Capitolo 12
Come ogni anno, nel mese di maggio si svolgeva l'Eurovision Song Contest, una gara musicale che coinvolgeva diversi Stati dell'Europa: i cantanti superavano una selezione per sette giorni in cui proponevano ogni sera la loro canzone alla giuria: il sabato i Paesi finalisti si sfidavano in eurovisione sulle tv nazionali - nel nostro caso Rai Uno - e la gara ogni volta andava in onda nel Paese del vincitore dell'anno precedente; l'Italia aveva vinto nel 1964, la sua portabandiera fu Gigliola Cinquetti con la canzone "Non ho l'età"; quella di Zagabria 1990 in Croazia, tuttavia, fu un'edizione particolare, perché avvenne sei mesi dopo la Caduta del Muro: per la prima volta la Germania partecipò al contesto canoro come unificata e gli ex Stati Sovietici gareggiarono da liberali; vinse nuovamente l'Italia, il cui concorrente, Toto Cutugno, portò una canzone dal titolo emblematico, "Unite Europe", col testo un po' in italiano e un po' in inglese.
Il sabato della finale, poche ore prima della gara, Emma mi diede il permesso di scendere nel suo laboratorio, voleva farmi vedere la sua ultima creazione: su una tela aveva dipinto un mazzo di fiori coi colori delle bandiere degli Stati dell'ex Urss, legati insieme da un nastro blu con dodici stelle gialle, la bandiera della Comunità Economica Europea.
<< Magari ci porta bene per la vittoria, stasera... >> commentò soddisfatta.
A distanza di anni penso ancora che quel disegno possa aver davvero portato bene a Toto Cutugno.
***
Il 1990 fu anche l'anno dei Mondiali, che si giocarono a Roma, dove si aspettava questo momento dal 1986, quando si era disputata l'ultima edizione; questo evento calcistico aveva sempre gasato la parte maschile del Quartiere, che in quell'occasione non si divideva più in squadre calcistiche regionali ma tifavano tutti la Nazionale degli Azzurri, ma il fatto che le partite, a giugno e luglio, fossero giocate in casa, li fomentava fino a far prendere loro sembianze animalesche, molto più accentuate di quelle che avevano già. Il Quartiere si ricopriva di bandiere dell'Italia che nemmeno alla Festa della Repubblica: infatti ogni volta che maestri e professori della scuola ci passavano davanti, scuotevano la testa indignati per quello che consideravano vilipendio.
La sera in cui cominciarono le partite nessuno uscì, e questo si ripeté fino alla finale, in cui la Germania Ovest - che calcisticamente non s'era ancora riunita a quella Est - stracciò l'Argentina: era un momento sacro in particolare per i maschi del Quartiere, ed ebbi modo di scoprire un sacco di superstizioni e rituali scaramantici di cui non conoscevo l'esistenza.
Gli unici a rimanere estranei a questo fenomeno erano gli Altieri, ma per loro che venivano da altri ambienti, sicuramente la tifoseria era una cosa da plebei: e io, nata e cresciuta in periferia, invece di biasimarli, li capivo; sicuramente si sarebbero sentiti fuori luogo tra le urla provenienti dagli appartamenti limitrofi per un goal o le esclamazioni contrariate per un fuori gioco.
Erano degli outsider, ma siccome lo ero anch'io, ebbi modo di verificarlo definitivamente un pomeriggio di metà giugno: il signor Faria era partito per affari - partiva sempre per dissociarsi dagli eventi del Quartiere - e poiché anche la scuola era finita, passavamo sempre molto tempo in cortile, dove cominciavano a vedersi anche Mario e Gabriele, che ogni giorno si integravano sempre di più con gli altri ragazzi, se non per vera empatia, quantomeno per sopravvivere.
Speravo sempre di incontrarlo da solo e quel pomeriggio il mio desiderio fu esaudito: ci incrociammo per le scale.
<< Leti! >> mi salutò.
<< Ciao, Gabri. Eri giù con tuo fratello? >> domandai.
<< Sì, ci stiamo facendo un sacco di amici. Mia madre diceva che col tempo ci saremmo ambientati. Tu invece? >> rispose.
<< Sto tutto il giorno in cortile ma la verità è che mi annoio un po'. Il signor Ulisse è partito qualche giorno fa e ha detto che starà via per tutto il tempo dei Mondiali >> spiegai.
<< È un tipo strano, questo signor Ulisse. Dicono che sia veramente snob, molto più di quanto dicevano di noi un anno fa... >> commentò.
<< Non è vero, è solo colto in un posto dove tutti sono ignoranti, specialmente quando ci sono eventi che ci fanno fare caciara, come la guerra dei botti o i Mondiali. Sappiamo essere proprio degli animali >> sospirai, vergognandomi per i miei condomini e per il resto del Quartiere.
<< Sì, ieri sera abbiamo sentito il signor Vitali urlare come se fosse un animale scannato... >> disse lui, riferendosi al capofamiglia dell'appartamento accanto al suo.
<< Anche mio padre mica scherza, e ho paura che Dario venga su uguale a lui... >> replicai.
<< Allora voglio farti una proposta... >> esordì, e appena pronunciò quella frase il cuore mi batté nel petto talmente all'impazzata che pareva uscirne fuori. Io e lui. Da soli. Da qualche parte che avremmo saputo solo noi.
<< Perché non ci incontriamo, tutte le volte che i grandi guardano la partita? >> aggiunse poi.
Sentii un'ondata di felicità investirmi da capo a piedi: quello che Gabriele mi stava proponendo era un vero e proprio appuntamento, con tutti i crismi.
<< Sì, lo vogl... Cioè, per me va bene. Ci facciamo compagnia mentre i grandi si sbracciano appresso al pallone! >> ribattei, assumendo in viso una colorazione virante al fucsia.
<< Allora a domani >> fece, in attesa della mia conferma.
<< A domani! >> esclamai, prima di voltargli le spalle e sgattaiolare su per le scale. Quando chiusi la porta dietro di me, un sorriso ebete mi si dipinse in volto: il ragazzino che mi piaceva mi aveva dato un appuntamento, esattamente come facevano i fidanzati veri. Non vedevo l'ora di raccontarlo ad Emma.
***
Glielo dissi mentre eravamo nel nostro rifugio al quindicesimo piano dell'Incompiuta: stava cercando altri teli da mettere sopra le sue opere per non farle scoprire.
<< Gabriele mi ha dato un appuntamento, capisci? Un appuntamento, come si fa tra fidanzati! >> le comunicai.
<< E tu lo hai accettato? >> mi fece, trapassandomi col suo ceruleo sguardo indagatore.
<< Sì, perché? >> chiesi, stupita da come fosse scattata.
<< Sei una cretina, Leti >> dichiarò.
<< Perché mi dici questo? >> domandai, offesa e sbigottita.
<< Perché te l'ho detto tante volte che prima dobbiamo fare i soldi, tanti soldi. Dobbiamo diventare ricche, Leti. Talmente ricche da poterci comprare tutto, anche l'amore degli uomini. Gabriele Altieri è un morto di fame, non ti serve a niente >> rispose roteando gli occhi, come se stesse spiegando per la centesima volta un concetto ovvio a una bambina stupida.
<< Questo lo pensi tu, ma io non sono come te. Non voglio schifare Gabriele solo perché è povero, lui mi piace davvero >> replicai. Non mi trovavo proprio col suo ragionamento opportunista, non alla nostra età.
<< E allora tienitelo, e fate i poracci insieme. Io ho altri piani, per il futuro, fuori da questo posto di merda e con un uomo ricco che mi ama e mi ricopre di regali >> decretò, come se la mia opinione non la toccasse minimamente.
<< Te lo auguro davvero, Emma, anche se non sono d'accordo con te >> affermai.
Non capivo il motivo della sua reazione, non potevo nemmeno immaginarlo e forse avrei dovuto già all'epoca. Pensai che forse si sentiva in difetto perché io stavo per avere un fidanzato e lei, invece, non la sopportava nessuno per il suo caratteraccio; me ne dimenticai presto, concentrata com'ero su Gabriele.
***
Non so come i miei mi diedero il permesso di andare a fare i compiti delle vacanze dagli Altieri: era la prima scusa che mi fosse venuta in mente, ma erano talmente presi dalla partita di quella sera che non si presero la briga di indagare sul vero motivo per cui volevo salire dai signori, come li chiamava mia madre dal giorno in cui erano arrivati, ormai più di un anno fa.
Fatto sta che nessuno fece troppo caso alla mia assenza, nemmeno Simona che non vedeva l'ora di beccare qualsiasi mio passo falso e sputtanarmi coi nostri genitori.
Uscii di casa e quasi mi prese un colpo: pensavo di dover salire le scale fino a casa Altieri, e invece Gabriele mi aspettava sul pianerottolo.
<< Oddio! Ma tu eri già qui? >> trasalii.
<< Sì, non vedevo l'ora che uscissi per portarti a vedere una cosa... >> rispose lui sorridendo.
<< Che cosa? >> chiesi incuriosita.
<< Seguimi e vedrai >> disse lui, prendendomi per mano e conducendomi giù per le scale, mentre il mio cuore sobbalzava nel petto.
Uscimmo dal casermone e fummo immersi nella sera di giugno: i grilli e le cicale cantavano, riempiendo i silenzi che intercorrevano tra un boato legato alla partita e l'altro; le luci della città brillavano in lontananza, ad indicarci che c'era un mondo vivo ed eccitante, al di fuori dei nostri confini.
Gabriele mi condusse per le vie deserte del Quartiere fino alla piazza principale, dove passammo davanti ad un locale abbandonato: una volta c'era una libreria, ma aveva fallito perché la nostra non era una zona di letterati; i bambini leggevano a malapena i libri della scuola e gli adulti non vedevano di buon occhio le lettere, sostenevano che non riempivano la pancia.
Da allora nessuno aveva voluto più aprire un'attività commerciale lì, si diceva che quelle quattro mura portassero sfiga a chiunque vi entrasse - e il potere delle chiacchiere era molto forte e sentito, nel Quartiere.
<< Perché siamo qui? >> gli chiesi subito.
<< Perché un giorno, quando Mario e io saremo grandi, ci compreremo questo posto e apriremo un'agenzia di viaggi, con le destinazioni più diverse! >> esclamò soddisfatto.
<< Non ti conviene, qui mica sono così ricchi da poter fare i viaggi intorno al mondo! >> obiettai perplessa. Io non ero mai stata fuori dall'Italia, né Emma né tantomeno i nostri coetanei.
<< Invece credo proprio di sì, e lo sai perché? >> mi disse.
<< Perché mai? >> feci allora.
<< Perché adesso che il mondo non ha più barriere tutti vogliono andare dappertutto, e quindi i viaggi non saranno più una cosa solo per ricchi. Saranno low cost, come ho sentito dire dai miei. Però prima dovremmo studiare >> rispose.
<< Allora dovrete prendervi la licenza media e diventare apprendisti a bottega da qualcuno qui in piazza, così mettete i soldi da parte e un giorno potrete comprarvi questo posto, tanto non lo vuole nessuno... >> ipotizzai.
<< No, la terza media non basta. Mia madre dice che Mario ed io dobbiamo prenderci il diploma delle superiori, andare all'istituto tecnico industriale o se siamo bravi con l'italiano e il latino anche al liceo classico >> replicò.
Non avevo sentito mai nessuno, nel Quartiere, parlare di studi superiori, di istituti tecnici e licei: la terza media era il massimo titolo di studio a cui si potesse ambire, da quelle parti; sgranai gli occhi come se non avessi capito bene.
<< Il liceo classico? >> chiesi.
<< Esatto, Leti. Sarebbe bellissimo andarci insieme, anche se io starei due anni avanti a te. Ma tu sei brava, una delle migliori della scuola, e non ci daresti troppo peso >> mi disse sorridendo.
<< Grazie... >> arrossii. Seguì un silenzio imbarazzante, interrotto soltanto da un boato di indignazione: doveva aver segnato un'altra squadra.
<< Dai, andiamo a vedere dentro! >> decise, prendendomi per mano di nuovo e portandomi all'interno dell'ex libreria abbandonata, che non mi faceva più paura, adesso che c'era lui con me.
***
Continuammo ad andare alla libreria abbandonata fino alla fine dei Mondiali, dopodiché, quando tornò il signor Ulisse dal suo viaggio, non ne ebbi più il tempo: Emma e io tornammo a frequentare le sue lezioni tutti i giorni, e poi avevo assolutamente bisogno di chiarirmi con lei; temevo di averle fatto pesare che la mia grazia e la mia pacatezza piacevano ai maschi, mentre lei era spiritata e intrattabile.
<< Emma? >> bisbigliai, mentre Faria ci spiegava l'Impressionismo.
<< Sì? >> fece lei, con lo stesso tono di voce.
<< Tu non sei arrabbiata con me perché esco con Gabriele mentre tu non hai ancora nessuno, vero? >> le chiesi.
<< No, non ti devi preoccupare. Ho capito che ho altri progetti, ma vedrai che qualcuno con cui passare il tempo prima della mia occasione lo trovo, vedrai >> mi tranquillizzò.
La stessa ferrea certezza, lo stesso freddo calcolo di un mese fa, quando le avevo comunicato del mio primo appuntamento con Gabriele.
<< Quindi se lui e io ci fidanziamo e cominciamo a baciarci, tu non saresti gelosa? >> le domandai allora.
<< No, niente affatto >> replicò.
<< Pensavo che gli avessi messo il petardo in tasca perché piaceva a te >> obiettai.
<< Carino è carino, ma non è il mio tipo. E poi gli piaci tu. Te lo lascio volentieri >> ribatté tranquilla, rivolgendo di nuovo lo sguardo alla spiegazione di Faria.
Rassicurata dalla consapevolezza che Gabriele preferisse me a lei - cosa che non era difficile visto che ero più bella e gentile di Emma - non tornai più sull'argomento.
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