Capitolo 16

Da dopo il primo ciclo di Emma cominciammo a tenere d'occhio Simona e Mario, anche se mia sorella non aveva tutto questo tempo di fare la civetta col maggiore degli Altieri: con l'avvicinarsi di giugno e degli esami di licenza media, i professori caricavano le terze di compiti che spesso e volentieri non facevano o copiavano - a parte Laura e Antonio, che stavano in classe con Simona, ma quei due erano piccole leggende e appartenevano ad un'altra categoria.
Discutevamo se esternare o meno i nostri dubbi anche a Gabriele: gli avrei detto tutto, se non fosse che Emma mi ricordasse quotidianamente che ormai lui frequentava il liceo classico, che si era fatto nuovi amici e che poco gli sarebbe fregato delle storielle harmony piccantelle del Quartiere, anche se potevano avere come protagonista maschile suo fratello; infatti lo vedevo sempre meno in giro per le vie e più chissà dove, in quei luoghi che una volta erano stati suoi, e forse era questa la grande differenza tra lui e Mario: il minore degli Altieri, nato ricco e scacciato dal Paradiso, da quando gli era stata concessa, grazie agli studi superiori, la possibilità di anelare al suo vecchio mondo, cercava di rientrarvi come se ciò gli spettasse di diritto; tutti questi problemi, invece, il maggiore non se li faceva: non disprezzava affatto il nostro mondo, ormai s'era abituato.

                                     ***

I miei genitori l'avevano capito benissimo che mia sorella pensava più a mettersi in mostra che a prendersi la licenza media, considerata come l'ultimo ostacolo tra lei e il mondo del lavoro: di istituto o liceo neanche ne parlavano, non solo perché Simona per la scuola proprio non era tagliata, ma anche perché ai miei serviva una mano in pizzeria, ed era necessario che imparasse il mestiere prima di subentrare nella gestione, cominciando a fare la gavetta ai forni, come quei pochi dipendenti che mio padre poteva permettersi; tuttavia quell'ultimo ostacolo, come lo chiamavano loro, doveva pur superarlo, e quindi incaricarono me, che ero brava, di aiutarla a studiare per andare agli esami preparata almeno un minimo.
Era un compito abbastanza gravoso: perché mi dava della secchiona, perché voleva smettere, perché mi chiedeva in continuazione di fare pausa; però nonostante questo mi sentivo rivestita di un ruolo importante: ero diventata la custode di mia sorella, fino all'uscita dei quadri.
Certo, il caso volle anche che tale periodo di "studio matto e disperatissimo" coincidesse con i Mondiali di calcio del 1994, e che tra le urla degli abitanti dei casermoni per le gesta degli Azzurri sul campo fosse quasi impossibile concentrarsi; fortunatamente l'Italia si classificò solo seconda, battuta la sera della finale dalla Nazionale del Brasile, e ci risparmiammo festeggiamenti post-vittoria lunghi una settimana, come accadde nel 1982.

                                     ***

Il mio aiuto comunque servì, e Simona venne promossa con sette: non mi ringraziò mai né io mi aspettai il suo ringraziamento, e a settembre cominciò a lavorare in pizzeria; le levatacce erano tremende e i ritmi pesanti da sopportare per una ragazza di quattordici anni, e tutto quel suo sgobbare da mattina a sera insieme ai miei mi fece maturare ancora di più l'idea che io, invece, avrei continuato a studiare, anche se mia madre mi avrebbe fatto la guerra, rinfacciandomi che volevo fare la signora.
Emma e io, invece, cominciammo la terza media, e con le nostre amiche parlavamo del futuro, di cosa avremmo fatto dopo, anche se le ambizioni medie del gruppo non erano altissime: il fatto che Gilda, come mia sorella, avesse preso la licenza media e iniziato a lavorare nel negozio di scarpe dei suoi, non dava, almeno ad Alice e Diana, alcun incentivo a voler conseguire un'istruzione superiore, il che rendeva me, Emma e Viviana, che il liceo lo volevamo fare, un'eccezione alla regola esattamente come lo erano stati, prima di noi, Laura Martini e Antonio Leonardi.
<< Io ho pensato al linguistico o allo psicopedagogico >> esordì Viviana.
<< Lo psicopedagogico? E che è 'sta parola complicata? >> domandò Diana.
<< È un indirizzo che serve per diventare psicologa dei bambini >> spiegò la Caruso.
<< Ma tu non hai nemmeno fratelli minori, che esperienza avresti coi bambini? A te non va di studiare, si capisce benissimo >> la sfottè Emma.
<< E allora tu che vorresti fare? >> la sfidò Viviana.
<< L'artistico, ovviamente! >> esclamo la mia amica.
<< Non si studia neanche lì >> ribatté la Caruso.
<< Ragazze... >> cercai di tenerle buone.
<< E tu, Leti, cosa farai? Sei la più brava di tutta la classe, farai anche tu il liceo, vero? >> intervenne Alice, per darmi manforte.
<< Io ho pensato di fare al liceo classico >> risposi tranquillamente.
<< Proprio come immaginavo io. E allora auguri, quando a giugno lo dirai ai tuoi! >> dedusse Emma con tono sarcastico.
Sapeva che suo padre, alla notizia che lei voleva fare il liceo artistico, le avrebbe fatto la guerra, e in cuor suo sperava che me la facesse anche mia madre, davanti alla mia intenzione di frequentare il classico.
Non era cattiveria, la sua, ma par condicio.

                                     ***

Intanto ci lasciavamo alle spalle il 1994 ed entravamo nel 1995, che si aprì con la vittoria, al Festival di Sanremo, della cantante emergente Giorgia con la canzone "Come saprei": divenne subito una hit per la sua melodia accattivante e per il testo profondo e impattante, nel Quartiere la cantavano tutti e la trasmettevano in ogni emittente radiofonica.
Attorno a noi tutto cambiava, a partire dalla circolazione delle informazioni: fu in quell'anno che nacque il motore di ricerca Yahoo, il mondo entrava ufficialmente nell'era digitale, insieme alla creazione, in Sri Lanka, del primo telefono cellulare; i mesi passavano e noi ci preparavamo a passare dalla preadolescenza all'adolescenza vera e propria: noi femmine arrotondavamo le forme, addolcivamo i lineamenti, i nostri seni diventavano più prosperosi, i glutei si rassodavano; ai maschi invece cambiava la voce, si ricoprivano di barba e peli dall'oggi al domani e facevano a gara a chi avesse più muscoli.
E poi i rapporti tra i due sessi si modificavano, diventavano quasi schermaglie amorose, sguardi e messaggi subliminali carichi di promesse che non si sapeva se si sarebbero mantenute, ma ripensandoci oggi penso che fosse proprio quello il bello di tale età: tutto è un gioco da sperimentare, una terra inesplorata da colonizzare anche col rischio dell'ostilità degli autoctoni.

                                    ***

Di queste schermaglie però, alla fine di maggio del 1995, non avevo molta esperienza: a parte Gabriele, con cui non avevo avuto un vero e proprio impegno, non mi ritenevo certo una Mata Hari, una femme fatale irresistibile che attraeva i ragazzi come le api col miele, costringendoli a fare tutto ciò che voleva: ad interpretare un ruolo simile già ci pensavano Simona, Gilda, Laura e Sara Di Stefano, la migliore amica di quest'ultima, che tuttavia sbavava da tempo immemore prevalentemente dietro ad Italo; non ero nemmeno un'Erinni, una pazza intrattabile come Emma, davanti alla quale sarebbero scappati tutti se non ci fossi stata io a mediare; a dire la verità non mi ritenevo niente di che, anche se spesso i miei amici mi definivano rassicurante: ma alle soglie dei quattordici anni, dire ad una ragazza che è rassicurante è come dirle che è noiosa, e, sebbene non ci fosse alcun fondamento di verità in questo mio timore, ci soffrivo tantissimo, mi sentivo invisibile, nonostante ormai sfiorassi il metro e settantadue e i miei capelli, con le vacanze sotto il sole della Sicilia, dal castano chiaro virassero al biondo; non mi consideravo carina e attrattiva in alcun modo, così, quando incrociai la mia strada con quella di Orlando Floris, il figlio maggiore del meccanico, non feci assolutamente caso a una cosa che, invece, avrei dovuto mettere in conto.
Orlando aveva sedici anni a quel tempo, e verso la fine di ottobre ne avrebbe compiuti diciassette: aveva fatto le medie con Mario, solo che mentre quest'ultimo si era iscritto al tecnico industriale, il giovane Floris aveva scelto di lavorare in officina dal padre: aveva i capelli neri e crespi, gli occhi scuri e un carattere abbastanza semplice, ma gentile e aperto al nuovo.
<< Ciao, Leti! >> mi salutò, mentre tornavo dalla biblioteca della scuola. Mi piaceva quel luogo, potevo leggere e studiare con una pace che dentro casa me la sognavo.
<< Orlà, stai in pausa? >> domandai, sorpresa di avere destato la sua attenzione.
<< Sì, ogni tanto capita a noialtri lavoratori. Ma tu ancora non lo puoi sapere, stai sempre sui libri e sicuramente il tuo futuro non è in pizzeria. O mi sbaglio? >> replicò sorridendo.
Arrossii violentemente, imbarazzata: era più grande di me, ci parlavamo a malapena, che ne poteva sapere di cosa facevo e volevo dalla vita?
<< E tu che ne sai? Chi te l'ha detto? >> scattai infatti, subito sulla difensiva.
<< Me l'ha detto Mario, quando viene in pizzeria per incontrare tua sorella. Mi sa che si piacciono >> osservò.
<< Mi sa pure a me >> risposi velocemente, non capendo bene se voleva provarci o semplicemente trovare un argomento di conversazione come si fa tra compari al bar.
<< Ha detto che vuoi fare il liceo classico, che sei veramente brava. E per dirlo Mario, che alle medie trovava sempre stratagemmi per copiare, è un complimentone! >> continuò lui, sempre con il sorriso.
<< Grazie >> dissi velocemente. Capivo sempre meno le sue intenzioni.
<< E invece la tua amica come sta? >> domandò poi.
Con la mia amica si riferiva ad Emma, e sinceramente non capivo perché me lo chiedesse, visto che non avevano tutte queste occasioni di parlarsi.
<< Bene. Anche lei vuole fare il liceo. L'artistico >> mi affrettai a dire.
<< L'artistico, beh ci sta... È sempre stata brava col disegno, ricordo che ai tornei a scuola faceva sempre vincere la vostra classe... >> ricordò.
<< Comunque stavo andando da lei, a portarle i compiti perché ha avuto la febbre e non è più potuta venire a scuola >> spiegai.
<< Vengo con te, se vuoi >> propose.
Arrossii di nuovo: non avevo mai considerato Orlando, ma sapere che apprezzava la mia compagnia mi rendeva soddisfatta, mi dava l'idea di essere in vantaggio su Emma anche per quanto riguardava i ragazzi.
<< Va bene >> concordai, e insieme ci incamminammo verso casa Ferranti.

                                     ***

Ci venne ad aprire la signora Amanda, che appena ci vide sorrise, facendoci accomodare.
<< Letizia, Orlando... Ma che piacere! Emma sarà contentissima di vedervi... Ha avuto un brutto febbrone, ma adesso è convalescente e sta guarendo >> ci informò, guidandoci fino alla porta della stanza delle figlie, mentre Beatrice e Marta facevano i compiti in camera da pranzo.
Bussò delicatamente.
<< Che c'è? >> fece Emma da dietro la porta. La febbre non aveva sfiancato il suo caratteraccio.
<< Sono qui Letizia e Orlando Floris, con i compiti arretrati... >> esordì Amanda.
<< Che palle, potevano venire per un motivo divertente, ma comunque falli entrare... >> replicò Emma.
Sua madre aprì la porta e noi la seguimmo dentro la stanza: la mia amica si sentiva abbastanza bene da non indossare più il pigiama, ma una maglietta grigio scuro, una salopette di jeans e le converse bianche e nere.
Era seduta alla scrivania, tra matite, acquerelli e fogli pieni di schizzi e disegni finiti.
<< Ciao, Emma! Come stai? >> disse Orlando, mentre la signora Ferranti usciva dalla stanza.
<< Mah, non mi lamento. Tu, piuttosto... Come mai sei venuto con Leti? Pensavo stessi sempre in officina... >> osservò lei.
<< Letizia e io ci siamo incontrati per strada, le stavo facendo i complimenti perché vuole fare il classico, una scelta coraggiosa per una ragazza del Quartiere... E quindi tra una chiacchiera e l'altra abbiamo deciso di venire da te, che a quanto ne so vuoi fare l'artistico... >> rispose il giovane Floris.
<< Sì, voglio fare l'artistico. E quando l'ho detto a mio padre ho dovuto pattuire che lo dovrò aiutare il sabato e la domenica al banco di fiori, a partire da settembre >> raccontò Emma.
<< Ma è un ricatto! >> esclamai sdegnata.
<< Lo faranno anche con te, vedrai. Per i miei genitori e per i tuoi, studiare equivale a non fare un cazzo dalla mattina alla sera, e siccome pensano che sia un lusso da signori, certi lussi si devono guadagnare >> mi spiegò. Sbiancai, ma non tanto per l'idea di lavorare in pizzeria - anche Simona aveva cominciato a quattordici anni - quando per il fatto che era il modo degli adulti di farci la guerra perché eravamo diverse e guardavamo al di là del nostro naso e del soffocante panorama del Quartiere.
<< Eh, ma sicuramente per te sarà una passeggiata, se componi i fiori esattamente come li disegni... Guarda che belli! Quanto sei brava, Emma... >> commentò Orlando, sfogliando le opere di lei. Ma notai che non erano tanto quei disegni ad attirare la sua attenzione, quanto la loro autrice: da quando eravamo arrivati non aveva fatto altro che posare gli occhi su Emma, come se all'improvviso io fossi sparita dalla stanza, o come se non ci fossi mai stata.
<< Quello è niente. Ne ho altre in mente, e vedrete come le farò anche dal vivo. Certo, sarà una missione convincere mio padre, ma sono sicura che appena vedrà la fila di clienti al banco, e i soldi che le mie creazioni ci faranno fare, si ricrederà. Ma ve lo immaginate? "Ferranti & figlie - Composizioni floreali e garden design"... E poi via, dall'Italia fino all'Europa, all'America, finché non ci conosceranno in tutto il mondo! >> esclamò entusiasta. Le brillavano gli occhi, e quel luccichio di vita e ambizione attraeva sempre di più Orlando, rendendomi invisibile: mi sentivo esclusa dall'euforia che aleggiava nell'aria in quel momento, cosicché rimanevo in disparte. Emma se ne accorse.
<< E tu non saresti contenta se ci ingrandiamo, se dal banco di fiori ci evolviamo in un'azienda con tanto di dipendenti? >> mi domandò, cogliendomi alla sprovvista.
<< Sì, certo che sarei contenta. Ma adesso pensa a studiare e a passare gli esami di terza media, così potrai avverare il tuo sogno >> risposi, tra lo sforzato e il sarcastico.
Non so come feci a non lasciar trasparire tutta la mia rabbia: ero furiosa con Orlando perché mi aveva usata per fare lo scemo con Emma, ed ero furiosa anche con Emma perché, invece di mandarlo a fanculo come mi aspettavo, aveva fatto la civetta.

                                      ***

Capii presto il motivo della sua civetteria: qualche giorno dopo, quando guarì, mi diede appuntamento urgente all'Incompiuta per farmi vedere una cosa importante.
<< Guarda un po' cosa mi ha rimediato Orlando... >> esordì, sorridendo maliziosamente, mentre tirava fuori delle cartine e una busta dal contenuto inconfondibile, che avevo visto girare di mano in mano all'interno del Quartiere, ma che speravo di non vedere mai tra le mie o tra quelle della mia migliore amica.
<< Ma quella è erba! >> mi scandalizzai subito.
<< Sì, e di quella buona. Orlando mi ha detto che Chicano gli ha fatto un prezzo di favore, visto che gli ha specificato che c'entrava una ragazza >> rispose lei come se nulla fosse.
<< Ma allora Orlando è un tossico... >> commentai sotto shock.
<< Cazzo Leti, tutti i ragazzi fumano qui, ma non significa che siano dei tossici. Certo, alcuni lo sono diventati, ma quello perché non sanno distinguere tra l'evasione e la dipendenza... >> replicò, cercando a modo suo di rassicurarmi.
<< E questa sarebbe evasione, vero? >> le chiesi, con sguardo supplicante.
<< Ma è evidente! >> esclamò lei, seccata dalle mie esitazioni.
Mi misi a seguire con occhi avidi tutta la preparazione della canna che si stava facendo; aveva la mano ferma, sembrava che le rollasse da sempre: l'erba ammucchiata sapientemente all'interno della cartina, che veniva chiusa a tubicino; l'arrotolamento dell'estremità superiore del drum classico, a cappuccio.
A quel punto Emma se la mise in bocca e tirò fuori dalla tasca dei jeans un accendino nero: lo fece scattare e la fiamma accese l'estremità a cappuccio della canna: era stato un lavoro preciso, quasi chirurgico.
Diede un'aspirata, e un'espressione di goduria le si dipinse sul volto, come al culmine di un orgasmo, prima di buttare fuori una nuvola di fumo, il tutto senza il minimo fastidio. Poi se la tolse dalla bocca, e mi guardò.
<< Vuoi provare? >> mi propose.
Fino ad allora avevo passato la mia vita a cercare di non essere da meno di lei, e anche quel pomeriggio di giugno precedente agli esami di terza media mi scattò in testa lo stesso meccanismo. Presi la canna in mano e diedi un'aspirata esattamente come aveva fatto Emma; aveva un sapore forte, ma non mi dispiaceva, anzi. Per certi versi mi piacque pure. Volevo buttare fuori il fumo elegantemente come aveva fatto lei, ma non mi riuscì, e tossii come una deficiente.
Emma sorrise.
<< Vabbè, capita. Abbiamo tutto il tempo del mondo per imparare... >> commentò.
Diedimo qualche altra aspirata finché  il drum non si consumò ed Emma lo spense schiacciandolo col piede.
Tornammo indietro devastate ma soddisfatte.

                                      ***

Quello che vedemmo una volta arrivate davanti ai casermoni ci privò di tutta la pace dei sensi ottenuta poco prima: da un'auto nera scendeva, dopo gli ultimi tre anni passati in carcere, Pino O' Serpente; più magro e scavato, i capelli cresciuti e la barba incolta, aveva le valigie in mano e lo stesso sguardo cattivo di sempre. Rivolse lo sguardo in alto, verso uno dei balconi del secondo piano, dove stavano affacciate Alice e sua madre Lilly Marlen, pallide in volto: fu soprattutto a quest'ultima che l'ex galeotto rivolse un'occhiata carica di rancore e risentimento, perché sentiva che era colpa di lei, del suo essere così irrimediabilmente zoccola,  se aveva buttato di sotto il falsario, con cui di solito andava d'accordo.
Entrò nel portone, diretto nel suo appartamento, e a quel punto Emma e io ci prendemmo per mano: la pace era finita, stavano per tornare le urla e le botte; forse farsi una canna, in quei momenti non sarebbe stata una cattiva idea.

                       

                 

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