NUOVE CONOSCENZE (James)


- Cinque e quattro fa nove: scopa! -

- Ma dai, Mary, di nuovo?! Come è possibile che vinci sempre tu? -

- Non ho vinto, mancano ancora due manche -

- Sicuramente, peccato che hai fatto cinque scope, hai preso il settebello e quasi tutti i denari e hai fatto anche la primiera! Hai il doppio delle mie carte! -

Mi fissò con un sorriso vivace, visibilmente divertita.

- Mi diverte troppo quando ti scocci - mi disse.

- Non mi sono sco... - cominciai, ma non potei continuare per mordermi le guance per non ridere. Ma è impossibile: cominciai con uno sbuffo ancora trattenuto e poi mi lasciai andare. Mi piace ridere. Mi dà una sensazione di benessere e sazietà. Ridevo ancora quando mi voltai per caso verso mio padre: lo vidi assorto in chissà quali pensieri, seduto sul bracciolo del divano, intento ad osservare qualcosa di preciso che non c'era nella realtà.

- Papà? - chiamai.

- Mmmm - mi rispose distratto senza voltarsi. Mary mi guardò interrogativa. Alzai le spalle in risposta.

- John, tutto bene? - chiese Sherlock passando in quel momento da casa Holmes a casa Watson. Sempre quello sguardo perso.

- Oh no! - esclamò Sherlock sorridendo ma senza far trapelare nel suo tono il divertimento.

- Che è successo? - chiese mio padre senza voltarsi.

- OH NO! -

- Cosa c'è, Sherlock?! - questa volta si girò verso di noi.

Sherlock rise: - Tu, John, sei innamorato! -

- Ma che cosa stai dicendo? -

- Sei palesemente innamorato -

- Non è vero -

- È vero come è vero che mi chiamo Sherlock Holmes -

- Sherlock, non dire cose di cui non sei certo -

- Contaci, John, lo faccio sempre, ed è proprio per questo che sto dicendo che sei innamorato ... Ora è tutto chiaro: il romanzo d'amore, i corsi di cucina e John Watson che stira! -

Finalmente mio padre ammise che Sherlock aveva ragione.

- Papà? -

- Sì, James? -

- Quando pensavi di dirmelo? -

Non ridevo, non lo prendevo in giro. Il solo fatto che mio padre fosse innamorato di una donna che non fosse mia madre mi sconcertava profondamente. In più ero offeso: perché non me lo aveva detto?

-A breve, James, perché comunque domani l'avreste conosciuta -

- Conoscere chi? - domandai non troppo convinto.

- Alexandra Lhinter - intervenne Sherlock con un sorriso. - Dico bene? -

- Sei impossibile, Sherlock - rispose mio padre con una risata che faceva intendere che aveva ragione.

- Sì! Avevo qualche sospetto -

- Come hai fatto, papà? - chiese Mary curiosa.

- Oh, niente di geniale, semplicemente conosco il mio migliore amico fin troppo bene - sogghignò Sherlock in risposta.



Il giorno dopo era domenica. Mi alzai che mio padre era sveglio da diverse ore. Nell'aria aleggiava un profumo di cibo, capii da dove proveniva non appena lo vidi affannarsi davanti ai fornelli. Alzai gli occhi al cielo prima di essere notato.

-'Giorno- bofonchiai

- Oh, finalmente ti sei svegliato! - affermò mio padre entusiasta - Sbrigati, Alexandra arriverà fra poco-

- A che ora? -

- Alle 13:00 circa - rispose. Diedi un'occhiata all'orologio appeso alla parete.

- Papà, sono le 9:00 ... le 13.00 non sono fra poco -

- Considerando che aspetto questo momento da più di una settimana, quattro ore sono poco tempo -

"Esagerato" commentai fra me e me. "Scommetto che non è nemmeno simpatica"

Come se mi avesse letto nel pensiero, disse:

-Vedrai che ti piacerà, James-



Precisamente tre ore e cinquantasei minuti dopo, Mary mi chiamò con un sussurro.

-Cosa c'è? È arrivata? - chiesi timoroso. Mi indicò fuori dalla finestra.

-Eccola, guarda. -

-Come mai non bussa? Vado ad aprirle. -

- Lasciala stare, James, se non bussa c'è un motivo: è in anticipo, ma non vuole fare una brutta figura e perciò aspetta che siano perfettamente le 13:00-

-Io le donne non le capirò mai-

- Tu mi capisci-

- Non sei una donna, Mary, hai dodici anni -

- Tredici -

- Sì, tra due settimane... e comunque sto parlando delle donne adulte -

- Comincia a prepararti per quando lo sarò -

- Spero mai - mi guardò strana. Poi si voltò nuovamente verso la finestra.

- Ecco, guarda ora- cominciò qualche secondo dopo - il suo orologio segna le 13:00 precise... sta per bussare... ma ha paura che il suo orologio vada male e quindi aspetta... ora si dice che è esagerata a voler arrivare proprio sul secondo esatto... ultimo ragionamento... si è decisa... busserà in tre, due, uno...-

Il campanello suonò. Io e Mary ridemmo.

-Adoro capire cosa pensano le persone- disse.

Mentre osservavamo dal vetro Alexandra che si dava un'ultima sistemata ai capelli chiari, mio padre corse ad aprire la porta e noi ci affrettammo ad allontanarci dalla finestra. Alexandra entrò e, dopo un attimo di imbarazzo generale, papà cominciò con le presentazioni. Cambiai subito espressione: sono una di quelle persone che si possono definire molto timide.

-Alexandra, loro sono James e Mary- disse con una punta di orgoglio. Alzai la mano in segno di saluto. Sherlock ci raggiunse in quel momento. -...E lui è Sherlock, il papà di Mary -

Si strinsero la mano... ci rimasero qualche secondo di troppo: Sherlock. Sfruttava quel momento per cercare di capire qualcosa in più su di lei. Lo stimai per questo. Incrociò le mani dietro la schiena, dando le spalle a me e Mary ma non a mio padre. Cominciò a battere l'indice della mano destra sul proprio braccio sinistro: codice morse.

.._ _ _ _ _ . ._ _ _ .. _. . ._. ..._ _ _ _ ... ._ .._. .._ _ _ ._ _ _ ._

2  g a t t i   n e r v o s a   f u m a     m a

_._. . ._. _._. ._ _.. .. ... _ _ . _ _ . ._. .

C e r c a   d i   s m e t t e r e

Erano semplici deduzioni, bastava osservare la peluria rossa e quella grigia che si trovavano sul suo cappotto, e in quanto al fumare bastava osservare le unghie macchiate dal tabacco. Probabilmente Sherlock aveva dedotto che stava provando a smettere dal fatto che non sapeva di fumo. Più che altro, standole vicino si coglieva un leggero sentore di cloro.

-Di solito capisce più cose, quello che ci ha detto potevo capirlo anche da solo- sussurrai a Mary - dev'essere una persona difficile. -

- Forse - mi rispose lei - ma c'è qualcosa di strano in Alexandra. - Raggiunse gli altri e io la seguii, sovrappensiero.



Il pomeriggio continuò fiaccamente. Alexandra non era antipatica, ma neanche così simpatica quanto affermava mio padre. Era anche piuttosto noiosa. Io, Mary e Sherlock tentavamo di ridere alle sue battute, ma i nostri sorrisi erano così forzati che alla fine mi faceva male la mascella. Coglievo solo sprazzi del discorso, senza mai ascoltare veramente:

- ...odio gli insetti...-

-...amo i gatti...-

-...mi piace fare trekking...-

-...non amo nuotare...-

-Quindi quanti anni hai, James? - mi chiese Alexandra cambiando discorso improvvisamente.

- Quattordici - dissi, inspiegabilmente stupito dal fatto che si rivolgesse direttamente a me.

-Quindi fra un paio di anni... - si interruppe per masticare - Finirai la scuo...- qualcosa le andò di traverso e cominciò a tossire. Ma durò poco e riprese la frase in pochi secondi. - ...la obbligatoria? -

"Parla in modo strano" pensai. Non me ne ero accorto fino a quel momento. E anche la parola -quindi- che ripeteva ogni volta stonava nelle frasi che diceva.

-Sì - risposi, cercando di dare enfasi alla mia risposta per non far notare che pensavo che il mio bicchiere fosse più interessante di lei.

- Continuerai a andare quindi a scuola anche quando l'...- si fermò un attimo per trovare le parole e sembrò cambiare idea su come formulare la frase- quand... quando avrai finito quella dell'obbligo? -

- Sì... sì, certo - risposi. Perché faticava così tanto a dire qualcosa di così semplice?! Sherlock e Mary si scambiarono un'occhiata interrogativa.

- Hai idee per l'università? - continuò Alexandra impassibile.

-A dire il vero, non ci ho mai riflettuto - "anche perché mancano ancora cinque anni" pensai, ma non lo dissi. Per fortuna, la conversazione finì lì. Perché Alexandra diede una sbirciata all'orologio che portava al polso e si accorse che era arrivata l'ora di andare. Aveva una visita medica, disse. Fu un sollievo quando se ne andò.


Qualche minuto dopo Mary mi chiamò dalla sua camera. Quando entrai nella stanza, mi chiese di chiudere la porta. Era seduta sul letto e sembrava molto concentrata su ciò che aveva in mano. Impiegai qualche secondo per capire che si trattava di un registratore.

-Vieni a sentire: ho registrato l'intero pranzo. -

- Sicura che non ti abbia visto? -

- Al cento per cento, perché il registratore ce lo avevo in tasca, non in mano -

- Ti sei accorta che quando parlava con me non riusciva a formulare le frasi tranquillamente? - le chiesi - era come se avesse paura di dire la cosa sbagliata, con tutte quelle pause che faceva per pensare a cosa dire. -

- Sì, ho notato, quando ha cominciato a dire sempre...- si interruppe e sgranò gli occhi. Si alzò di scatto e raggiunse di corsa la scrivania, rovistando in cerca di carta e penna. Scribacchiò qualcosa su un foglietto.

- Hai capito qualcosa? - domandai speranzoso.

Tornò sul letto e mi mostrò ciò che aveva scritto:

A 1                                               L 12                                                W 23

B 2                                               M 13                                              X 24

C 3                                                N 14                                               Y 25

D 4                                                O 15                                               Z 26

E 5                                                 P 16

F 6                                                 Q 17

G 7                                                R 18

H 8                                                 S 19

I 9                                                     T 20

J 10                                                U 21

K 11                                               V 22

-È l'alfabeto - dissi, non capendo.

- Proprio così - disse Mary, con quel suo solito sorrisetto. - È l'alfabeto - aspettai qualche spiegazione. Non me la diede.

- E...allora? - le chiesi. Sempre e solo quel sorriso. Roteai gli occhi:

- Mary, lo sai che è noioso quando fai così -

- Sto spettando che tu ci arrivi - fece una pausa, tamburellando con le dita sulla propria coscia.

- No, non ci arrivi - constatò alla fine, scrutandomi.

-Direi di no - risi.

- Ha detto troppe volte la parola "quindi" e ha fatto troppe pause: lo ha fatto a posta. Per noi. - cominciò - è un codice: quante lettere dopo la parola quindi o quante dopo una pausa. - Finalmente capivo.

- Ascolta - disse mandando avanti la registrazione fino ad arrivare al momento in cui Alexandra si era rivolta direttamente a me.

"Quindi quanti anni hai, James?"

-Quindi, e dopo diciannove lettere, se contiamo anche il punto interrogativo. Solitamente nei codici del genere si conta. Quindi, S -

La mia risposta, poi...

"Quindi, fra un paio di anni ..." pausa.

-Quindici lettere: O-

- Certo! - esultai - Certo, è così! -

- Qui ha fatto finta che le fosse andato qualcosa di traverso -

"Finirai la scuo... la obbligatoria?"

-Tredici lettere: M. Di nuovo quindici: O -

"Continuerai a andare quindi a scuola anche quando l'..."

- Prima di "quindi" ci sono diciotto lettere: R. Poi di nuovo diciannove: S -

"Quand...quando avrai finito quella dell'obbligo?"

-Cinque: E. E poi deve aver finito, perché ci sono trentaquattro lettere dopo la pausa e l'alfabeto ne ha ventisei -

- SOMORSE? - chiesi.

-No, James, non "somorse": so morse. Conosce l'alfabeto morse, ha capito quello che ha detto mio padre -

- Non è una persona qualunque -

- Decisamente no, e vuole farcelo capire -

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