CAPITOLO V
Eravamo in quel sudicio e mefitico bagno del liceo classico “A. Moro”, il tempo si era fermato e noi quattro sembravamo gli attori di una qualche opera teatrale drammatica. I riflettori erano puntati su Anna: lei che odiava l'attenzione della gente, lei che rifuggeva qualsiasi contatto umano persino l'amicizia sincera che io le avevo offerto. Eppure eravamo tutti lì, ad attendere di recitare la nostra parte.
Anna alzò appena lo sguardo carico di sofferenza e vergogna, sembrava che si aspettasse il mio biasimo e il mio disprezzo di rimando, ma non fu così. Come potevo giudicarla? Come potevo crocifiggerla per quel peccato dettato dalla disperazione? Era un grido d'aiuto - l'ennesimo che nessuno aveva colto - e a me spettava tenderle la mano e tirarla fuori da quel baratro nel quale si stava lasciando scivolare.
E così feci: le tesi la mia mano.
Anna sgranò gli occhi passando dalla mia mano al mio volto incredula, ciuffi castani le incorniciavano il viso mentre il resto dei capelli era raccolto in una coda a metà nuca.
Sembrò quasi scomparire in quelle minute spalle e potrei giurare di aver visto vacillare le sue sottili e lunghe gambe. S'era d'improvviso fatta tutta un fascio di nervi e mentre il buio nei suoi occhi lasciava lentamente il posto al fuoco vivo dell'ira - che in un breve guizzo d'orgoglio credetti di aver alimentato io stesso con quel mio sguardo indulgente - la vidi srotolarsi come una pergamena e riprendere la forma di un soldato pronto a battersi fino all'ultimo respiro.
Potei avvertire leggero lo stridore dei suoi denti sotto la pressione acuta della mascella serrata e mi sorpresi a sentire una profonda fierezza nei riguardi di quella piccola donna che avevo davanti. Fu allora che compresi una cosa fondamentale, quasi una chiave di lettura, della mia Anna, ovvero che nessuno aveva mai davvero creduto in lei oltre le apparenze, oltre quell'involucro che ne custodiva come in un bozzolo una splendida farfalla quale era la sua anima.
Promisi a me stesso che avrei sempre avuto fede in lei, che le avrei affidato la mia stessa vita o che avrei dato quella vita per lei.
Anna si voltò e quasi provai paura per quei ragazzi, un sentimento puro che si fece subito prendere per mano dal mio lato oscuro, del quale non ero a conoscenza, almeno non fino a quel momento: la vendetta.
«Sì, il Moro e io siamo stati insieme, ma ti dirò una cosa di lui che non ama si sappia in giro,» Anna si mise una mano di taglio su metà volto avvicinandosi al tipo con la maglietta dei Metallica e al suo compare, poi sibilò quasi per non farsi sentire da altri, eccetto me che avevo l'udito buono, «non procura molta soddisfazione alle sue donne visto che la natura non è stata poi così clemente con lui», proferì allontanandosi da quei due con un ghigno sornione.
Restai quasi a bocca aperta come quei due beceri individui che presero a fissarsi inorriditi da quella notizia.
Anna mi rivolse una strizzata d'occhio furtiva per poi tornare a interpretare la sua parte, degna del premio Oscar.
«Ehi, ma attenzione a non divulgare questa notizia ad altri poiché tutti sanno quanto il Moro possa divenire terribile nel punire chi lo calunnia», aggiunse con tono solenne, distorcendo lievemente la sua voce per conferire ancora più enfasi alle sue parole.
Dovetti pizzicarmi l'incavo interno della guancia per non scoppiare a ridere mentre osservavo Anna che alla stregua di uno di quei pastori protestanti, che si vedono nei film, spiegava a quei due sterchi di vacca con le gambe i rischi ai quali sarebbero andati incontro.
Eppure quel suo modo di rivolgersi a quei due tipi mi aveva lasciato lievemente basito: ero consapevole della sua dote oratoria e del genio dal quale derivava, ma sentirla ribattere alle volgarità che le erano state rivolte con quel piglio da adulta fatta avrebbe sorpreso chiunque.
Quel suo modo di esprimersi non era semplicemente il frutto di una considerevole intelligenza, ma credo fosse più il risultato di un vissuto talmente rigido da risultare eccessivo persino per un adulto.
Non appena si sincerò di aver reso innocui i miei aguzzini con l'uso della sua tagliente lingua, si avvicinò a me determinata a trascinarmi via da quel posto sudicio come l'animo di quei due tipi.
Mentre Anna mi spingeva lungo il corridoio che portava alla palestra restammo entrambi muti poiché nessuno di noi sapeva da che parte iniziare, ma quel silenzio era in realtà pieno di rumore, quello dei nostri pensieri che sembravano fondersi rendendo le parole un semplice soffio d'aria superfluo.
Così iniziò sul serio quello spinoso sodalizio che ci tenne legati alla stregua di un vincolo fraterno di sangue.
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