Sono stupendi, nessuno li ha uguali! >> commentai ammirando prima il suo abito, poi di nuovo il mio.
<< Certo, potevi chiederlo anche per me, già che c'eri! >> intervenne Beatrice, aprendo all'improvviso la porta della stanza. A dodici anni, la figlia di mezzo dei Ferranti stava tirando fuori un personale fiero e nessuna voglia di aspettare l'adolescenza per far sapere ai maschi del Quartiere che era una donna.
<< Bea, che cazzo c'è? >> berciò sua sorella, che non sopportava quell'atteggiamento.
<< Perché non hai detto a Sara e Livia che voglio venirci anch'io, da loro, a Capodanno? >> cominciò Beatrice, a braccia conserte, con aria di sfida.
<< Perché sei una bambina, Bea, ti pare che mamma e papà ci fanno fare tardi se ti portiamo con noi? >> ribatté Emma.
<< Ti farei fare sicuramente più bella figura visto che quella che si sa comportare con la gente sono io, mentre tu stai sempre a trattare male tutti! >> le rinfacciò la minore.
<< Anvedi, Leti! Mo pure le pulci c'hanno la tosse! Ma vattene a giocare con le Barbie! >> la cacciò la maggiore.
<< Vaffanculo, sei una stronza! >> sbraitò Beatrice, sbattendo i piedi e poi voltandoci le spalle per correre in soggiorno.
<< Ma non l'avrai offesa? >> le domandai.
Emma mi guardò fissamente negli occhi.
<< No, perché questa è la nostra prima festa di Capodanno da sole, e non voglio farmela rovinare da una muccusella >> disse poi.

                                     ***

Il 31 dicembre arrivò, ed Emma, Simona e io ci presentammo alle otto a casa Di Stefano. Suonammo, e ci aprì Sara.
<< Ragazze, ma siete bellissime con questi vestiti, dove li avete comprati? >> esordì, guardando i nostri abiti.
<< Eh, sapessi... >> fece Emma.
<< Li ha fatti una compagna di scuola di Emma >> spiegai.
<< Certo, ti è tornato utile fare il liceo artistico, Emma. Conosci un sacco di gente tipo stilisti o pittori. Magari dovevo farlo anch'io un liceo, ma sono sempre stata una pippa a scuola e quindi mi va bene così, con la licenza media, tanto un lavoro ce l'ho, in panetteria... >> raccontò, facendoci accomodare.
C'era già un bel po' di gente, anche Mario: Simona gli andò incontro, sorridendo raggiante.
<< Gabriele non c'è? >> domandai, notando l'assenza del fratello.
<< No, è andato a un Capodanno di alcuni amici suoi di classe. Ti pare che ormai metteva piede a una festa nel Quartiere? >> rispose lui.
Da quando aveva cominciato il liceo, nel 1993, Gabriele non si vedeva più in giro per il Quartiere, tornava solo per mangiare, studiare e dormire.
Alcune persone già si scatenavano in pista, al ritmo dei tormentoni di quell'anno che risuonavano dallo stereo piazzato in soggiorno per l'occasione: Laura ballava più di tutti, sembrava essere lei l'anima della festa.
Quando arrivò Italo, sembrava un principe per le arie che si dava, con quei vestiti marcati che sapevamo tutti come poteva permetterseli: s'era allargato con lo spaccio, sia in senso di mercanzia che di clientela, entrambe più pregiate; andò immediatamente a ballare con la maggiore delle Martini, che invece di cacciarlo, accettò, danzando con lui sulle note di "Wannabe", canzone delle Spice Girls.

                                     ***

Come avevano promesso Sara e Livia, più in là l'atmosfera si scaldò con l'arrivo di Chicano e Luisa, che portarono un vero e proprio arsenale di sostanze stupefacenti, venendo assaltati da tutti: anche Emma sgomitò nella mischia, procurando due stecche di hashish per lei e per me; accettai perché quella sera avevo eccezionalmente voglia di fare casino.
Verso mezzanotte i ragazzi cominciarono a preparare i fuochi d'artificio che, a differenza degli altri Capodanni, avremmo sparato non sul terrazzo, ma giù in strada; scendemmo le scale facendo il rituale countdown, e cominciarono ad essere sparati, al grido di "Buon 1996!" di Italo, non solo botti, ma anche bombe Molotov artigianali, ma necessarie a fare un vero bordello, talmente che vennero gli sbirri con le volanti ad intimarci di smetterla, e Manuel puntò la pistola - da dove era scappata fuori quell'arma? - in faccia ad uno di loro, facendoli scappare a gambe levate.
Sparavamo botti e fumavamo di tutto, tanto che si creò una cappa dove non si capiva più dove finiva la polvere da sparo e comincia l'erba e viceversa; sebbene fossi fatta come tutti i presenti, riuscivo a rendermi conto di quanto mi disgustasse quello spettacolo: mi disgustavano quelle armi infuocate e pericolose, che potevano far saltare le dita di chi le maneggiava; mi disgustavano i motteggi e gli stornelli sempre più sconci e volgari; mi disgustavano femmine e maschi, che non sembravano distinguersi più in quel carnaio che s'era formato là davanti.
Tutti ridevano, rideva anche Emma, lei che voleva distinguersi e che invece sembrava essersi perfettamente integrata, risultato subumano del mondo che ci aveva prodotto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top