La vigilia di Natale

Girai il chiavistello e spinsi in avanti la pesante porta d'ingresso, che si aprì cigolando. Scivolai dentro e richiusi la porta distrattamente. Con passo pesante, raggiunsi il salotto dove mi abbandonai sulla mia poltrona preferita: la più vecchia e logora, ma l'unica che in quel momento sembrava darmi conforto.

Meno di ventiquattr'ore prima la mia vita sembrava perfetta, o meglio, lo era. Una famiglia, un padre e una madre da amare e una sorellina da coccolare. Ma il destino della nostra vita non dipende da noi, ma dal Fato.

Era strana la sensazione di gelo che provavo a starmene lì seduto in casa mia: in quell'ambiente così familiare mi era completamente estranea qualsiasi triste emozione.

Decisi di accendere il camino; almeno le fiamme calde del fuoco mi avrebbero scaldato il cuore... Mentre osservavo la debole fiammella diventare un vero fuoco, ricordai nuovamente con tristezza l'incidente, quel maledetto incidente che mi aveva strappato all'affetto dei miei cari.

Continuavo a riviverlo nella testa: la curva, la strada innevata e poi quei fari. I fari di quel pazzo assassino che, nonostante il tempo, aveva comunque voluto sorpassare il trattore in piena curva. Ricordo il boato infernale che ci fu (talmente forte da far alzare in volo contemporaneamente e sciamare via, colorando il cielo grigio per qualche istante, tutti gli uccelli nel giro di qualche chilometro) quando le auto si scontrarono. Pigiai immediatamente il piede sul freno, incapace di ragionare, incapace di ammettere che stava davvero succedendo. Senza preoccuparmi delle macchine che mi passavano vicine, scesi dall'auto e corsi verso quella dei miei genitori. Quando vi arrivai vicino, notai un altro uomo che si stava avvicinando di corsa, un uomo alto, barbuto: l'assassino. Entrambi ci avvicinammo alla macchina, sicuri di non trovare nessuno vivo.

Lasciai lui a controllare l'interno semidistrutto della vettura: non volevo vedere i corpi di coloro che ho amato martoriati. Dopo qualche istante, la faccia dello sconosciuto riemerse. Bastò un solo, lugubre sguardo a confermare quello che avevo già compreso: la mia famiglia era morta.

E pensare che stavamo tornando a casa per festeggiare il Natale in famiglia, come ogni anno. Avevamo già fatto la spesa e il menù per il pranzo del venticinque era pronto: tacchino ripieno all'americana. Ma ormai non ha più senso pensare a questo: ora è arrivato il momento di piangere la morte delle persone che ho così tanto amato per poi "riprendere a vivere", poiché, come disse Albus Silente "è inutile rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere". A sentirla così, questa frase, passare un momento difficile sembra una cosa facile da superare ma, ve lo assicuro, non lo è.

"La morte di un parente ti svuota, ti priva di ogni cosa che hai dentro, ogni briciolo di felicità vola via e non torna".

Fissai l'orologio del soggiorno, segnava le 23.35. Fra venticinque minuti sarebbe stato Natale, un Natale diverso, privo di felicità. Mi alzai e presi a girovagare per la casa, la testa annebbiata. Dopo qualche minuto, però, dovetti uscire: ogni stanza mi faceva tornare in mente i lieti momenti che lì avevo vissuto con la mia famiglia defunta.

Fuori la neve aveva rincominciato a cadere, fredda ma magnifica. Mentre scendevo la scalinata che portava in strada (più o meno quando fui a metà) udii un suono, un canto malinconico che arrivava dalla vicina chiesa. Qualcosa dentro mi disse che dovevo seguire quel canto se volevo stare meglio. Iniziai a camminare trascinando i piedi nella neve in quella direzione.

In strada tutti i passanti si fermavano a fissarmi e a parlarmi alle spalle, abbassando poi la testa, anche loro dispiaciuti per le mie perdite. Non ci feci tanto caso, non volevo essere compianto.

Dopo qualche minuto, raggiunsi la piccola chiesetta di pietra. Dentro, oltre le grandi finestre variopinte, la gente si stava radunando per festeggiare la nascita di Gesù, il Nostro Salvatore. Restai qualche minuto ancora ad ascoltare la melodiosa melodia proveniente dall'interno, dopodiché entrai.

Il sacerdote iniziò la messa proclamando il suo dolore per la morte di due suoi cari amici e della loro figlia, poi si rivolse direttamente a me e disse:

- Tua madre ti voleva bene, tutta la tua famiglia ti voleva bene e non dimenticare, loro sono ancora qui con noi. Ora tu, come è giusto che sia, vedi la loro morte come una cosa terribile; una cosa che era meglio non accadesse mai. Ma, ricorda che "il Signore ha i suoi piani per ognuno di noi". "La morte di una persona significa, a parer mio, che Lui necessitava dell'aiuto di quell'anima pia". Per quanto dolorosa ti possa sembrare la vita, quindi, non smettere di riporre la tua fede in Dio. Dopotutto lui dona e lui, ahimè, è costretto anche a prendere. E ora iniziamo la messa "Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo..."

Per il resto della messa non feci che pensare alle parole del prete, parole che sempre più mi riscaldavano l'animo, poiché facevano rinascere in me la speranza che un giorno avrei rivisto tutti i miei cari: il giorno che Dio avrebbe avuto bisogno di me nel Paradiso. La mia vita, quindi, aveva ancora uno scopo, un'utilità: dovevo solo attendere che i miei pregi servissero al Signore.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top