Capitolo 5 - puzza di bruciato
«Sei stata molto silenziosa durante il viaggio» osservò Keta, avvicinandosi a me. Ero seduta vicino alla carrozza, impegnata a intagliare una freccia da un ceppo di legno che avevo rubato dal falò. Lo guardai dal basso vero l'alto e decisi di dargli ragione standomene zitta. Si sedette sul prato accanto a me, osservando le mie mani che si muovevano.
«Sicura di voler fare il primo turno di guardia?»
Mi guardai attorno prima di rispondere. Atoldir russava di buona lena, Flick sussurrava e fischiava nel sonno, il bardo si rigirava nel suo sacco a pelo.
«Altroché. Con tutti questi rumori molesti, non riuscirei mai a prendere sonno.»
Keta sorrise, comprensivo. «Atoldir sembra un truciolatore. Sei brava con il legno, ad ogni modo.»
«Ho dovuto imparare, non avevo le possibilità di acquistare frecce» confessai.
«E che mi dici della tua spada?»
Portai istintivamente la mano sull'elsa. «Era un... regalo.»
«Scusa, non volevo metterti a disagio. Nel monastero dove vivo produciamo anche armi, per quello ero interessato.»
Mi grattai un orecchio. «Non sono a disagio, non so bene cosa dire, tutto qui.»
Il figlio di Aliteo mi guardò come uno che la sa lunga. «Come tu hai il super udito, io posso sentire molti più odori, anche flebili. Percepisco la tua agitazione. E l'ho sentita anche prima.»
Non avendo mai incontrato un figlio di Aliteo, non ci avevo pensato. Ora che me lo diceva, ricordavo benissimo: avevano dei recettori olfattivi molto più numerosi e raffinati, per questo riuscivano a distinguere meglio gli odori. Questa loro peculiarità gli era necessaria per capire anche certi stati d'animo, per esempio quando una persona stava mentendo o aveva paura, semplicemente differenziando l'odore del suo corpo.
Non sarebbe stato facile mascherarmi con lui.
«Hai ragione, non mi piace tanto parlare di me» trattenni il fiato.
«Magari se ti mostro una cosa io, poi ti sentirai più tranquilla.»
Si portò una mano dietro la schiena e sfilò la sua spada dal fodero. Era un'arma a doppio taglio, e non figurativamente. Aveva due corte lame azzurre, una per ogni estremità, che rilucevano nel buio della notte, fatte di...
«Cobalto amaranto. È l'unico materiale in grado di colpire certi spiriti che infestano le nostre montagne. Non siamo grandi fabbri come gli abitanti di Fendiroccia, ma siamo specializzati nella produzione di armi particolari e soprattutto con lunghi processi di fusione e raffinazione.»
«Interessante. Grazie per la lezione di chimica.»
«Preferisco chiamarla alchimia.»
Lo guardai di traverso, per capire se stesse scherzando. Aveva il volto squadrato illuminato dal baluginio dell'arma.
«Anche la mia spada è simile» ammisi.
«Posso vederla?»
Ero un po' riluttante, ma alla fin fine che male c'era? Afferrai l'elsa dal fianco ed estrassi la spada in tutto il suo splendore. Quando la stringevo tra le mani, a volte la sentivo vibrare. Anche le mie orecchie percepivano le sue invisibili oscillazioni. Lunga, sottile e piatta, emetteva una luce arancione molto più intensa di quella di Keta. Il bagliore mi fece strizzare gli occhi abituati al buio.
«Wow... questo è... bronzo? Come fa a essere così arancione?»
«In realtà è bronzo vermiglio, e non ne ho idea. Sei tu l'esperto.»
Ci scambiammo un sorriso. Decisi di raccontare una piccola cosa, giusto perché lui era stato gentile con me.
«All'inizio non era così, era di un triste color bronzo. Poi impugnandola ha iniziato a brillare sempre di più.»
«Vedi, questa è la magia dell'alchimia.»
Sorrisi di nuovo, poi rinfoderai la spada. Passarono diversi secondi e mi resi conto che la conversazione era giunta al termine. Dopo poco, Keta sospirò, alzandosi. «Chiamami fra un paio d'ore, così ti do il cambio.»
Il giorno seguente il viaggio fu molto tranquillo, meglio della più ottimistica tra le mie previsioni. Incontrammo qualche mercante, qualche insegnante proveniente da Ordya, ma nessuno che avesse fatto tappa a Fendiroccia. Nel primo pomeriggio arrivammo in vista della Roccaforte Frammento, la città principale della contea. Il terreno intorno iniziava a farsi più arido: i prati di Lloyd erano ormai lontani, gli alberi erano stati sostituti da arbusti e licheni e la Strada di Vetro non era più immersa nella foresta rigogliosa ma circondata dalla steppa. Il paesaggio era dominato da crateri di piccoli vulcani, che formavano diversi rilievi da cui era meglio tenersi alla larga se non si voleva finire abbrustoliti. Verso mezzogiorno, abbandonammo la Strada di Vetro e ci dirigemmo verso la Roccaforte. Se prima vedevo passare conigli, leprotti, qualche cerbiatto e uccelli colorati, ora la fauna era più che altro composta da insetti.
Quando mancava ormai poco a raggiungere il villaggio che circondava la Roccaforte Frammento, sentii il bardo e Flick sussurrare tra di loro.
«Secondo te cosa ci nasconde Pin?»
«Cosa non lo so, ma di sicuro non è pulito.»
«Ieri sera mentre davamo da mangiare ai cavalli mi ha detto che il viaggio per arrivare a Lloyd lo ha estenuato.»
«Euphanor non è così distante, Ordya ed Espaea lo sono molto di più. A meno che non si voglia tagliare per il Tenenet.»
«Nessuno sano di mente lo farebbe. Ma comunque non è arrivato alcun guerriero da quelle due contee.»
«Già, molto strano. Questa storia mi puzza, anche più delle tue ascelle, Flick.»
«Le mie ascelle non... Ah, hai ragione.»
Mi lasciai sfuggire un sorriso, immaginando il figlio di Halos che faceva una pernacchia. In effetti, però, anch'io mi domandavo perché Pin non stesse con noi, ma si richiudesse nella carrozza. Sapevo che i figli di Seshat non amano il sole, ma non pensavo preferissero starsene rinchiusi per tutto il giorno.
La Roccaforte Frammento si ergeva su un antico vulcano che ormai era talmente eroso da essere ridotto a una collina qualunque. Il palazzo assomigliava a un'enorme roccia piena di spuntoni squadrati e smussati dalle intemperie. Si diceva che Fendiroccia fosse stata la prima contea a essersi sviluppata, per via della tendenza dei suoi abitanti a avere la passione di costruire. Delle alte mura circondavano la città principale, cioè la zona più ricca e densamente abitata. Al di fuori di essa, si estendevano chilometri di steppa punteggiati da catapecchie e abitazioni di contadini o umili allevatori. Da lontano, la parte di villaggio a noi visibile era deserta. Tesi le orecchie, ma non udii alcun suono. Mancava circa un quarto d'ora per raggiungere le prime abitazioni. Allarmata, avvertii i miei compagni.
«Non proviene nessun rumore dal villaggio.»
Fu Atoldir a commentare per primo: «Beh, meglio, no? Almeno nessuno ci sarà d'intralcio.»
«Magari le case più lontane dalla città sono disabitate» azzardò il bardo.
Flick si alzò in piedi sulla carrozza per cercare di vedere qualcosa, fallendo miseramente. «O magari sono tutti morti... morti, sangue... bleah, bleah...» e accompagnò la frase con un teatrino, facendo finta di strozzarsi, sgozzarsi e perdere sangue a fiotti dalla gola.
Il bardo lo ammonì con sguardo torvo, senza ottenere però nessun effetto.
Mi voltai verso Keta. «Tu senti qualcosa?»
Il figlio di Aliteo non rispose subito. Allargò leggermente le narici, si grattò il naso e infine scosse la testa.
«Sì, ma nulla di buono» concluse.
Lo guardammo tutti, chi con curiosità, chi con il timore che continuasse la frase. Ma non ne ebbe il tempo, perché la voce di Pin si fece sentire da dietro il carro.
«Potrei andare a controllare, se volete» era smontato giù dalla carrozza e camminava silenziosamente dietro a tutti.
Atoldir, con il suo solito fare scontroso, commentò: «Oh, il principino si è svegliato.»
«Non so se sia una buona idea, Pin» sussurrò Keta.
«Perché?» chiesi.
«Temo che Flick abbia fatto centro.»
Non feci in tempo a elaborare quello che aveva appena detto. Si sentì un forte boato provenire dalla Roccaforte, ma non si videro né esplosioni né qualsiasi altra possibile causa. Marzapane si spaventò e fece dietrofront, quasi cozzando contro il cavallo di Atoldir, il quale a sua volta iniziò a galoppare dalla parte opposta.
Keta rimase calmo e il suo destriero semplicemente si arrestò, al contrario dei cavalli che trainavano la carrozza, uno dei quali si impennò sulle zampe posteriori. Flick, ancora in piedi sul sedile del cocchiere, rischiò di volare a terra mentre il bardo tirava le redini per bloccare gli animali. Pin si era lanciato di lato mettendosi le mani sulla testa, per evitare di essere schiacciato dai cavalli spaventati.
Le orecchie mi sembravano piene di ovatta.
«Cosa è stato?» urlò Flick, il re delle domande scontate.
«Secondo te come facciamo a saperlo?» gridò Atoldir in risposta, mentre riportava il cavallo verso di noi da terra.
Marzapane non ne voleva sapere di stare fermo, continuava a indietreggiare e a raspare il terreno.
«Il re aveva detto che nei pressi del villaggio il cavallo di uno dei suoi guerrieri era fuggito» ricordai.
«Forse è meglio proseguire a piedi» suggerì il bardo, mentre litigava ancora con i finimenti.
Keta e io scendemmo da cavallo. Appena afferrai le redini, Marzapane mi tirò uno strattone, come per dirmi di tornare indietro. Anche il cavallo di Keta era irrequieto.
«Troviamo un posto dove lasciarli. Pin, intanto tu muoviti e vai a vedere cosa c'è al villaggio» sentenziò alla fine Atoldir.
Nella regione di Fendiroccia era difficile trovare un posto appartato o nascosto dove lasciare gli animali. Perlomeno, più ci allontanavamo più sembravano calmarsi. Raggiungemmo uno spuntone di roccia e decidemmo di fermarci lì, in modo tale da avere un po' di ombra per ripararci dal cocente sole di quel pomeriggio. Mentre mangiavamo con scarso appetito, discutemmo sul da farsi. Il bardo si offrì di badare agli animali, argomentando la sua proposta dicendo che, se avessimo trovato qualcosa di pericoloso - come era probabile -, sarebbe stato meglio per la squadra avere i suoi migliori guerrieri. Al suo ritorno, Pin ci raccontò che le case del villaggio sembravano abbandonate da giorni, in molti punti erano bruciate o distrutte e le uniche forme umane che aveva incontrato erano decisamente morte. Non credetti a tutte le pomposità che aggiunse - «Pezzi di corpi carbonizzati sparsi ovunque! Occhi fuori dalle orbite! Sangue sulle pareti!» -, ma di sicuro non avevo intenzione di accertarmene.
Finito di pranzare, io, Keta, Atoldir, Flick e Pin ci incamminammo di nuovo in direzione della Roccaforte Frammento.
Nei pressi del villaggio, non fu necessario avere un super olfatto per sentire l'odore di bruciato. Le baracche dei poveri contadini erano ridotte a quattro mura di legno scuro color cenere che rischiavano di cedere da un momento all'altro. In alcuni punti vi erano evidenti segni di bruciature, che però non erano generalizzate a tutti gli edifici. In altre parole, non sembrava che un incendio avesse devastato il villaggio, ma più che qualcuno avesse tentato di dare alle fiamme alcune assi di legno e altre no.
Nessuno proferì parola per un po', fin quando iniziai a sentire dei rumori lontani. Mi fermai di colpo e mi concentrai. Sentivo singhiozzi, gemiti di dolore, poche urla e ancora meno parole sensate. Sembrava che le persone si stessero lamentando a vuoto, senza nessuno che le ascoltava.
«Senti qualcosa?» domandò Keta.
«Solo... sussurri. Alcune grida.»
Dopo un po', concentrai il mio udito sui miei compagni; non riuscivo più a sopportare tutti quei singhiozzi.
Flick tentò di sdrammatizzare: «Magari sono grida di gioia! E i sussurri... forse stanno facendo un gioco! A nascondino si sussurra quando si è nascosti.»
«Non sei divertente, Flick» lo ammonì Atoldir.
Mi schiarii la gola. «Posso assicurarti che non sono grida di gioia.»
Lo stomaco mi si stava strizzando per l'ansia crescente. Il caldo aumentava sempre più man mano che ci avvicinavamo alle mura della Roccaforte, il sudore mi imperlava il viso e lo sentivo scorrere sulla schiena. Mi passai un braccio sulla fronte, sulle guance e sotto il naso.
«Questa temperatura non è decisamente normale, neanche per Fendiroccia» commentò Atoldir. Poi si spiegò meglio: «Dentro la Roccaforte la temperatura è più alta per via delle numerose fucine, ma così è esagerato. L'ultima volta che sono stato qui non mi sudavano i piedi.»
«Grazie del dettaglio» criticò Pin.
Io credevo di essere accaldata per via della stizza, ma evidentemente non tutto il sudore era dovuto a quella.
Quando fummo sotto le alte mura, ci fermammo per riflettere. Io guardai in alto, stupita di quanto una costruzione umana potesse essere imponente.
«Non è normale nemmeno che le porte siano aperte» aggiunse Atoldir.
«Io direi di dividerci: in gruppo sarebbe più facile che qualcuno ci noti» propose Keta.
«Ma siamo anche più vulnerabili. Non sappiamo cosa potremmo trovare» controbatté Pin.
Come al solito, Atoldir disse la sua: «Il figlio di Seshat ha ragione. Dividiamoci in coppie, piuttosto.»
«Siamo in numero dispari.» Guardammo tutti Flick un po' storto. Era un fenomeno a beccarsi occhiatacce.
«Che c'è, è vero!»
«Era un modo di dire! Per Feria, giuro che ti lego a un palo e ti lascio lì, così non si pone nemmeno il problema del numero dispari!»
Aveva urlato troppo.
La porta di una delle abitazioni più vicine alle mura cigolò mentre si apriva leggermente. Guardai subito in quella direzione e drizzai le orecchie. Da dentro proveniva un rumore appena percettibile, come di fuoco che scoppietta, o qualcosa che brucia lentamente. Nessuno fece in tempo ad azzardare un'ipotesi che dalla porta fuoriuscì un braccio.
O, almeno, quel che restava di un braccio.
Lo vedemmo afflosciarsi a terra attraverso la fessura dell'ingresso lasciato socchiuso, ma non si riusciva a vedere a chi appartenesse. Soprattutto, non si capiva se il proprietario dell'arto vi fosse ancora attaccato o meno.
La pelle era di un colore rosso scuro tendente al violaceo, piena di segni e scottature. Dubitai che chiunque con un braccio così potesse essere ancora vivo.
Nessuno di noi si mosse, all'inizio. Flick deglutì rumorosamente. Cercai di concentrarmi su cosa sentivo all'interno della casa e, di nuovo, una marea di lamenti e pianti mi affollarono le orecchie. Dovetti tapparmele con le mani per smettere di ascoltare.
«Dobbiamo andare a controllare» disse Keta e, senza aspettare una risposta, si avviò in direzione della casa.
«Facciamo così, io seguo Keta. Voi due e la donzella andate verso il centro della Roccaforte e vedete se trovate qualcuno vivo e sano di mente» decise Atoldir seguendo Keta a passo svelto, senza darmi il tempo di ribattere.
NA: ciauuuu a tuuuuutti! Spero che il nuovo capitolo vi piaccia! Come sempre, commenti sono ben accetti!
Ringrazio Elidesi00 per l'aiuto nel disegno di inizio capitolo (e per la copertina ahhaah💕)
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