AGGRESSIONE AL WATERLOO BRIDGE (Mary)
Il pranzo con Alexandra passò in secondo piano quando, mezzora dopo, ci giunse notizia di un'aggressione svoltasi al Waterloo Bridge. Due feriti gravi, un morto. L'assassino era scappato.
Le vittime erano tre ricchi signori di una certa età, che passeggiavano tranquillamente senza nessuna meta, quando sono state attaccate e colpite con un coltello a lama corta. Alcuni testimoni sostengono di aver visto l'aggressore saltare dal ponte nella foga di scappare prima dell'intervento delle forze dell'ordine.
Questo era un pezzo di un articolo di giornale. La mia mente selezionò automaticamente le cose importanti: tre ricchi signori, quindi l'aggressore non era un assassino, ma un ladro. Perciò non era Moriarty. Strinsi i pugni al solo pensiero di quella persona. Waterloo Bridge: 25 minuti in macchina da casa nostra; 2,8 miglia da Baker Street; ponte molto affollato, luogo pericoloso per un ladro, perciò servivano abilità molto sviluppate. Coltello a lama corta: facile da nascondere. Altezza del ponte: 71 metri. È impensabile tuffarsi da un'altezza del genere. Mi servivano più informazioni, dovevo andare sul posto.
-James! - chiamai - Andiamo! -
-Ehi, aspetta, andiamo dove? - mi chiese mio padre.
-Al Waterloo Bridge, ci accompagni in macchina? -
-Va bene, ma lasciamo l'innamorato qui-
-Con piacere - sbuffò James, lanciando un'occhiataccia a John, che aveva ripreso la sua espressione persa.
-John! Usciamo un attimo! - gli gridò papà dall'ingresso. Lui annuì vago senza chiederci neanche dove stavamo andando.
Rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio. Arrivati nei pressi del ponte alzai lo sguardo e qualcosa attirò la mia attenzione. Anche James sembrò notarlo.
- Che cos'è quella cosa che pende dal ponte? - chiese.
- Non so...-
- Sembra una corda -
- Ma no, guarda, non lo avevamo capito - commentai sarcastica.
- Hai altre idee? -
- Sì - sospirai
- Ecco, vedi... - elaborò solo in quel momento la mia frase - aspetta, che? - chiaro che si aspettasse una risposta negativa.
- È troppo presto per parlarne - parve accettarlo.
Quando salimmo sul ponte dopo aver parcheggiato la macchina, trovammo una cupola di persone della scientifica che si affaccendavano intorno ad un cadavere.
- Più di così non possiamo avvicinarci -
- Ma sì che possiamo - dissi sicura.
- No, se non abbiamo una richiesta scritta da parte del magistrato o della polizia - sospirò mio padre con aria grave. Sbuffai in risposta. Mi dava fastidio non poter accedere a quello che mi serviva con tranquillità. Ma quando notai un nostro amico fra la gente non potei fare a meno di chiamarlo.
- Trevor! - il ragazzo si voltò al suo nome. Aveva venticinque anni, ma aveva superato tutti gli esami senza problemi e ora lavorava nella scientifica. Sorrise e si avvicinò a noi. Era protetto da una tuta bianca e non poteva toccarci per non "inquinare" la scena del crimine. Così si accontentò di un saluto a distanza. Al collo portava una macchina fotografica che fino a un secondo prima stava utilizzando per immortalare ogni piccolo particolare.
- Come stai, Trevor? Tutto a posto? Il lavoro...- gli chiese mio padre.
- Sto benissimo. Voi? - rispose lui rivolgendosi a entrambi.
- Tutto ok - risposi.
- Salve - salutò timidamente James. Giusto! Mi ero dimenticata che non si conoscevano! Il nostro ultimo incontro con Trevor risaliva a quasi circa anni prima, al funerale di mia madre.
- Piacere! - affermò il nostro amico.
- Lui è James - lo informò papà, dopo aver costatato che James non aveva intenzione di presentarsi da solo. - Il figlio di John. -
- Ah! - esclamò Trevor. - Finalmente ti conosco! - James abbozzò un sorriso incerto.
Dopo una pausa di qualche secondo, si schiarì la gola:
- Somorse - disse piano, ma abbastanza forte da farsi sentire. Quando Trevor sembrò non capire, spiegò, con lo stesso tono:
- Conosco l'alfabeto morse, ho capito quello che hai appena "detto" - E pensare che non mi ero nemmeno accorta che Trevor stesse comunicando con mio padre con l'alfabeto morse!
- Oh, scusa - disse il ragazzo imbarazzato. James scrollò le spalle.
- Figurati, non importa - L'atmosfera era tesa. Cambiai discorso:
- Ho visto che stavi facendo delle foto - cominciai vaga. Trevor roteò gli occhi divertito:
- Vi invierò una copia, tranquilla - mi assicurò ridendo.
- Grazie - in quel momento qualcuno lo chiamò qualche metro più in là e dovette tornare a lavoro.
- Cosa ha detto? - sussurrai curiosa a James. Si strinse nelle spalle, serio.
- Ha chiesto a Sherlock perché sono così timido - disse dando poca importanza alla frase.
- Oh... - La timidezza era una famosa caratteristica di James quando conosceva una nuova persona. Da quando lo avevo incontrato per la prima volta era sempre stato così. Naturalmente con la gente che già conosceva non lo era mai, anzi, con noi era sempre piuttosto spiritoso. Ma in effetti per avere quattordici anni la sua timidezza era diventata un suo tratto troppo caratteristico. Affrettò il passo.
- Non volevi vedere quella corda? - disse. Lo seguii con una corsetta, contenta che avesse cambiato discorso.
Quando lo raggiunsi stava davanti al parapetto e guardava giù, incuriosito.
-Non c'è - disse quando mi trovai accanto a lui.
-Come non c'è? - chiesi confusa. Con un gesto mi invitò a guardare io stessa.
Era vero. Non c'era. O almeno noi non la vedevamo.
-Potrebbe essere attaccata più giù - dissi.
-Sì, ma a quel punto come avrebbe fatto il ladro ad attaccarla? - chiese lui alzando le sopracciglia.
- Perché pensi che l'abbia usata il ladro? -
-L'hai detto anche tu: nessuno può tuffarsi da 70 metri e sopravvivere. -
-Sì, hai ragione -
Non sapevo come l'avrebbe potuta attaccare, soprattutto senza farsi notare. Esaminai il parapetto: tanti cilindri metallici di cui non si vedeva la fine perché si trovava sotto il ponte. Piegai le ginocchia per osservare meglio il metallo. Ecco quello che cercavo: un graffio.
-La corda c'è - cominciai con una certa importanza espressa nelle parole - come avevo detto, è più giù, sotto il ponte: il ladro ha attaccato il gancio da qui. Quando ha messo il proprio peso sulla corda il gancio è naturalmente scivolato fino alla giuntura del parapetto, che è sotto il ponte - James annuì.
-Però non è ancora spiegato il tuffo, perché la corda sarà lunga al massimo una ventina di metri: è comunque un salto molto alto - disse.
Annuii lentamente, pensando. Improvvisamente alzai le sopracciglia e sorrisi.
-Trevor- dissi.
-Quel ragazzo che abbiamo conosciuto prima? - ignorai la domanda:
-Trevor mi aveva detto che ama gli sport estremi. Ce n'è uno che adora in particolare: Bungee Jumping. Mi ci ha fatto pensare lui. Quella corda è molto più lunga di quanto possa sembrare. Se la tendi, naturalmente. È un elastico. Il ladro era ancorato alla corda con un'imbracatura: dopo qualche rimbalzo ha semplicemente tagliato la corda ad una certa altezza. Intorno al terzo o quarto rimbalzo doveva trovarsi circa a trenta metri dall'acqua. A quel punto è un salto possibilissimo, se sei un tuffatore esperto. -
-Stai insinuando che Trevor...-
- No, perché non è per niente bravo a tuffarsi -
-Potrebbe avertelo fatto credere: magari si preparava per questo furto e non voleva farsi scoprire-
-Cinque anni di preparazione? E comunque no, perché a quel punto non mi avrebbe parlato del Bungee Jumping -
-Magari ha imparato a tuffarsi in questi cinque anni in cui non lo hai visto! -
- Perché avrebbe dovuto? -
- Perché non avrebbe dovuto? -
-Ma lo odi così tanto, James? - sbottai.
-Era solo un'ipotesi- si scusò con il mio stesso tono alzando le braccia.
- In queste situazioni bisogna considerare tutto - concluse più piano senza incrociare il mio sguardo. Sì, lo odia così tanto, pensai.
Il fatto era che anche io avevo il sospetto che Trevor potesse avere qualcosa a che fare con tutta quella storia, ma non volevo ammetterlo neanche dentro di me. C'erano tantissimi indizi che portavano a pensare a lui. Poteva tranquillamente aver imparato a tuffarsi in quei cinque anni e il fatto che lavorasse nella scientifica gli creava un alibi così potente che nessuno avrebbe sospettato di lui...se non si ragionava sul suo preciso lavoro all'interno della squadra: Trevor era un fotografo, poteva decidere lui quali dettagli fotografare e nel caso avesse trovato qualche traccia che nel compiere il furto si era lasciato sfuggire poteva tranquillamente non immortalarla e fare finta che non fosse mai esistita. In più sapeva perfettamente come lavorava la scientifica e di sicuro avrebbe fatto attenzione a non lasciare DNA sui vestiti delle vittime o cose simili. Mi ricordo perfettamente di aver notato che quando ero piccola assisteva spesso mio padre nelle indagini, come se volesse imparare. Nessuno lo avrebbe notato perché diversi testimoni hanno sostenuto che il ladro aveva un passamontagna e un cappello di lana che gli coprivano il volto. E poi, l'indizio più importante: l'altezza. In base alle parole dei testimoni il ladro era alto circa un metro e settantacinque, proprio come Trevor. Troppi indizi, mi scoppiava la testa.
Quando tornammo a casa John ci accolse raggiante. James alzò gli occhi al cielo ancora prima che suo padre potesse spiegarci il motivo.
-Fra due giorni vi vengo a prendere prima da scuola e andiamo al Regent Park con Alexandra! -
- Papà, fra due giorni è il tuo compleanno! Non mi dire che te lo sei dimenticato -
-Ci andiamo proprio perché è il mio compleanno - disse lui confuso. James lo guardò. Sospirò piano e abbassò le spalle.
Il giorno seguente, dopo la scuola, tornammo sul posto e comprammo dei biglietti per una gita in barca sul Tamigi. Quando passammo sotto il ponte, la corda era ancora attaccata al parapetto. Nessuno se ne accorse. La chiatta brulicava di turisti di ogni nazionalità che, giustamente, avevano occhi più per la vista davanti a loro che per la parte inferiore di un ponte.
-Come avevo previsto - dissi - è attaccata alla ringhiera con un gancio -
-Ma come fai a vederlo da qui sotto, se il ponte è così alto? - mi chiese James.
Aveva ragione. Non lo vedevo, ma sapevo che era così.
-Mmmm - dissi solo, senza alcuna voglia di ammetterlo. E poi la mia testa era da un'altra parte, al giorno prima alle 4:30 del pomeriggio. Nessuno aveva notato il tuffo, il che era possibile nell'iniziale scombussolamento generale. Ma poi chi passava sulle strade, ormai qualche minuto dopo l'aggressione, non aveva notato una persona nel Tamigi, una persona che attraversava la strada dopo essere uscita dal fiume e camminava sul marciapiede, fradicia e infreddolita? No, mi dissi, non era possibile. Non era possibile non farsi notare. Non da soli. Quindi il ladro aveva dei complici. Ma perché allora compiere l'aggressione vera e propria da solo? Forse perché i suoi complici criminali già noti alle forze dell'ordine? Chiusi gli occhi. No, non poteva essere. Non di nuovo. Moriarty.
È una bella giornata. Un po' nebbiosa, ma i londinesi ormai non ci fanno più caso. Tre anziani signori passeggiano chiacchierando sul Waterloo Bridge. Ecco. La preda che aspettava. Un attacco furtivo, un leone in mezzo a un branco di gazzelle. Spoglia quei tizi di tutti i loro beni mobili, servendosi di un piccolo coltello nei momenti di bisogno. Uno dei tre vecchi è sdraiato per terra, il collo sanguinante. Se non è morto, lo sarà presto. Nella confusione generale raggiunge la ringhiera del ponte, si sfila lo zaino dalle spalle e ne estrae una corda elastica. Prende un estremo della corda. C'è un gancio. Lo fissa al parapetto e prende l'altro estremo. Un altro gancio, questa volta regolabile. Se lo infila alla caviglia destra, lo stringe. Scavalca agilmente il parapetto. Osserva il vuoto sotto di lui. 71 metri. Si butta, senza esitazione. Lo ha già fatto tante volte. Uno, due, tre rimbalzi. Al quarto rimbalzo il rinculo provocato dalla contrazione dell'elastico lo porta ad avere la mano vicino alla corda. La taglia, di netto. Precipita, questa volta senza protezione. Compie qualche giro su se stesso e infine tocca l'acqua. Un tuffo pulito. Poco rumore, pochi schizzi. Più di quattro anni di duro allenamento per raggiungere un livello del genere. Molta gente impara a tuffarsi da trenta metri in più di dieci anni. Lui in cinque. Emerge in superficie. Ecco che arriva il suo complice. Moriarty indossa un completo anonimo e degli occhiali da sole abbinati. Senza parlare, lo issa sulla barchetta con un gesto veloce, nessuno che lo nota. È un idolo per lui. Un criminale perfetto, che non ha mai passato una singola notte in cella, agli occhi di un ragazzino poco più che ventenne che è solo agli inizi con il suo percorso da ladro. Gli passa un borsone nero. Un altro completo anonimo con i pantaloni larghi, altri occhiali abbinati, un parrucchino folto e scuro. Indossa tutto, ed è come se non fosse successo niente. La gente lo guarda senza vederlo, come si guarda una persona che sta facendo un giro sul Tamigi con un suo amico. È una bella giornata. Un po' nebbiosa, ma i londinesi ormai non ci fanno più caso, come non fanno caso a lui. Ora per tutta Londra, lui, Trevor, è una persona che non è.
-Mary! - mi urlò James quasi in un orecchio - Mary, mi stai ascoltando?! Ti ho fatto una domanda! - poverino, chissà da quanto stava parlando pensando che io lo sentissi.
- Certo che ti sto ascoltando - alzai lo sguardo. Aveva gli occhi lucidi e le guance rosse. Mi sentii terribilmente in colpa: non stava piangendo, ma quasi. Però questo mi aiutò a fare finta di aver ascoltato il suo discorso, perché avevo notato perfettamente il suo atteggiamento con Trevor. Non gli piaceva. E considerando che mi aveva fatto una domanda, anche non avendo sentito quello che mi aveva chiesto, gli risposi, tirando a indovinare.
- No, James, non penso che tu sia troppo timido - chiuse gli occhi con un sospiro.
-No, non mi stavi ascoltando. - Accidenti, avevo capito male - questa settimana non potrebbe fare più schifo -
- Scusa, James, stavo pensando -
- Giustamente, tu pensi sempre -
- Cosa stavi dicendo? -
- Una cosa sul caso, ma lascia stare, ora che ci penso è stupida -
- Una cosa sul caso? Allora perché piangevi? -
James sbuffò. - Ma cosa dici?! Non stavo piangendo! Perché dovrei piangere? - Sembrava dire la verità, quindi capii che gli occhi lucidi e le guance rosse dipendevano dall'aria fredda e dall'umidità che salivano dall'acqua.
-Va bene - dissi, sedendomi accanto a lui su uno dei sedili della chiatta turistica - ma voglio dirti una cosa: avresti molti motivi per cui piangere. Lo hai detto tu stesso, questa settimana non potrebbe fare più schifo -
- Non lo fare, Mary, ti prego. Non mi dire quello che provo - troppo tardi.
- A dire il vero, non è questa settimana che sta andando male per te, sono questi ultimi tre giorni. Tutto è cominciato sabato pomeriggio, quando John ci ha detto che era innamorato di Alexandra: eri offeso perché non te ne aveva parlato prima e sicuro che lei non ti sarebbe piaciuta. Il giorno dopo, domenica, i tuoi sospetti si sono avverati perché, lo ammetto, Alexandra si è rivelata decisamente noiosa e con tutta quella cosa dell'alfabeto morse anche molto strana. In più, il fatto dell'aggressione sul ponte ti ha stressato e l'incontro con Trevor ti ha veramente distrutto. Oggi mi stavi parlando e ti sei accorto che non ti stavo ascoltando, e mi dispiace davvero per questo perché so quanto è brutto non essere ascoltati. -
- Smettila, Mary, non sono cose di cui dovrei piangere, non sono più un bambino - si alzò e si appoggiò al parapetto della barca, dandomi le spalle.
Ero confusa. Poi capii, e mi dovetti trattenere per non ridere. Adolescenza: brutta storia.
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