Capitolo 18
Mary aveva sempre odiato chiudere gli occhi. Non poteva pensare di perdere la vista, come da bambina. Questo non aiutò a placare il panico quando Moriarty le coprì gli occhi con un pezzo di stoffa scura.
- Benvenuti! – Fu l'affermazione dell'assassino, accompagnata da un gesto teatrale della mano. Dopo circa due ore, finalmente Mary poté riprendere a vedere. Tutto intorno a lei si stendeva un campo giallo. Non un campo di grano, o di girasoli. Un campo di steppe, di erbacce. E di fronte a lei c'era un camion, o meglio, il retro di un tir, un rimorchio. Era così arrugginito che la vernice bianca era quasi irriconoscibile.
- Io vado a vedere come stanno Johnny e Sherly, voi aspetterete qui, finché io non tornerò, naturalmente in tempo per le 23:57 - come se stesse fissando un incontro al bar con un amico, Moriarty fece un gran sorriso e si allontanò nell'auto con cui erano arrivati fino a quel luogo sperduto nel nulla. L'uomo che lo accompagnava fece entrare Mary e James nel rimorchio e bloccò la porta scorrevole con una pesante catena chiusa da un lucchetto. L'unico punto aperto, da cui proveniva deviata la luce del tramonto, era una finestrella sulla porta, in alto, chiusa da alcune sbarre.
Dopo una ventina di minuti in cui Mary e James non avevano praticamente fiatato, l'uomo si alzò dalla sedia di plastica su cui sedeva, si avvicinò alla porta e disse:
- Holmes! Moriarty mi ha detto di dirti questo - era così sfigato che rideva del messaggio che stava per riferire come se provenisse da lui stesso - Ha detto che ti senti sempre così sicura di te stessa. Ha detto che devo farti volare più basso. E ha detto che per farlo basta farti ragionare. Ha detto che tu ragioni sempre, ma solo sulle cose che vuoi tu. E invece devi ragionare su questo. Il sei agosto del 2007, all'ospedale, hai aspettato per quasi tre ore. Niente, ha detto che ti ci devo far arrivare da sola - mentre tornava alla sua sedia continuò a ridacchiare.
- Che cosa significa? - chiese James, ma Mary non sapeva rispondere. La notte in bianco del giorno precedente cominciò a farsi sentire e non appena si sdraiò su uno dei cumuli di paglia e fieno che c'erano nel rimorchio si addormentò.
Era sempre lo stesso sogno. Intorno a lei tutto bianco, anzi forse una sfumatura chiarissima di celestino. Il silenzio più assoluto. E lei che cade, giù, giù, giù, senza atterrare.
- Sto cadendo! - Gridò svegliandosi di soprassalto.
- Tutto bene? - Il tono rassegnato di James la colpì più di ogni altra cosa: che cosa importava? Cosa importava vivere quelle ultime ore. Tanto poi sarebbero morti. Mary annuì appena e si mise seduta.
Ragionare.
All'ospedale, nell'agosto 2007.Cosa era successo?
Quel momento vuoto, scappato dai suoi ricordi.
Lo aveva rimosso completamente.
Cosa era successo?
Ora ricordava.
Non lo aveva rimosso.
Lo viveva ogni notte.
Stava cadendo.
- Che cosa succede? - Ora James era più allarmato, aveva notato il cambio improvviso dell'espressione di Mary. La ragazza attese qualche secondo, guardando un punto impreciso nel tir.
- Sono entrata nel panico... - disse poi senza fiato.
- Cosa? - Il sussurro quasi non si era sentito.
- All'ospedale, prima che arrivassero i nostri genitori, quando mi hanno dato la coperta... ho avuto una crisi di panico - James era più sorpreso dal tono con la quale Mary pronunciava la frase che dal fatto stesso.
- Mi dispiace - disse quindi semplicemente - Capita a tutti –
- No... no. Perché una delle poche cose che mi ha fatto andare avanti questi anni era la consapevolezza di aver affrontato tutto ed esserci riuscita. Di essere stata forte, di avercela fatta. Ma ora scopro che non è così, che non lo è mai stato. Lo avevo completamente eliminato dai miei ricordi, sperando di non doverci ma più avere a che fare –
- Ma tu sei stata forte, Mary, sei forte, più di ogni altra persona che io conosca. È una delle cose che ho sempre ammirato di te. Anche il solo fatto che tu sia riuscita a superare tutto ne è una prova – ma Mary continuava per la sua strada:
- Mi sono girata verso la mini TV della sala d'attesa e c'era il telegiornale. Stava parlando di noi. Mi sono buttata a terra e ho cominciato a sentirmi come se non potessi respirare. E come se stessi... cadendo. O almeno questa era la mia sensazione. Continuavo a dirlo, alle persone e agli infermieri che si erano raccolti intorno a me. "Sto cadendo, sto cadendo, non riesco a fermarmi. Voglio atterrare ma se atterro non so cosa succede. Non c'è un fondo. E non respiro. Sto cadendo, sto cadendo, nessuno mi prende. Qualcuno mi deve prendere. Prima che io atterri, qualcuno mi deve salvare". Un infermiere continuava a chiedermi il mio nome. Ora ricordo... ho semplicemente indicato il telegiornale. E tutte le persone che si trovavano intorno a me hanno cominciato a chiedermi "Tu sei Mary Holmes?" E io annuivo e continuavo a cadere. Poi qualcuno ha chiesto chi dovevano chiamare. Una mamma, un papà, volevano un numero di telefono. E io ho indicato di nuovo il telegiornale. Il mio nome era Mary Holmes. Questa era la risposta alla domanda. Perché essere Mary Holmes significava che mia madre era morta, che mio padre era a Strasburgo a inseguire degli assassini che neanche erano lì, che i miei nonni paterni erano morti insieme alle Torri Gemelle, che quelli materni praticamente non volevano neanche sentir parlare di me. Significava che mio zio era morto. Significava che tu eri proprio nella stanza accanto, per quel che ne sapevo praticamente morto. Il problema era essere Mary Holmes. Il problema non è ciò che mi succede, il problema sono io. È come una catena. Come la canzone, "A hole in the bucket". Io sono il problema, io, io sono il foro nel secchio - Mary si fermò di scatto. Aggrottò la fronte e finì per fare quell'espressione che faceva sempre: rilassò il viso, alzò le sopracciglia e sollevò impercettibilmente gli angoli della bocca, come un piccolo sorriso.
- Il foro nel secchio! Non sono il foro nel secchio! - Disse ad alta voce per poi ricordarsi di parlare piano per non attirare l'attenzione dell'uomo che li stava controllando da fuori. James tentava di capire a cosa fosse dovuto quell'improvviso cambio di prospettiva, ma sapeva che con Mary chiedere era inutile.
- Canta quella canzone - gli disse lei estasiata. James cominciò a canticchiare senza sapere il perché.
There's a hole in the bucket, dear Liza C'è un foro nel secchio, cara Liza
So fix it, dear Henry E allora aggiustalo, caro Henry
With what should I fix it, dear Liza? Con cosa dovrei aggiustarlo, cara Liza?
With straw...
- With straw! - Lo interruppe Mary di colpo - Con la paglia! - La paglia, sì, ce ne era un po' nel tir. James si sforzò di capire. Il lucchetto. Sì, doveva essere quello, Mary adorava scassinare i lucchetti, forse ci sarebbe riuscita anche con della paglia.
- Mi serve un bastone - disse Mary guardandosi intorno - Il più lungo possibile - non fu difficile trovarlo, in mezzo alla paglia - Ora dobbiamo accalcarla, tutta sotto la finestrella là in alto, devo poter arrivare a vedere fuori. James accumulò la paglia sotto la finestrella e finalmente Mary gli spiegò:
- La paglia è abbastanza rigida, in particolare se piegata su se stessa, per scassinare il lucchetto. Ma come arrivarci? La finestra è troppo in alto e questo ci impedisce di raggiungerlo. Ma ti ricordi quando il tipo là fuori ha chiuso la porta? Si è sentito il rumore della catena che sbatteva e si è sentito proprio qui, vicino al pavimento. Questo vuol dire che la catena è lunga, tanto che tirandola su con il bastone potremmo arrivare al lucchetto. Quindi devo salire lì sopra, infilare il bastone tra le sbarre e cercare di usarlo per tirare su la catena - sorrise raggiante.
- Ma se la catena è lunga non dovrebbe bastare per aprire la porta? Insomma, basterebbe per creare un varco tra lo stipite e la porta abbastanza largo per passarci, no? – Propose James.
- Sì, ma farebbe troppo rumore. Invece sollevandola con il bastone teoricamente no. Perché aprendo la porta la catena scivolerebbe sul metallo della parete, mentre sollevandola si scontrerebbe solo con l'aria –
- Altro che il foro nel secchio, Mary, tu sei il secchio aggiustato, anche se non c'è nella canzone – disse James altrettanto entusiasta. Mary rise e la cosa particolare fu che rise veramente, forse solo per il sollievo di aver trovato una minima possibilità di salvezza.
- Certo che siamo strani, lo sai? - disse - Stiamo per morire e ridiamo - inconcepibilmente questo li fece sorridere ancora di più.
- E tu cosa sei, nella canzone? - Chiese Mary.
- Io? Allora... Henry, credo - disse James ridendo - O meglio, il secchio bucato –
- Sono d'accordo - rispose Mary.
- Ah, grazie! – Erano decisamente strani. Quantialtri momenti migliori avevano avuto? Infiniti, ma ora si avvicinavanolentamente l'una all'altro, contemporaneamente, come uno specchio, come sesapessero perfettamente cosa stessero pensando. Quando ebbero recuperato ladistanza già minima che li divideva, Mary chiuse gli occhi. Li chiuse di suaspontanea volontà, perché sembrava la cosa giusta da fare, li chiuse e per laprima volta rivalutò il buio. Non era più una distesa infinita che causava levertigini, non era più l'incubo d'infanzia, la voragine così vera e falsa alcontempo, era una parete svolazzante che celava quello che stava accadendodietro di essa, un velo su quel che non era necessario vedere. Cos'è la vista,se non l'ultima pennellata del pittore sull'opera per definire meglio unafigura? Il quinto senso non è altro che un inutile vezzo, un tentativo diraggiungere la perfezione. I colori, se riesci a trovarli, li possiedi anchenel buio. Le stelle brillano nel cielo ma più nei tuoi sogni e le farfallepopolano il tuo cuore più che le foreste. Non le serviva vedere. Non volevavedere. Le bastava sentire il respiro di James sempre più vicino, le bastòsentire il contatto con le sue labbra. E nonostante nella realtà il lucchettolo aprì qualche minuto dopo, le sembrò di aprirlo in quel momento, in quell'attimopreciso in cui, ironicamente, il cielo diventò completamente buio.
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