CAPITOLO II
Si presentò a scuola con i capelli accorciati fino a sfiorare appena le esili spalle, un marcato colorito ambrato aveva conferito alla sua pelle un aspetto più sano e coperto in parte i lividi. Il fisico sembrava essersi più arrotondato e i primi accenni di una femminilità in piena fioritura disegnavano la sua figura.
Molti dei miei compagni erano tornati a scuola più alti di diversi centimetri e la voce roca, altri invece sembravano parlare in falsetto suscitando l'ilarità di molti nella classe. Io, beh... Anche io avevo subito i miei cambiamenti e detto ufficialmente addio alla pubertà. Una mattina mi ero svegliato con peli dove mai avrei immaginato potessero nascere, il mio corpo glabro di bambino si stava trasformando in quello di uomo e, anche se non avrei mai potuto vantarmi con i miei amici di aver raggiunto l'altezza del proprio padre o di un qualsiasi altro parente ritenuto di generose lunghezze, mi potevo compiacere dei miei pochi, ma rilevanti cambiamenti.
Anna sembrava più spigliata, estroversa e a tratti poteva dare l'impressione più di una donna vissuta che di una tredicenne.
Quel suo cambiamento suscitò non poco clamore e un certo malizioso interesse da parte dei compagni maschi.
I primi tempi me ne stetti per i fatti miei a osservare la situazione senza intervenire, nonostante mi costasse parecchio sacrificio. Mi sentivo in qualche modo legato al destino di quella ragazza e la strada che stava intraprendendo spaventava più me che lei.
Un giorno, passando dalla solita via che percorrevo per tornare a casa, scorsi dietro un muretto un gruppetto di ragazzi che parevano delle superiori insieme ad Anna. Se ne stavano appartati a fumare e uno di questi, senza molti giri di parole, si era messo a rivolgere attenzioni abbastanza pesanti alla mia amica. In un primo momento Anna sembrò reggere il gioco, ma quando s'accorse della piega pericolosa che stava prendendo tutta la situazione iniziò a respingere con forza il ragazzo che la stava molestando. La vidi spingerlo via da lei, ma quello insisteva nel volerla toccare. Nel frattempo gli altri ragazzi che erano con loro si erano allontanati: vigliacchi. Io mi guardai attorno, con la paura e la rabbia che danzavano nel mio petto, per cercare qualcosa o qualcuno che potesse soccorrere Anna. Come potevo aiutarla? Non potevo alzarmi e correre da lei, non potevo prendere a pugni quel tizio che la stava importunando, non avevo armi per difenderla. Ero inutile. Strinsi i sostegni delle ruote della mia carrozzina talmente tanto che sentii il tessuto dei guanti conficcarsi nei palmi delle mani. Urlai. Urlai così forte da farmi scoppiare la testa e la gola. Urlai fino a farmi bruciare i polmoni. Anna fu la prima ad accorgersi di me poi fu la volta del suo molestatore. Mi fissò con gli occhi verdi velati di tristezza e forse vergogna. Stringeva ancora la stoffa della maglietta del suo aggressore, ma in un attimo la scena cambiò e vidi quest'ultimo accartocciarsi su sé stesso.
Solo dopo realizzai che Anna, approfittando di un attimo di distrazione dovuta al mio intervento, gli aveva assestato una ginocchiata nei genitali e, dopo avermi strizzato un occhio con fare ammiccante, se l'era data a gambe lasciandomi lì a osservare quel ragazzo mentre si contorceva per i dolori.
Dopo quella vicenda s'insinuò in me come un tarlo: dovevo capire cosa stesse succedendo ad Anna e magari provare ad aiutarla concretamente.
Per prima cosa pensai di dover tentare con lei nuovamente un approccio verbale: parlare e farle capire che di me si poteva fidare.
Non dormii tutta la notte pensando e ripensando a come poter iniziare una conversazione con lei. Ero agitato, frastornato ancora da ciò a cui avevo assistito.
Anna. Anna era in pericolo. Dovevo salvare Anna. Era mia amica. Anna era bella. Anna era intelligente e non avrebbe mai fatto niente che la cacciasse nei guai. Anna voleva provocare i ragazzi. Anna voleva farsi del male. Non soffriva già abbastanza? Dovevo capire chi la torturava. Anna era bella. Anna era …
Scivolai in un sonno ancor più agitato mentre la mia mente rievocava e rielaborava gli eventi successi la mattina. In piedi sulle mie gambe e molto più grande di quanto non fossi, camminavo per strada quando a un certo punto vidi la mia Anna dimenarsi fra le grinfie di un mostruoso individuo. Quest'ultimo aveva la faccia di un serpente a sonagli e con la lingua biforcuta minacciava la povera ragazza che teneva imprigionata con le sue enormi mani verdi e artigliate contro un muro.
Quando sopraggiunsi e mi resi conto di ciò che stava accadendo, mi strappai i vestiti di dosso per restare solo con la mia divisa da supereroe. Ero Superman.
Mi avventati sul mostro e con un solo gesto lo scaraventati lontano da Anna, dall'altra parte della strada. Lei, tutta tremante, mi fissò ancora terrorizzata e io la rassicurai intimandole di fuggire lontano da quel posto, ma lei, prima di andar via, si aggrappò al mio collo e mi diede un lungo bacio sulle labbra.
A quella scena mi svegliai di colpo tutto sudato e con un crampo che dal ventre si irradiava giù dentro i miei genitali. Allungai il braccio per accendere la lampada sul mio comodino e poi mi scoprii delle lenzuola per capire cosa stesse accadendo al mio corpo.
Con mia grande sorpresa e soprattutto disgusto mi resi conto di avere il cavallo dei pantaloni del pigiama completamente bagnato.
Scioccato pensai di essermela fatta addosso, così facendo leva sulle braccia mi misi seduto sul letto e poi mi afferrai entrambe le gambe che posizionai al di fuori di esso. Avvicinai con una mano la carrozzina che avevo accanto al letto e mi ci sedetti sopra. Lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile, scivolai nel buio del corridoio per andare in bagno.
Quando finalmente potei constatare l'entità del guaio che avevo combinato mi resi conto di non essermi bagnato con la mia urina, bensì con una sostanza mai vista prima e che il mio corpo sembrava improvvisamente produrre in grande quantità. Mi ritrovai tutte le mani invischiate di un liquido appiccicoso e lattiginoso che mi fece immediatamente venire il voltastomaco.
Come poteva essere uscita da me? Forse ero malato e quello doveva essere per forza uno dei primi sintomi. Povera mamma, quale altra angoscia le stavo procurando. Ero una continua fonte di preoccupazione per lei che era sola.
Mentre tutti questi pensieri affollavano la mia mente udii aprirsi la porta alle mie spalle.
Trasecolai quando vidi apparire mia madre con i capelli scarmigliati, le pieghe del cuscino che si confondevano con le prime rughe sul suo viso e gli occhi cerchiati e gonfi.
«Fausto! Che succede, alla mamma? Non ti senti bene?» chiese non appena mi vide.
In un attimo mi vennero per la mente tutta una serie di giustificazioni dirette a cercare di addolcire la ferale notizia che stavo per comunicarle, ma la realtà era che il terrore per quel mio stato non mi permetteva di ragionare lucidamente e mi mandò completamente in tilt facendomi scoppiare a piangere.
«Mamma! Mi dispiace, so che ti darò un altro dolore, ma non è colpa mia», biascicai tra i singhiozzi.
Mia madre si inginocchiò davanti alle mie gambe e mi afferrò il viso fra le mani.
«Che succede, Fausto?» chiese ancora con il volto contratto dalla preoccupazione.
Mi feci coraggio e mentre le lacrime continuavano a scendermi copiose lungo le guance le mostrai le mani e il pantalone del pigiama ancora intriso di quella sostanza che tanto mi aveva terrorizzato.
Dopo un primo momento di shock, vidi sulla bocca di mia madre spuntare un sorriso che mi lasciò interdetto.
«Tesoro, non hai nessuna malattia! Sei solo diventato un ragazzo» proferì la sua diagnosi che in un primo momento non seppi se prendere bene o dovermi preoccupare ancora di più.
Credo che mia madre si sia accorta dello sconcerto dipinto sul mio volto, perché subito si affrettò a fornirmi altre informazioni.
«Non devi aver paura. Ti capiterà molto spesso, soprattutto la notte, e poi, più in là, quando avrai una fidanzata.»
A quelle ultime parole vidi il volto di mia madre arrossire lievemente, ma io continuavo a non capire.
«Mamma, io non voglio che questa cosa esca da me!» ribattei con veemenza.
«Oh, amore mio! Non puoi decidere tu. È la natura che deve fare il suo corso in ognuno di noi», sorrise ancora accarezzandomi il capo.
«Anche a te è successo?» domandai improvvisamente assetato di informazioni.
«Beh, in un certo senso, sì. A noi femminucce capita una cosa un pochino più … Come dire? Insomma a noi capita di perdere del sangue ogni mese.»
Immediatamente mi portai le mani alla bocca per lo shock di quelle rivelazioni fatte nel cuore della notte.
Ero terrorizzato, disgustato per quel corpo che non riconoscevo più e la cosa mi confondeva al punto da turbarmi profondamente. Mia madre si prese cura di me, ancora una volta, con dedizione, con infinita dolcezza cercando di rendere quel mio passaggio all'età adulta il più naturale possibile, ma nonostante si prodigasse tanto nel farmi accettare quel cambiamento inevitabile, io mi sentivo inadatto.
Come può la natura di un essere umano decidere che è arrivato il momento giusto per fare avvenire una tale metamorfosi? Io non ero assolutamente pronto, ero un bambino intrappolato in un corpo che scalpitava per diventare grande senza aspettare che io mi sentissi a mio agio a vestire quei nuovi abiti. Non era giusto. Non era corretto. La vita mi stava giocando un altro tiro mancino e io non potevo fare altro che accettarlo di buon grado.
I giorni seguenti mi isolai dal resto della classe sperando che nessuno si accorgesse di quei mutamenti che tanto stavo odiando. Ero completamente assorto nelle mie preoccupazioni esistenziali per rendermi conto di cosa stesse accadendo intorno a me.
Anna si assentò da scuola per diversi giorni e quando ritornò sembrava cambiata ulteriormente. Non so cosa le fosse accaduto, so solo che era diversa e nelle settimane successive le cose sembrarono peggiorare. Appariva stanca, svogliata e i suoi voti iniziarono a calare bruscamente. Dove era andata a finire la ragazza intelligente, introversa e fondamentalmente buona? L'estate sembrava averne cancellato per sempre le tracce e al suo posto aveva restituito una donna licenziosa ed eccessiva, incurante dell'immagine distorta che dava di sé. Provocava chiunque col suo piglio spesso spocchioso e arrogante: dagli insegnanti ai ragazzi più grandi di lei. Sembrava arrabbiata col mondo, Anna. Il suo modo per urlare quella rabbia era quello di darsi definitivamente in pasto a chiunque potesse provare un qualche bieco interesse per lei.
Era sola, Anna. Sua madre, lo scoprii qualche tempo più tardi, era una povera disgraziata quasi quanto mia madre: lavorava come governante nella casa del notaio Cataldi e spesso era capitato dovesse restare anche la notte ad assistere la madre anziana del notaio.
Anna era abituata a badare a sé stessa. Anna era diventata grande troppo in fretta. Anna ha visto la fanciullezza degli altri bambini e non ha potuto fare altro che mandar giù il boccone amaro e caricarsi la propria croce.
Anna aveva anche un padre operaio nella grande industria metalmeccanica che fagocitava la città e tutti i suoi abitanti divenendo sempre più grande e ostile. Il papà di Anna era morto qualche anno dopo il mio, dello stesso male che, solo molti anni dopo si è scoperto essere il prezzo da pagare per un lavoro come il loro.
Anna era cambiata. Anna voleva diventare rondine, ma qualcuno le aveva spezzato le ali. Anna era un angelo precipitato all'Inferno.
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