IL 13° COMPLEANNO (James)


- Bè, come ti senti ... tredicenne? - mi chiese Mary subito dopo il "tanti auguri".

- Meglio ... suppongo. Grande. Sai, non lo so dire. Perché non sempre è bello essere più grandi. Mi sento come in responsabilità verso di te. Sai, "IL FRATELLO MAGGIORE". Mi sento così, un fratello maggiore. Mi sento come se ti dovessi proteggere. Anche se forse dovrei proteggermi IO da TE. Vorrei che tu avessi la mia stessa età. -

- E io che mi aspettavo un semplice "bene" - ci mettemmo a ridere. Era la mia festa, l'undici maggio del 2003. Ma ormai ho capito che nemmeno nel giorno del mio compleanno posso stare tranquillo.

In quel momento, mentre l'eco delle nostre risate risuonava ancora nell'aria fiammante del tramonto, una donna terrorizzata spalancò la porta di casa nostra ( non chiedetemi il motivo per cui fosse aperta perché non lo so ) e implorò il nostro aiuto. Noi ci stavamo ancora riprendendo dallo sbigottimento dell'intrusione. Mio padre le si avvicinò. Le disse che era un dottore, e che se ci avesse spiegato con calma il suo problema l'avremmo di certo aiutata.

- Mi chiamo Elizabeth Spark, vengo da Watford. Fino a ieri abitavo assieme a mio marito, Biff, il mio figlio grande, Paul, di venti anni, e i miei due gemelli di nove anni, Annabeth e David. Oggi mi sono svegliata, e ... e... - in quel momento scoppiò in singhiozzi.

- Non si deve preoccupare, Elizabeth, ora ci siamo noi qui con lei, l'aiuteremo volentieri. Ora cerchi di tranquillizzarsi e termini il racconto, la prego. - Tentò di consolarla Sherlock con tono dolce.

- Ok ... ok. Oggi mi sono svegliata e ... mi sono accorta che ... che Annabeth era sparita. Se ne è accorto David, dormono nella stessa camera. È corso da me piangendo e mi ha svegliato. Mi ha detto che si era alzato e aveva trovato il letto di Annabeth vuoto. Mi ha detto di averla cercata per tutta la casa, di averla chiamata, ma lei non rispondeva. Mio marito e Paul pensano che sia voluta scappare di casa, ma sia io che David sappiamo che non avrebbe mai fatto una cosa simile. Lei era felice a casa. Non aveva dei buonissimi rapporti con il fratello maggiore. Ma se è per questo neanche David. Sono sempre stati sicuri che mio marito amasse più Paul che loro due. Sono sicura che se fosse scappata ne avrebbe parlato almeno con David. Sono inseparabili, non si lascerebbero per nessun motivo. Ho lasciato mio marito e mio figlio grande a cercarla, David l'ho portato a casa della nonna, che trova sempre un modo per tranquillizzarlo. La polizia non la trova da nessuna parte, quindi ho deciso di venire qui da voi. Vi prego, aiutatemi. Per favore, posso pagarvi quanto volete, non mi importa, ma per favore, trovate mia figlia. -

- Non ci servono soldi, signora, non ci servono. Al momento ci serve solo che lei cerchi di calmarsi e di illustrarci tutti i particolari che ricorda, la prego, potrebbero esserci molto utili. - Disse Sherlock. Mi voltai verso Mary. Nello stesso momento lei si voltò verso di me. Non avevamo mai agito per una persona sola, non avevamo mai aiutato qualcuno a risolvere un suo problema. Avevamo sempre risolto casi di interesse comune, catturato criminali in fuga o simili. Ma capii che Mary provava al momento il mio stesso sentimento. Compassione. Compassione verso quella donna. Decidemmo che l'avremmo aiutata ad ogni costo. In un momento ci eravamo affezionati a sua figlia quasi quanto lei, perché il tono con cui aveva parlato, la dolcezza nel pronunciare i nomi della sua famiglia, ci aveva sciolto il cuore. Aveva proprio aperto la sua mente e il suo cuore a noi, e da lì era uscito tutto il suo amore per i figli e il marito. Ce lo aveva mostrato mentre parlava. Poi lo aveva ripreso per sé. Sia io sia Mary rivolgemmo alla donna un sorriso dolce, a conferma del fatto che l'avremmo aiutata.

- Grazie, grazie sul serio. Non vi potrò mai ringraziare. Posso invitarvi direttamente alla mia abitazione in modo che possiate vedere con i vostri occhi ciò che ho visto io questa mattina. - Disse lei commossa.

- Saremmo lieti di seguirla - annunciò mio padre parlando per tutti. Mi misi in tasca il mio regalo di compleanno, che tenevo ancora in mano. Un coltellino svizzero. Qualcosa mi diceva che mi sarebbe tornato utile.

Fu così che in poco tempo ci trovammo a Watford, una città poco lontano da Londra. Giungemmo ad una casetta minuta, in un ristretto quartiere. Ormai era buio. Entrammo. La casa era vuota. Elizabeth accese le luci. Era un'abitazione piccola ma molto curata. Si entrava direttamente nel salone. Sulla sinistra si trovava la cucina, sulla destra un divano dall'aspetto comodo.

- Possiamo dare un'occhiata in giro? - domandai.

- Ma certo ... ma certo. - rispose Elizabeth risvegliandosi dai suoi pensieri nostalgici.

- Ragazzi, dividiamoci. - propose Sherlock.

Scorsi un corridoio che si inoltrava all'interno dell'abitazione. Mi avviai, con Mary alle calcagna. Sherlock entrò nella prima stanza che incontrammo, mio padre nella seconda, io e Mary nella terza. Ci volle un attimo per capire che ci trovavamo nella stanza dei gemelli. Era piuttosto ristretta. L'arredamento consisteva nei due letti a una piazza con la testata poggiata alla parete di fronte alla porta, un armadio addossato alla parete di destra e una scrivania sulla parete di sinistra. Dietro ai letti si apriva una grande finestra che dava sul giardinetto dietro alla casa. Il pavimento al centro della stanza era coperto da un tappeto folto. Fra i due letti si trovava un unico comodino con una lampada sopra. A sinistra si trovava un romanzo. Il segno si trovava più o meno a metà delle pagine. Lo sfogliai. Era un giallo che parlava di una ragazza che scopriva di far parte non solo del mondo reale, ma anche di uno fatato, dove il tempo scorreva in modo diverso. Roba da ragazze. Quello a sinistra doveva essere il letto di Annabeth. Il libro a destra della lampada era sempre un giallo, ma trattava di una truffa alla banca di Londra. Questa sì che era roba interessante.

Mary si schiarì la voce.

- Certo, scusa - dissi io. Dovevo fare la solita descrizione. Le parlai di tutta la stanza. Non appena arrivai a parlare del tappeto Mary mi bloccò. Si sdraiò prona proprio davanti al tappeto e ci passò la mano sopra il più delicatamente possibile.

- Ma cosa ...? -

- Annabeth non è scappata, qualcuno l'ha rapita. Le impronte sul tappeto sono di scarpe grandi e non vanno solo verso la porta, ma anche verso il letto. - Si alzò. Si avvicinò all'armadio e spalancò le ante. Si mise a frugare nello scaffale più in basso. Scarpe.

- Potresti andare un secondo a chiamare Elizabeth? - Andai. Quando arrivò Mary le chiese di illustrarle tutte le scarpe dei suoi figli. Mano mano che lei le elencava, Mary le cercava nello scaffale. Quando l'elenco terminò, Mary le aveva trovate tutte.

- Elizabeth, sua figlia non è scappata di casa. È stata rapita contro la sua volontà. Le impronte sul tappeto sono di scarpe molto grandi; arrivano dalla porta verso il letto e poi tornano verso la porta, ma sono sempre sole. Annabeth dev'essere stata portata in braccio dal suo rapitore, il che dimostra che non voleva andare con lui perché sennò avrebbe camminato da sola. In più il letto è sfatto, quindi Annabeth ci ha dormito prima di essere rapita, se avesse voluto scappare non si sarebbe nemmeno coricata coprendosi con le lenzuola, si sarebbe semplicemente appoggiata sul letto per far credere a David che fosse una sera come le altre. -

Elizabeth si sedette sul pavimento e ricominciò a piangere. Io e Mary cercammo di consolarla, ma non ci riuscimmo. Decidemmo allora di farla sedere su una delle due sedie che stavano dietro alla scrivania e di continuare l'indagine distraendola porgendole delle domande:

- I suoi figli sono soliti dormire con la luce spenta? -

- No, non la spengono mai, hanno paura del buio. -

- Ciò vuol dire che il rapitore ha spento la lampada in modo che se David si fosse svegliato avrebbe visto solo il buio e si sarebbe riaddormentato. Ma deve aver usato un fazzoletto, perché sull'interruttore ci sono solo le stesse due impronte digitali ripetute più e più volte, che devono essere quelle dei gemelli anche perché sono molto simili- risposi io.

- Durante la notte la porta di questa camera resta aperta? Penso di sì, perché neanche sulla maniglia sono presenti impronte differenti da quelle dei gemelli - continuai. Mary alzò il pollice nella mia direzione. Stavo andando bene.

- Lei la notte chiude a chiave la porta d'ingresso? - Proseguì Mary.

- Sì, ogni notte. Anche ieri sera l'ho fatto, a doppia mandata. - Disse sicura Elizabeth.

- James, le finestre, andiamo a controllare dappertutto. -

- Senta, Elizabeth, lei resti qui, si sieda un attimo e si tranquillizzi, noi torniamo subito, dobbiamo soltanto controllare un altro po' di cose in questa casa, ok? Torneremo fra poco. - Dissi il più gentilmente possibile. Qualcosa da mio padre avevo ereditato. Solo il carattere. Fisicamente sono identico a mia madre. Elizabeth annuì e poggiò la testa sulla scrivania. Nel giro di pochi secondi si addormentò, doveva essere stravolta dallo stress.

Io e Mary girammo per tutta la casa e controllammo tutte le finestre. Erano tutte chiuse dall'interno. Quando avemmo guardato anche nell'ultima finestra di casa tornammo nel corridoio e ci scontrammo con i nostri genitori.

- Ho capito chi ha rapito Annabeth - dicemmo tutti e quattro insieme.

Sospirammo, non era una bella cosa quella che avevamo scoperto. Non ne eravamo ancora sicuri, ma eravamo giunti tutti alla stessa conclusione. Prima di riferire tutto a Elizabeth, però, dovevamo assicurarci di essere nel giusto. Sherlock aveva perlustrato la camera matrimoniale, mio padre quella di Paul. Indizi che portavano ad un unico pensiero. Non restava che scoprire dove si trovasse Annabeth. Svegliammo Elizabeth e le chiedemmo di parlare con David. Lei parlò con sua madre al telefono e le chiese di portare il ragazzo dove stavamo noi. Lei riferì che David non aveva smesso di piangere da quando era arrivato lì. Quando varcò la porta d'ingresso e lo vedemmo per la prima volta, piangeva ancora, silenzioso.

- Ciao, David, mi chiamo James Watson e lui è mio padre, Jhon. Lei è Mary e lui è suo padre, Sherlock ...

- Holmes! Lui è Sherlock Holmes! Non posso crederci! Ho incontrato Jhon e James Watson e Mary e Sherlock Holmes!- disse illuminandosi. - Almeno qualcosa di bello è successo in questa giornata! Io e mia sorella abbiamo sempre sognato di conoscervi! Annabeth sarebbe così contenta di vedervi! - sorridemmo tutti alle sue parole. Non sapevamo di essere famosi. E poi David sembrava così piccolo!

- Siamo molto felici che tu sia contento, David, e ci dispiace moltissimo per quello che è successo a tua sorella. - Cominciò Sherlock - Sappi che fra poco la potrai riabbracciare, ma adesso ci devi aiutare a trovarla.-

- Certo, farei di tutto per poterla rivedere. Mi manca così tanto. - Disse David perdendo il sorriso.

- Ma credetemi, io so chi è stato a rapirla, ma mamma si arrabbia se lo dico. -

Elizabeth strabuzzò gli occhi - Sai chi è stato? David, ti giuro che non mi arrabbio, ma tu lo devi dire assolutamente! -

- Sì, David, puoi dirlo, nessuno si arrabbierà - disse Mary. David lanciò un ultimo sguardo sospettoso alla madre, poi disse: - io l'ho capito subito! L'ha rapita papà . - Elizabeth sospirò:

- Tesoro, quante volte devo dirtelo? Papà vuole tanto bene sia a te che ad Annabeth, sennò perché sarebbe andato a cercarla insieme a Paul? -

- Elizabeth, temo di doverle annunciare che suo figlio ha ragione. Volevamo delle prove certe prima di doverglielo dire, ma è stato suo marito a rapire Annabeth. Non ha pensato che sarebbe già tornato dalle ricerche? Ormai è quasi l'alba, è da diverse ore che è fuori di casa. Avrebbe potuto almeno chiamarla per riferirle i vani risultati delle loro ricerche. Le impronte sul pavimento della stanza dei suoi figli sono di scarpe molto grandi, di taglia 46. Scarpe così non sono molto diffuse e a giudicare da quelle presenti nell'armadio di suo marito il 46 è proprio il suo numero di piede. In più il rapitore doveva trovarsi all'interno della casa già al momento in cui lei ha chiuso la porta d'ingresso, perché tutte le finestre sono chiuse dall'interno e la porta non presenta segni di forzatura. Secondo le prove potrebbe averla rapita anche lei ma considerando il rapporto poco stabile fra i gemelli e suo marito siamo arrivati a pensare a lui. Ma per essere sicuri ci servirà la testimonianza di sua figlia, quindi adesso lasceremo lei qui con sua madre e un paio di poliziotti mentre io e suo figlio, con permesso, andremo a cercare Annabeth. - Disse Sherlock senza bloccarsi nemmeno alla vista dei visi sconvolti dei presenti.

- Io non credo che mamma avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. - Disse David pensieroso.

- Neanche noi, piccolo, ma dobbiamo essere certi di tutto prima di accusare qualcuno di una cosa così grave. - Disse mio padre. Intanto Elizabeth non riusciva ad aprire bocca.

- Andiamo, David? - Dissi io. Con mio grande stupore, David corse verso di me e mi abbracciò.

- Certo, andiamo. Sono sicuro che riusciremo a portare Annabeth qui. - Disse.

- Tuo padre ha degli amici un po' strani, per caso? - chiese Sherlock una volta che fummo saliti in macchina.

- Oh, sì - confermò David - per esempio il proprietario del negozio di elettronica vicino casa nostra. Si chiama Sam Dallen e ogni volta che viene da noi sembra completamente ubriaco. Oppure Charles McTrix, il proprietario dell'orfanatrofio di via Jito 68. Lui odia sia me che Annabeth e ogni volta che fiatiamo dice che dovremmo essere più disciplinati e che dovremmo stare nel suo orfanatrofio e che dovremmo essere messi in riga da uno come lui. A me e mia sorella fa tanta paura, anche a mamma non piace. -

- Ok, dove hai detto che si trova questo orfanatrofio? Ci stai essendo di grande aiuto. - Disse Sherlock.

- Via Jito n. 68, dall'altra parte della città -

- Dovrei avere una mappa da qualche parte ... ah, eccola! - Esclamò mio padre.

Fu così che raggiungemmo l'orfanatrofio. Scendemmo dalla macchina e ci avvicinammo alla porta. Stavamo per bussare quando sentimmo delle urla provenire dal piano superiore.

- Perché mi hanno portato qui? Lasciami stare! David! Mamma! Aiuto! -

- Non ti possono sentire da qua, nessuno ti verrà a prendere, e fra un po' anche tuo fratello finirà così -

- Annabeth! - esclamò David.

- Dobbiamo coglierli di sorpresa. Adesso facciamo silenzio. Busseremo e li arresteremo.- Disse Mary.

- Non credo che ce ne sia bisogno, almeno per ora. Prego, entrate - dissi io. Avevo preso il coltellino dalla tasca e avevo forzato la serratura. La porta era aperta e potevamo indagare più a fondo senza che nessuno lo sapesse.

- Mitico! - esclamò David sottovoce.

Seguimmo le voci e arrivammo davanti a una stanza.

- L'altra voce è di McTrix - ci illustrò David.

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