Capitolo 4
Mary non parlò con nessuno della conversazione con Moriarty, non nominò nessuno dei punti salienti della loro conversazione.
- Cosa ha detto Moriarty? - le chiese infatti James, e nella sua voce c'era una sfumatura di paura nel pronunciare quel nome. Non aveva voluto accompagnare Mary nella stanza che Nancy le aveva offerto come extra all'orario stabilito. James non avrebbe voluto incontrare mai più quell'uomo. Aveva paura, paura vera e propria.
- Questa volta non c'entra niente - Mary aveva parlato senza guardarlo in faccia, tirando fuori i libri per i compiti.
James non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, ma ancora non era convinto. Mary se ne accorse con una rapida occhiata:
- James, capisco quando qualcuno mente, lo sai bene - Il ragazzo annuì.
Cinque minuti e trentotto secondi dopo Mary aveva chiuso l'ultimo quaderno. James invece aveva il naso immerso in un grande libro e sembrava disperato.
- Vuoi una mano? - chiese Mary.
- Sì, ti prego - rispose lui. Quando Mary si avvicinò le indicò una frase sul libro.
Mary si mise dietro di lui per guardare il libro da sopra la sua spalla e quando il suo respiro arrivò sul collo di James lo vide tremare per un momento.
Gli spiegò brevemente facendo riferimento a diverse frasi sul testo.
- Grazie... - cominciò lui voltandosi a guardarla con intensità. Lei gli rivolse un sorriso, ma non appena si fu voltata la sua espressione si fece grave e si affrettò a chiudersi nella propria stanza: James le voleva bene come a nessun altro. Se lei non ci fosse stata più lui e Sherlock non ce l'avrebbero fatta. Ma scappare da Moriarty era impossibile e Mary aveva solo due settimane.
Dieci minuti prima delle 18:00 Mary, James e Sherlock entrarono in macchina e si avviarono verso il distretto di polizia dove Mary era stata poche ore prima. Nancy li accolse frettolosamente e con fare sbrigativo li portò dritti alle stanze da interrogatori.
- Non avete molto tempo – li avvertì – massimo mezz'ora – Aprì la porta a vetri e rimase fuori dando delle spintarelle leggere sulle spalle dei due ragazzi per farli entrare in fretta. Sherlock stava entrando, ma lei lo trattenne per un braccio. Aveva un'aria tesa. Bisbigliò qualcosa nell'orecchio di Sherlock, che annuì.
- Ti ho sentito, spero non sia un problema – le gridò dietro Mary, ma se ne era già andata. Poi abbassò la voce per riferire a James quello che aveva sentito: la squadra di emergenza che era entrata per prima nella villa dopo l'omicidio non era contenta di essere interrogata.
Davanti a loro, dall'altra parte del macabro ma ormai familiare tavolo di metallo, era seduto il medico legale: un uomo abbastanza giovane ma atterrito dagli anni, alto e magro, con i capelli corti neri e il volto rasato. Gli occhi erano di un azzurro chiarissimo, quasi di ghiaccio. Aveva il pomo d'Adamo molto sporgente, che si abbassava e si rialzava ogni volta che deglutiva. E doveva essere in ipersalivazione, perché continuava ininterrottamente a deglutire.
Ci fu un lungo silenzio: Mary prese la parola, con il suo solito tono da interrogatorio: freddo e sicuro.
- È stato minacciato, dico bene dottor Ward? – Il medico non rispose, gli occhi fissi sulle proprie scarpe, quasi fossero più interessanti di quello che gli era stato chiesto. Aveva incrociato le dita delle mani sul tavolo e le teneva ancora giunte.
- Con qualcuno di molto importante, qualcuno che le sta molto a cuore – Mary continuava imperterrita nonostante i silenzi del medico.
- La conosco da diversi anni, ormai, e sono sicura che non farebbe mai una cosa del genere se non sotto minaccia – Mary si ricordava di diversi anni prima, quando lei e James erano scoppiati a ridere quando il medico si era presentato: Edward Ward. Quello stesso Edward Ward ora non faceva altro che deglutire.
- Lei, dottore, ha affermato apertamente che il decesso della vittima fosse dovuto all'ingerimento di un veleno, ma questo non è vero e ne abbiamo le prove certe – attaccò Sherlock.
- E' ostacolo alla giustizia e alle indagini, un reato molto grave, ne è consapevole? – concluse James. Non ottennero nulla.
Fecero passare qualche secondo, dopodiché Mary aprì un nuovo argomento:
- Anche la squadra di emergenza è coinvolta, quindi. E qualcuno all'obitorio per l'autopsia, la scientifica per eliminare le prove... siete un'intera squadra – Mary lasciò correre il pensiero – Tutti sotto minaccia –
- La squadra di emergenza non c'entra – un primo segno di vita da parte di Ward – Sono entrato per primo. E ho spostato il corpo. – Frasi semplici, secche.
Mary non rispose. Aspettò che quegli attimi di silenzio teso impregnassero i polmoni dell'interrogato. Poi si decise a riprendere la parola, giocherellando distrattamente con il piede di James sotto al tavolo:
- Qui fuori le daranno istruzioni più precise, dottore. Per ora la pena non avrà una data precisa fino a che non verrà scoperto un vero e proprio assassino. Ci baseremo solo sulla sua confessione, sperando che non ci sia dell'altro – Edward si alzò e camminando come uno stecco troppo alto per stare in piedi si avviò fuori dalla porta, ma la ragazza lo bloccò:
- Un'ultima domanda, dottore – questo continuo chiamarlo "dottore" era un po' una presa in giro – Mi servirebbe una veloce analisi al suo cellulare. Gliel'hanno requisito all'ingresso? – Ward annuì, poi si avviò come in trance verso l'uscita.
- Meno uno – esclamò Mary – Uscendo prenderemo il telefono, bastano pochi secondi – aggiunse poi.
Il secondo interrogatorio era con Chloe Dixon, il componente della scientifica.
Arrivò nella stanza, accompagnata dalla sua chioma di riccioli color foglia d'acero. Grosse occhiaie le segnavano gli occhi.
- Ci rincontriamo, dottoressa Dixon, è un piacere – Mary porse la mano tesa, ma lei non l'accettò.
Si sedette sulla sedia appoggiandosi allo schienale con le braccia incrociate sul petto. Passò il solito minuto di silenzio che Mary si prese per osservarla a fondo.
- Anche lei è stata minacciata, dico bene? - Mary era però meno sicura adesso di quanto lo fosse con Ward: lo conosceva, sapeva come interagire con lui e come leggere i segnali che mandava involontariamente. Lei invece sembrava una di quelle persone solitarie alle quali non pesa non avere legami con altra gente.
"Potrebbe essere l'assassino" James glielo comunicò tamburellando con le dita sul tavolo, in alfabeto morse. Mary rispose a voce alta.
- No, troppo sfacciata - disse - Ieri era spaventata, mentre oggi sembra quasi rassicurata - continuava a scrutarla attentamente con gli occhi socchiusi.
- Sono d'accordo - commentò Sherlock - Chiaramente corrotta -
- Chiaramente soltanto una pedina - continuò Mary con amarezza, provando a scioglierla con una tattica diversa. Si accorse di aver ottenuto l'effetto desiderato quando Dixon storse la bocca.
- Il tuo compito era solo quello di chiudere una finestra, di riparare a una dimenticanza di una precedente pedina decisamente inesperta -
- No, non doveva solo chiudere la finestra - Sherlock uscì dalla penombra dell'angolo in cui si trovava e si appoggiò al tavolo frapponendosi tra James e Mary e fronteggiando con la fronte corrugata la scienziata.
- Probabilmente ha aiutato a portare via il corpo - continuò. Poteva sembrare un fiasco totale come interrogatorio visti i silenzi della sospettata, ma era proprio da quello sguardo fin troppo fisso e quasi privo di battiti di palpebre che si leggeva tutto ciò che era successo.
Nancy bussò alla porta a vetri e senza attendere risposta entrò con un'aria preoccupata:
- Sherlock, dovresti venire - fu solo in quel momento che, senza la porta insonorizzata, Mary riuscì a sentire le proteste della squadra d'emergenza - Hanno chiesto di parlarti per questa cosa degli interrogatori -
Mary sospirò, poi si alzò e precedendo Sherlock attraverso la porta passò sotto il braccio di Nancy e si diresse spedita verso le proteste.
- HEY! - gridò più forte che poteva, e tutti si rivolsero verso di lei. Soddisfatta, si sistemò gli occhiali sul naso e disse che non servivano più gli interrogatori, che potevano stare tranquilli e ritornarsene a casa.
Si voltò e tornò dentro, dove James era rimasto a provare invano a ottenere qualche risposta con le domande di routine.
- Perché lo hai fatto? Ci servivano quegli interrogatori – chiese Sherlock a Mary.
- Lo so che può sembrare un po' avventato, ma per oggi abbiamo già abbastanza – disse lei sedendosi nuovamente al tavolo di metallo. Aprì i fascicoli su Dixon e lesse velocemente.
- Perdita prematura dei genitori... mi dispiace. Qui dice che ha vissuto con i suoi zii e suo cugino, un anno più piccolo di lei - Disse poi come nella richiesta di una conferma. Qualcosa si accese negli occhi di Dixon. Suo cugino. Era stato come un fratello. Probabilmente la persona a cui teneva di più in assoluto. Trovato. Un legame forte anche per Chloe Dixon. Le permisero di uscire dalla stanza, l'interrogatorio era finito.
Chiesero il permesso di portare il telefono del medico legale a casa e gli fu accordato, con la condizione di riportarlo quella sera stessa.
Seduti tutti e tre sul divano, coscienti della presenza silenziosa di John dietro di loro, scorsero le foto della galleria di Ward. A Mary venne quasi da ridere: era così ovvio. Un buon ottanta per cento delle foto era della stessa persona. Probabilmente la sorella minore di Edward, affetta dalla sindrome di Down. Nei selfie si capiva benissimo il profondo affetto che li univa. Ecco la minaccia che aveva reso il medico legale complice di quell'intricato crimine.
Ward aveva decisamente paura, paura che in ogni momento il mandante avrebbe rotto la promessa e fatto del male a sua sorella, e lo stesso valeva per Dixon e suo cugino.
Mary digitò su Internet il nome di Catherine Clifford. Cominciò a vedere un video di un'intervista di qualche anno prima. Dopo neanche un minuto mise in pausa con un gesto trionfante:
- Ecco! Ecco la prova che c'è un sicario! -
James e Sherlock spostarono lo sguardo sullo schermo del cellulare.
- Il presentatore le offre da bere, ma lei rifiuta... dicendo che è astemia! - continuò Mary.
- Non capisco come questo potrebbe essere collegato con... - James venne interrotto da Sherlock, che cominciava a capire:
- Ma certo! Certo! Il brandy - disse con un'espressione rinsavita.
- L'assassino ha provato a ucciderla avvelenandola con il brandy, il che vuol dire che non la conosceva, oppure avrebbe saputo che non beveva - Spiegò Mary e anche il volto di James si illuminò.
- Quindi, - ricapitolò la ragazza alzandosi per mimare a grandi linee la scena - Il sicario entra in casa spacciandosi per un fan o un giornalista. Per educazione Catherine gli offre un bicchiere di brandy, lui si offre di prenderlo da solo e ne versa un bicchiere anche per lei - La ragazza fece finta di versare una boccetta dentro un bicchiere – lo porta a Catherine che intanto, vista la sua età, si è accomodata sul divano. Lei dice che non beve, ma il sicario cerca di convincerla, prima gentilmente, ma poi in modo sempre più insistente - Mary ormai sembrava entrata nella scena reale e parlava più a se stessa che a James e Sherlock.
- A disagio, Catherine si dirige dall'altra parte della casa, forse per andare in bagno, che, guarda caso, è proprio accanto alla cabina armadio. Il sicario ha portato un'arma in caso il veleno non funzioni e ora la usa - Mary mimò una pistola con la mano - Catherine è morta, lui la trascina nella cabina armadio, una stanza che si nota poco. Nel frattempo contatta il mandante spiegandogli il problema. Pulisce tutto, per lasciare agli altri complici il meno lavoro possibile. Qualcuno dalla strada sente dei rumori sospetti, chiama la polizia, che arriva in una macchina con le sirene accese. A sentire le sirene il sicario si fa prendere dal panico, non può uscire dalla porta e quindi opta per la finestra, ma dimentica la pistola per terra. La squadra d'emergenza si disperde nella casa, il complice si dirige direttamente verso la cabina armadio e mente alla squadra dicendo che è libera proprio come tutte le altre stanze, ma non fa caso alla finestra aperta. Solo a quel punto vengono chiamati gli altri, la scientifica e il medico legale. Chloe e Edward portano via il corpo dopo aver chiuso la finestra, c'è un altro complice all'ospedale che non permette ai familiari di vedere il corpo, che viene portato subito all'obitorio, dove c'è un'altra persona coinvolta che falsificherà l'autopsia -
Mary corrugò la fronte:
- Ward ha mentito - continuò sollevando il dito indice e muovendolo con aria accusatoria come se avesse davanti il medico legale - Non è stato il primo a entrare, non è possibile sotto un punto di vista tempistico. Ha mentito, nel vano tentativo di proteggere il complice nella squadra di emergenza -
James cominciò a capire: - Ha mentito... per amore? –
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