Capitolo 29 - rivelazioni pt2
Il bardo strabuzzò gli occhi, appiattendosi con la schiena a una parete. «Cos... io... ho fatto quello che mi hai chiesto...»
«Proprio per questo non mi servi più» glissò la figlia di Seshat, sventolando una mano in segno di noncuranza. Si spostò un po' più verso l'ingresso, posizionandosi a un passo da Keta.
«Inoltre, non posso fidarmi totalmente di te.»
Il figlio di Veive tremava. Le sue ginocchia minacciavano di cedere. Io e Keta ci guardammo senza sapere come reagire. Ci aveva traditi, d'accordo, ma cosa intendeva fargli? Se si sbarazzava così di chi l'aveva aiutata...
«Quando i Troll vi hanno attaccati, hai suonato il tuo stupido flauto troppo presto» proseguì la spiegazione. «Sapevi che avrebbero colpito solo il figlio di Aliteo e di Feria. Sei stato spinto dalla paura? Dal senso di colpa? In ogni caso, non mi interessa.»
La figlia di Seshat pronunciò una strana formula magica. Mi sembrò che stesse solo biascicando all'inizio, poi sfornò parole strane con 'e' allungate. Voltò il capo verso l'ingresso con un movimento poco fluido, come se avesse mal di collo. Dopo un attimo, Mona l'Eleade fece capolino alla porta. Era di nuovo in forma umana, ma i capelli erano scompigliati, come se avesse dovuto correre per arrivare in fretta.
«Eccomi, come posso...» farfugliò, ma fu subito interrotta dalla donna che, con voce profonda, le concesse: «Fa' di lui ciò che desideri» e indicò il bardo con una mano.
Beh, poteva andargli peggio. Essendosi presa una cotta per lui, probabilmente non lo avrebbe ucciso. Non conoscevo a fondo le usanze delle Eleadi, ma non avevo mai sentito che divorassero o torturassero i loro amati. Sono creature pacifiche, perlopiù... così dicono i libri, almeno.
«Oh, no...» Il figlio di Veive si bloccò, paralizzato dalla sentenza. Con una mano cercava qualcosa a cui appigliarsi tastando il legno alle sue spalle. L'Eleade lanciò un gridolino di gioia, portando le mani strette a pungo al petto ed esultando. Poi, spinse avanti un braccio da cui partì una liana che avvinghiò il polso del malcapitato, passando tra me e Keta.
Fui tentata di tirar fuori la spada e tagliare la liana. Forse in due saremmo riusciti a scacciare Mona, ma poi cosa avrebbe fatto la figlia di Seshat? Era meglio attendere il momento propizio.
L'Eleade iniziò a tirare verso di sé con forza sovrumana. Fissai Keta come a chiedergli consiglio, ma lui decise di passare all'azione: si sfilò dalla schiena la sua lama e fece per abbassarla con l'intenzione di tranciare il laccio d'erba. Tuttavia, una nube blu gli arrivò in volto e rimase paralizzato a mezz'aria. La donna aveva diffuso con un soffio una polvere color notte, estratta da un sacchetto dello stesso colore scuro.
Non mi raccapezzai di come avesse fatto ad agire così in fretta, ma di una cosa ero certa: era decisamente meglio non mettersi contro di lei.
Il bardo mi sfilò davanti strisciando e divincolandosi, appeso per il polso. Mi pregò di aiutarlo ma, figurativamente, avevo le mani legate anch'io. Distolsi lo sguardo e lo posai sulla figlia di Seshat. I suoi occhi sembrarono sfidarmi. Sopravvalutava il mio coraggio.
Dopo pochi istanti la porta si chiuse con un tonfo, seguito dalle urla del figlio di Veive che si allontanavano.
«Molto bene» commentò la donna, rimettendo il sacchetto in una tasca.
Keta era ancora in mezzo alla stanza con le braccia alzate e la spada fra le mani. Avrei voluto dire qualcosa del tipo: "libera il mio amico!", ma dare ordini nella mia posizione poteva essere sconveniente. La fissai con insistenza, desiderosa di ulteriori chiarimenti sui pezzi della storia che ancora mi mancavano.
La figlia di Seshat parve leggermi nel pensiero. «Sì, certo, ora finisco di spiegarvi perché siete qui. E no, non ho intenzione di ucciderti o darti in pasto alle Eleadi» aggiunse rivolgendosi a Keta. «Anche se per mezzo minuto non riuscirai a respirare, la paralisi non dura a lungo, non preoccuparti.»
Non preoccuparti. Anche se non era rivolta a me, non mi tranquillizzò per niente.
Mi avvicinai al mio compagno, timorosa di sfiorarlo. Non poteva muovere nemmeno le pupille o sbattere le palpebre. Doveva essere una pozione molto potente per bloccare qualsiasi muscolo del corpo, persino quelli respiratori. Quando gli poggiai una mano sulla spalla scuotendolo, mi sembrò di voler scostare un muro.
«Come ho suggerito prima, starai con i figli di Ixion e Thas finché io e Hora non saremo giunte a un accordo» proseguì la donna, voltandoci le spalle. Quando pronunciò il mio nome, mi si rizzarono i capelli in testa e tutti i peli delle braccia. Di lì a poco avrei dovuto confessare.
«Non mi piace dire che sarai mio prigioniero, non ho fatto del male agli altri guerrieri e non hanno certo patito la fame.» Indicò delle ciotole vuote poste di fianco a un secchio, probabilmente usate dai suoi... ospiti per nutrirsi.
«Come avevo previsto, ci hai creato un po' di problemi, figlio di Aliteo. La mia polvere paralizzante è difficile da preparare.»
Mentre parlava, gli occhi di Keta iniziarono a guizzare e le sue braccia a tremare. L'effetto stava svanendo, il corpo del ragazzo era percorso da spasmi e le guance si stavano tingendo di viola.
«Che gli sta succedendo? Potrebbe morire soffocato?» domandai con voce implorante, come a supplicarla di far cessare il dolore del mio amico.
«Le sinapsi neuromuscolari si stanno riattivando, tra poco starà bene» mi spiegò la figlia di Seshat, appoggiandosi al tavolo come se stesse partecipando a un'amichevole conversazione in compagnia.
Dopo qualche secondo, i muscoli di Keta si rilassarono, le braccia si fecero prive di vita e le dita delle mani si aprirono. La sua doppia lama si schiantò a terra con un rumore metallico assordante e il ragazzo cadde in ginocchio. D'istinto lo soccorsi abbassandomi a mia volta e sorreggendolo per le spalle, evitando che finisse faccia a terra. Inalò una grande quantità di aria per sopperire alla mancanza dei secondi precedenti.
«Che scenetta commovente. Non credevo ti fossi affezionata a lui, Hora» disse la donna con voce mielosa. «Spero che questo non cambi le cose.»
Keta la guardò in cagnesco, inspirando con foga. I nostri volti erano circa tutti alla stessa altezza ora che io e lui eravamo inginocchiati. «Come sai il suo nome? E di quali cose parli?» ansimò.
«Come ti senti?» mi informai sottovoce. Lui annuì, rassicurandomi sfiorandomi la mano e accorgendosi che tremavo quasi più di lui. Mi staccai per non dargli ulteriore conferma della mia paura e insieme ci alzammo.
«Mi piaci, Keta» osservò la figlia di Seshat, grattandosi la nuca dai capelli di fumo. «Ammetto di aver lasciato due cavalli alla Roccaforte Frammento per far fuggire solo Hora e Pin, ma visto che sei arrivato vivo significa che sei molto forte e potresti essermi utile.»
Il figlio di Aliteo si stava massaggiando una coscia, ma si bloccò dopo quell'affermazione. «Come? I cavalli che abbiamo trovato... ecco perché erano bardati... Ma perché Hora? A te serviva lo stilo, giusto?» domandò irrequieto, spostando gli occhi da me alla donna e viceversa.
Mi allontanai dal mio compagno di viaggio, temendo la sua reazione. Era il momento della verità. Avvicinai le mani per potermele torturare mentre rivelavo: «Dovevo venire qui per... un motivo personale. Ho approfittato della missione per non dare nell'occhio e poter attraversare i confini senza problemi.»
Lo stupore prese il posto della rabbia sul volto di Keta. Sembrò voler dire qualcosa, ma richiuse le labbra.
«Mi dispiace, doveva rimanere segreto» mi scusai inutilmente. Di certo non speravo di avere il suo perdono. Lui e gli altri erano stati gentili con me... e io li avevo sfruttati per arrivare fin lì.
«E quale sarebbe, questo motivo personale?» La sua voce uscì calma, ma potevo sentire il disgusto che impregnava ogni sillaba. Non potevo biasimarlo: in pochi minuti, aveva scoperto che due dei suoi compagni lo avevano tradito. Compagni per cui aveva rischiato la vita, per cui aveva combattuto e in cui aveva riposto fiducia. Addirittura, aveva cercato di aiutare il bardo mentre l'Eleade lo trascinava con sé, mettendo a repentaglio la sua incolumità.
Non riuscii a rispondergli. La gola mi si era seccata e la lingua era diventata inerte. Stavo facendo davvero la cosa giusta? Vedendo Keta in quello stato mi si stavano strizzando le interiora. Lui era una brava persona, invece sapevo poco o nulla di quella donna e non mi fidavo di lei, ero lì solo perché mi aveva promesso ciò che da sola non sarei riuscita a ottenere.
«A me non spiace dirti che non sono affari che ti riguardano» intervenne la figlia di Seshat, compiaciuta dello spettacolo. «Io e Hora dobbiamo parlare in privato, adesso.»
«Non mi riguardano?!» sbraitò Keta, abbandonando ogni suo tentativo di contenersi. «Delle persone sono morte, io stesso ne ho uccise pur di capire cosa stesse succedendo, una guerra è imminente e ora mi dite che devo starne fuori?» Si avvicinò a me, ma io mi ritrassi verso il tavolo finché non lo urtai. «Hora, ti prego, spiegami» mi implorò, abbassando la voce e fissandomi.
Non so se stesse usando il suo potere, ma dovetti reggermi al bordo del tavolo con una mano per non vacillare. Abbassai lo sguardo non riuscendo a sostenere il suo. «Non posso...» sussurrai.
Non potevo davvero. Era una cosa troppo importante per mandarla all'aria ora che ero così vicina.
«Basta con questo teatrino» ordinò la donna. Si spostò dietro al tavolo e mi fece cenno di seguirla. Mi avviai lentamente, tenendo gli occhi sul figlio di Aliteo e posizionandomi dalla parte opposta del tavolo rispetto a Keta. Il suo volto era paralizzato nell'espressione di supplica che mi aveva rivolto.
Raccolse la sua arma mantenendo il contatto visivo con me. Passarono alcuni secondi di silenzio, la tensione impregnava l'aria come l'umidità pervadeva la Palude Velenosa.
«Cosa volete fare?» domandò. La sua voce era colma di delusione e rassegnazione. Lo sentii espirare forte, come se volesse liberarsi di quella speranza che lo spingeva a impugnare la spada con determinazione. Era tanto affranto da voler mollare, non aveva più certezze né nessuno di cui fidarsi, eppure cercava di aggrapparsi al suo senso del dovere.
La donna mi sfiorò un braccio e mi indicò una leva. Era un pezzo di legno che fuoriusciva dalla parete, nascosto dagli scaffali stracolmi di ampolle. Da essa dipartiva una canalina che proseguiva verso l'alto mimetizzandosi con le assi di legno della casa. Poggiai la mano destra sulla barra, senza spingere. Mi voltai verso Keta e notai la canalina che terminava dietro di lui e spariva nel pavimento.
La leva azionava una botola.
«Resta fermo. Opporti non servirebbe» lo ammonì la donna avvicinandosi a lui e agitando il sacchetto di polvere azzurra ricomparso tra le sue mani. Ma Keta non si sarebbe mosso comunque. Aveva abbassato la mano con cui brandiva l'arma e sembrava rischiasse di cadere in ginocchio da un momento all'altro. Aveva rinunciato.
«Mi fidavo di te» sussurrò, tanto debolmente che credo che la figlia di Seshat non lo sentì nemmeno. Un enorme groppo mi si formò in gola facendomi venire la nausea. Avevo appena perso la sua amicizia e la sua lealtà... ma ciò che avrei guadagnato sarebbe stato molto più grande. Così speravo, almeno...
«Forza, tira la leva» ordinò la donna.
Esitai. Non potevo mollare in quel momento. Ma Keta... era diventato importante per me. Mi aveva salvata, mi aveva ascoltata, si era preoccupato per me... e io lo ripagavo tradendolo e umiliandolo.
«Perché... Hora...» mi supplicò di nuovo. Allungò un braccio verso di me, il volto dai lineamenti duri sfigurato in un'espressione disperata. La sua mandibola era contratta, i suoi occhi sbarrati. Si stava appellando alla mia pietà, alla nostra amicizia, all'ultima goccia di speranza che gli stavo lasciando tenendolo in bilico.
«Tira la leva!» ripeté la figlia di Seshat, questa volta con furia.
Tremavo. Sentivo le dita picchiettare sul legno al ritmo del mio battito. Gocce di sudore mi scivolavano sulla fronte. Il respiro era mozzato, inalavo piccolissime quantità di ossigeno per volta.
Keta era innocente. Quella donna avrebbe voluto ucciderlo prima che arrivasse lì. Ma lo avrebbe fatto solo per il nostro obiettivo comune, per evitare di fallire, che ci intralciasse. Non volevo fargli del male, ma ciò per cui ero lì era troppo importante per me. Se avessi raggiunto il mio scopo, tutti ne avrebbero giovato. Forse Keta un giorno avrebbe potuto perdonarmi, o quantomeno comprendermi. Forse lui al mio posto avrebbe agito uguale.
Inoltre, sono una figlia di Heket, il dio dell'inganno: prendermi gioco delle persone è ciò che mi riesce meglio.
Guardai un'ultima volta i suoi occhi di ghiaccio. Poi, spinsi la leva verso il basso e una voragine inghiottì Keta.
N.A.: tan tan taaaaaaaaaan di nuovo hahha
Ehehe questa non ve l'aspettavate proprio, scommetto. Chissà cosa tramano Hora e la donna misteriosa, che tanto misteriosa ormai non è più XD
Povero Keta, quasi mi spiace. In compenso, ho messo una sua foto di come lo immagino a inizio capitolo per fargli onore (anche se dovrebbe avere capelli bianchi e occhi azzurri). Voi ci siete affezionati?
Tami🌻
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