JOHN E JAMES WATSON (Mary)
* I nomi accanto al titolo del capitolo indicano qual è il personaggio che parla in prima persona*
Quando incontrai per la prima volta il figlio di John Watson, il migliore amico nonché inseparabile aiutante di mio padre, lui aveva dieci anni e io ne avevo otto. Appena fui davanti a lui sentii un lieve fruscio-colpetto, come quando i genitori invitano i figli a salutare. E infatti...
- Ciao...? - una voce intimidita. Io ci andai giù sicura:
- Smettila di guardarmi così, non sono una vetrina, o forse non te ne sei accorto? - Captai il ragazzo che voltava la testa e guardava John e mi arrivò alla pelle il soffio di un leggero sospiro.
-Ma fammi il piacere! - continuai –Sarò anche cieca, ma di certo non sono stupida: stai guardando tuo padre in modo strano, ma lui mi conosce. Eh sì, e da tempo, direi. Ecco perché mi chiedo per quale motivo non ci abbiano fatto incontrare prima...- mi voltai con aria accusatoria verso mio padre – forse, perché temevate succedesse questo? Che mi mettessi in mostra? - dopo un'inquietante pausa mi rigirai di scatto e gli Watson ebbero un sussulto.
- Ora, l'unico tremendo dilemma che assilla la mia mente è: sarà morta quella zanzara che ti ha punto ieri sul braccio, James Watson? -
-Banalità, - continuai –probabilmente già sai che i "non vedenti" hanno gli altri sensi più sviluppati: chiunque avrebbe potuto sentire il momento in cui il tuo movimento è partito e quando ti sei grattato. Poi, le bolle cambiano da un giorno all'altro (anche se persone come te non se ne accorgono) ... -
-Mary...- mi interruppe papà quasi in un sospiro. Ma io lo ignorai: - ...Sopra si forma una piccola crosticina, che altera il rumore quando ti gratti la bolla-.
- E... il braccio? - ebbe la sfrontatezza di chiedere, anche se lo fece con un filo di voce.
- Dai, James, ora basta- tentò John. Ma lui s'impuntò:
- No, adesso devo saperlo! - il suo tono era piuttosto cauto, capii che era un ragazzo timido. Però era curioso.
-Come vuoi ...- cominciai con voce benevola.
-Mary...- ritentò papà, ma non fece in tempo a terminare il mio nome che io partii a raffica:
-A me sembrava scontato, per questo non lo avevo nemmeno detto, ma a quanto devo constatare non è scontato che la risposta alla tua domanda sia che quando hai cominciato il movimento hai strusciato contro la maglietta facendomi apertamente capire il preciso momento in cui hai "cominciato l'azione"; quando ti sei fermato non mi è servita molta competenza per capire che la distanza che avevi compiuto era da una posizione a braccia distese lungo i fianchi (solita di chi come te si sente a disagio) al braccio sinistro quindi, ieri una zanzara ti ha punto sul braccio sinistro, o sbaglio?-
- -Mary...- ripeté papà, ma ormai non mi poteva fermare nessuno.
- Dì un po', non ti sei accorto che ho compiuto diversi movimenti per calcolare la distanza? Non te ne sei accorto? Allora forse il figlio di John Watson non è...-
- Mary Margaret Holmes – papà alzò la voce. Parlò lentamente, ma in tono fermo scandendo bene le parole che componevano il mio nome. Questo mi fece ammutolire. Nessuno mi chiamava mai Margaret, eccetto mio zio. Il fatto di dire entrambi i nomi accadeva solo quando papà era veramente arrabbiato o stanco di sentire le mie infinite chiacchiere. In quel caso credo fosse un mix delle due cose. Non era tanto arrabbiato: avevo le mie ragioni per essere così. Mia madre era morta meno di due mesi prima.
Ci fu un agghiacciante momento in cui nessuno osò parlare, ma in cui tutti si guardarono mortificati (o almeno così immaginai). Io tenevo la testa bassa, realmente dispiaciuta. Fummo tutti riconoscenti a John quando ruppe il silenzio:
- Beh, - iniziò con voce spiritosa, ma ancora leggermente corrucciata – adesso possiamo ritenere più che sicuro che Mary sia sua figlia, Mr. Holmes - tutti risero.
- Per favore, caro Dr Watson, mi chiami tranquillamente Sherlock - implorò mio padre.
- Potrei chiederle la stessa cosa-
- D'accordo Sherlock – disse papà in vena di risate, e tutti ridemmo nuovamente.
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