Ci sediamo sul divano, con tutta la calma che riesco a racimolare gli dico come mi sento, quanto soffro. 

Gli racconto degli attacchi di panico e di quello che è successo prima in bagno, del fatto che non mi riconosco più, che non distinguo il mio corpo allo specchio. Senza dargli il tempo di replicare riassumo anche i discorsi fatti con mia mamma. So che se gli avessi dato il tempo di parlare non mi avrebbe mai lasciato finire, invece io ho bisogno che sappia tutto, ho bisogno che sappia che sto prendendo in considerazione l'idea di non portare avanti la gravidanza. 

Gli ho appena finito di dire tutto e mi sento esausta, con il fiatone, la pancia mi fa male, continuo ad avere queste maledette contrazioni che mi fanno dolere anche i reni. Lui sembra un bambino piccolo che fa i capricci, sta piangendo, stringe i pugni che batte sul bracciolo del divano.

 Ammetto di essere spaventata, ho paura che questa sua ira la indirizzi verso di me, il suo sguardo è cattivissimo. "Non puoi, non devi nemmeno pensare a una cosa del genere cazzo" come se l'unica cosa che abbia ascoltato sia l'ultima frase che ho detto. "Non ti capisco proprio, ora che avevamo finalmente tutto quello che abbiamo sempre desiderato". 

A lui non importa nulla di me di come mi sento, a lui importa solo che non può avere la famiglia del Mulino Bianco che ha sempre sognato. La famiglia fatta da madre, padre, figli, almeno due, e ovviamente uno deve essere maschio perché deve portare avanti il cognome. 

Queste cose io non le ho mai comprese, io non voglio fingere di essere felice solo per le apparenze, perché gli altri vedano che siamo una famiglia per bene. Continua urlando "Mi fai schifo!". Quelle parole continuano a rimbombarmi nelle orecchie, capisco che sia deluso, però non accetto questo suo atteggiamento. 

Mi aveva promesso di starmi vicino e supportarmi ed invece mi sento sola da quando ho fatto quel maledetto test che mi ha cambiato la vita. "Credo tu debba andartene", non credo di aver capito bene "Vai dai tuoi per qualche giorno a riflettere" incalza. Cerco di ribattere, di dirgli che non mi sembra maturo da parte sua, che se abbiamo qualche problema dobbiamo risolverlo noi, che non è compito dei miei farmi ragionare e cambiare idea. 

Mi sfilo la fedina dall'anulare e la sbatto con forza sul tavolo della cucina. Quella fedina per me ha un enorme significato, era la prima volta che qualcuno mi regalava un anello, anche se quel giorno dovevo capire tante cose, me l'ha consegnata davanti ai suoi come regalo di Natale. Mi sentivo in imbarazzo, non sapevo come reagire, anche perché non capivo se era un simbolo o una proposta di matrimonio. Per fortuna poi mi ha detto che era una sorta di impegno che lui si prendeva nei miei confronti, di amarmi e proteggermi. Non la volevo più indossare, lui non ha mantenuto la promessa di proteggermi.

Qualche minuto dopo sono nella sua auto sgangherata,  non possiedo più nemmeno la mia adorata macchina. Non ho fatto i bagagli, ho solo indossato un paio di scarpe da ginnastica e la giacca sopra il pigiama, che per fortuna ho messo uno pulito qualche ora fa. 

Non ero in grado di fare una valigia, non avrei saputo cosa metterci, anche perché spero che domani mi dica di tornare a casa per parlare. Non può finire così ora siamo entrambi arrabbiati e abbiamo reagito senza riflettere, si, è sicuramente così. Mirtillo mi osserva dal sedile del passeggero tra le sbarre del suo trasportino, nemmeno lui ha capito che sta succedendo. 

In cuor mio so che questo è l'inizio della fine, anche se continuo a sperare che torni in se, che i suoi riescano a farlo ragionare.

Ed eccomi qui a pubblicare come promesso questo capitolo, il testo è già tutto scritto e salvato su Wattpad, quindi non c'è il rischio di lasciare a metà la storia. 

Quello che mi manca sono i testi che accompagnano i vari capitoli o le eventuali immagini di copertina. Sono abbastanza in difficoltà nella scelta, la maggior parte delle canzoni non sono recenti, ma nemmeno la storia è ambientata nel presente, quindi  vi dovete subire questo salto nel passato.