Capitolo 26 - la Palude Velenosa

Eravamo spacciati.

La terra molle della palude mi inghiottiva fino alle ginocchia. Marzapane nitriva e scalciava invano, divincolandosi con veemenza mentre lo tenevo saldo per le redini. Ero scesa nel momento in cui un suo zoccolo era rimasto bloccato dalla palta, tentando di saltare il più lontano possibile ed evitare le sabbie mobili. Visto dove mi trovavo, è facile dedurre che avevo fallito nel mio tentativo, peggiorando la situazione.

Anche i cavalli dei miei compagni erano rimasti impantanati; quello del bardo era scivolato in avanti cogliendolo alla sprovvista e facendolo cadere dritto con la faccia nella melma. Thor, il cavallo di Keta, era rimasto più tranquillo, lasciando il suo cavaliere in sella, ma ora era comunque immerso nel pantano e non riusciva più a muoversi. Entro non molto, i piedi di Keta si sarebbero sporcati di terra paludosa.

Nessuno sapeva come uscire da lì. Il bardo cercò qualcosa nel suo zaino che, essendo finito nel fango, si era riempito di sporcizia. Si disperò urlando che il suo piffero era zuppo di terra umida e non poteva suonarlo. Keta mi chiese di tenere anche il suo cavallo e si alzò in piedi sulla sella con l'intento di raggiungere un ramo sopra di lui. Saltò, tuttavia a causa della superficie d'appoggio instabile perse l'equilibrio e sdrucciolò anche lui nella melma di fianco a Thor.

Marzapane, agitandosi, sprofondava sempre di più e con maggiore velocità, trascinando anche me. Ormai le sabbie mobili mi coprivano fin quasi alla vita. Il panico mi assalì: entro pochi minuti sarei stata risucchiata dalla terra. Le mani mi tremavano tanto che lasciai andare le redini e portai le braccia sopra alla testa. Iniziai a respirare con affanno, come se i miei polmoni sapessero che entro breve sarebbe entrato fango al posto di aria giù per la faringe.

Il figlio di Veive non reggeva la tensione tanto meglio: continuava a fare versi striduli che si mischiavano ai nitriti spaventati dei cavalli e a urlare domande del tipo: "che facciamo adesso?" o "stiamo per morire, vero?". Intanto agitava il suo flauto lanciando spruzzi di fanghiglia, non so se nella speranza che si sturasse o solo perché era terrorizzato.

Provai a respirare con più calma, ma era tutto inutile. Mi concentrai su quello che mi riusciva meglio: ascoltare. Spensi tutti i sensi, chiusi gli occhi e drizzai le orecchie per sentire ogni minimo rumore lontano. Degli uccellini cantavano le prime note del mattino, le liane degli alberi oscillavano al vento e si scontravano tra loro, qualche animale si trascinava sul terreno melmoso e...

«Secondo te, sono loro?»

Un sussurro flebile. C'era qualcuno nei dintorni.

«Certo che sono loro! Chi sarebbe così stupido da inoltrarsi nella palude?»

Un'altra voce, palesemente femminile. Provenivano dalla mia destra.

Riaprii gli occhi di colpo e girai la parte superiore del busto, l'unica che potevo ancora sentire. Non vidi nessuno. Eppure sentivo le loro voci.

«Allora che facciamo? Li salviamo?»
«Non ricordi gli ordini? Non ci servono tutti.»
«Oh, ma guarda quanto è carino quello con la pelle blu! Dici che poi potrò tenerlo?»
«Sono persone, Mona, non giocattoli!»
«Tu vuoi ucciderne uno!»

«Hei!» urlai. «Chi è là?»

Marzapane sussultò al mio grido, probabilmente anche il bardo. Keta chiese a chi mi fossi rivolta, ma io alzai una mano per fargli segno di attendere.

Le due voci si fecero più concitate. «Si riferisce a noi?»
«Ma certo, la ragazza è una figlia di Heket, può sentirci anche da lontano!»
«Che facciamo allora?»
«Visto che ci ha sentite, non temporeggiamo oltre.»

«Qualcuno sta venendo verso di noi» informai i miei compagni.
«Chi? Come fai a saperlo?» si preoccupò il figlio di Veive a bassa voce.
«Le ho sentite.»
Ascoltai ancora i rumori provenienti dalla palude. Era come se un serpente stesse strisciando sulla palta, un misto tra rumore d'acqua che sgorga e di fango che viene calpestato.

«Le?! Quante sono? Cosa sono?!» impazzì il bardo.
Il suono viscido si faceva sempre più vicino. «Due voci, sembravano due ragazze.»
«Spero almeno che facciano in fretta» commentò Keta, guardando le sabbie mobili che ormai ci arrivavano alle costole.

Un fruscio leggero preannunciò l'arrivo delle due figure. Due ammassi di terra si materializzarono accanto a noi, dapprima soltanto cumuli di fango, poi presero fattezze all'incirca umane. Erano due giovani, in effetti, ma i loro corpi erano composti della stessa sostanza che ci stava inghiottendo, da ogni centimetro fuoriuscivano rametti, foglie secche e vermiciattoli.

Eleadi.

«Allora, cosa abbiamo qui?» domandò retoricamente la proprietaria della seconda voce che avevo sentito, togliendosi un ramoscello secco da un occhio.
L'altra ragazza, se così si poteva definire, si mosse agilmente come se stesse nuotando e si diresse verso il bardo. «Mh, interessante...»

Il povero figlio di Veive cercò di ritrarsi per quel che poteva, ma l'Eleade lo sfiorò con un dito fangoso passandoglielo sul bicipite.
«Mona! Piantala!» la rimproverò l'altra.
«Ecco, dalle retta e lasciami stare!» strillò il bardo con i capelli ritti sulla nuca, mentre il suo cavallo lo strattonava.

La situazione sarebbe stata anche comica, se solo non fossi stata sepolta per più di metà del mio corpo nelle sabbie mobili e se solo non mi restassero probabilmente solo pochi altri minuti di vita. Non sapevo cosa fare. Dovevo chiedere di aiutarci? O mostrarsi in difficoltà avrebbe peggiorato la situazione? D'altro canto, era evidente che fossimo in difficoltà.

Per fortuna, Keta fu più pronto di me, uscendosene con un classico: «Chi siete?»
L'Eleade di cui ancora non conoscevo il nome, anziché rispondere, si fuse con il fango fino al collo e ridacchiò.

Io e Keta ci scambiammo un'occhiata. Non era chiaro se ci stesse prendendo in giro. Erano lì solo per godere della nostra fine?

«Oh, per favore, Merula! Posso salvarlo? È così carino...» continuò Mona, girando attorno al bardo e roteando su sé stessa. Si sollevava con le mani i capelli di fango lisci e infiniti, le cui punte si mischiavano con la palta tutt'attorno. A ogni movimento lasciava qualche schizzo sulla pelle azzurra del figlio di Veive, ridacchiando giuliva.

L'altra Eleade, Merula, fece una faccia esasperata. «Smettila! Dobbiamo salvare solo due di loro!»
«Tu ricordi chi dei tre?»
«In realtà no... oh, accidenti! Uno dovevamo lasciarlo annegare!» Merula scomparve per un momento sotto al fango, poi balzò verso l'alto come se avesse spiccato un salto. Dai suoi capelli mossi si liberarono foglioline verdi e gialle che mi finirono quasi tutte addosso. Marzapane mi tirò una testata sul braccio nel vano tentativo di evitare la sporcizia.

Ahia. Grazie.

Cercai di pensare nonostante i bisticci delle due creature. Le sabbie mobili mi arrivavano ormai sotto le ascelle, avevo le braccia rivolte al cielo che mi si stavamo intorpidendo. La nostra unica possibilità di salvezza era quella di convincere le Eleadi a tirarci fuori. Da quello che Merula aveva commentato sembravano intenzionate a farlo, almeno per due di noi.

Mi tolsi una foglia che mi penzolava dai capelli, accorgendomi che ormai non avevano più il loro colore naturale perché pieni di pantano. Una ciocca ancora rossa venne via insieme al picciolo della fronda.
«Quindi... siete qui per aiutarci?» domandai ingenuamente.

«Non so se "aiutarvi" sia l'espressione più adatta» alitò Merula, venendo a un palmo dal mio naso. Odorava di umidità, un po' come una giornata nuvolosa che preannuncia un acquazzone. Il suo corpo emanava un non so che di fresco, mi sentii brividi sulle guance e sul collo.
«Non saprei dirti se sia meglio morire nella fanghiglia o essere portata dove abbiamo ordine di condurvi.»

Rassicurante.

La mia ansia era già alimentata dal fatto che il mio corpo dal petto in giù fosse stato risucchiato... che fuori di lì avrei trovato di peggio, mi fece ansimare. Non riuscii a risponderle.

«Beh, se aspettate ancora un po' ci tirerete fuori morti» commentò Keta.
Il bardo si agitò. Essendo più alto di me, parte del suo busto era ancora visibile. Allungò le braccia per allontanare l'altra Eleade. «Infatti! Sarebbe meglio se ci faceste uscire e potessimo discutere pacificamente» strillò, mentre Mona gli scompigliava i capelli neri con le mani fangose.

«Hai ragione, mio dolce principe» smielò l'Eleade. «Purtroppo però credo ci sia poco da discutere.»
Detto ciò, Mona scomparve nella palta. Un secondo dopo, due liane piovvero dal cielo senza che nessuno di noi potesse capire da dove provenissero. Legarono le braccia del bardo e iniziarono a tirarlo verso l'alto. Il figlio di Veive non smise un secondo di urlare e divincolarsi.

Pian piano, venne estratto dal pantano e scaraventato più lontano dove il terreno appariva solido. Il suo cavallo, al limite della zona fangosa, in breve riuscì a liberarsi e a fuggire al galoppo in mezzo alla palude, rischiando di calpestare il suo stesso proprietario.

Anche Merula scomparve nella melma, tuttavia nessuna liana ci afferrò. Il terreno paludoso iniziò a ritirarsi da solo, finché io e Keta fummo liberi. Caddi in ginocchio perché mi sentivo le gambe strane, come se una miriade di formiche mi stesse camminando addosso.

Marzapane provò le stesse sensazioni ma, anziché accasciarsi, iniziò a muoversi convulsamente e scappò. Gridai il suo nome senza ottenere nessun effetto. Mi augurai che si fermasse una volta uscito dalla palude.

Keta cercò di trattenere Thor per le redini, ma anche lui era molto agitato. Quando una liana bloccò le braccia del figlio di Aliteo, il suo cavallò trottò via seguendo la direzione di Marzapane.

Dopo un attimo, Keta fu tirato con veemenza e cadde a terra con le mani alzate e strette assieme. Seguii la liana e vidi che partiva proprio dalle mani di Merula; idem valeva per quelle che legavano il bardo, generate dalle mani di Mona in piedi di fianco a lui. Le Eleadi erano ora in forma quasi completamente umana a parte dalle ginocchia in giù, dove i polpacci erano sostituiti da due ammassi gocciolanti che si confondevano col terreno.

Avevamo il corpo pieno di fango e qualsiasi animale del sottobosco. Mi levai un centinaio di formiche da ogni centimetro di pelle. Per fortuna avevo bendato la spalla, altrimenti avrebbe fatto infezione in mezzo a quel putridume.

«Tu ci seguirai senza fare storie o dobbiamo legarti?» gracchiò Merula rivolta verso di me.
Alzai un sopracciglio mentre mi massaggiavo le braccia intorpidite. «Se tentassi di fuggire finirei di nuovo in pasto alle sabbie mobili, quindi penso che non azzarderò mosse avventate.»
«Perfetto, allora andiamo! Su, alzati!» esclamò strattonando Keta, ancora seduto.

Iniziammo a percorrere un sentiero umido e fangoso. Le mie scarpe sprofondavano e talvolta rischiavo di perderle. Le zanzare erano ovunque, procedendo mi si infilavano di continuo in occhi, naso e bocca. Passai il tempo cercando di togliermi vermiciattoli e foglie secche dai pantaloni.

Mona si tenne il bardo vicino, cercando di stampargli dei baci furtivi. Il poveretto rischiava ogni volta di inciampare o di prendersi un ramo in testa pur di schivare la bocca viscida dell'Eleade. In volto non era poi così brutta: aveva occhi piccoli e vispi, labbra sottili e delicate, guance all'apparenza morbide. Tuttavia essere toccati doveva fare abbastanza senso, essere baciati anche peggio per via della saliva al gusto di acquitrino.

Keta tentò di fare qualche domanda, ma le due figure fingevano di non sentirlo. Alla terza volta che chiedeva dove fossimo diretti, lo guardai impotente. Mi fece un cenno con la testa, come per suggerirmi di porre io i quesiti e vedere cosa accadeva.

Ma io sapevo dove stavamo andando, o almeno ne ero abbastanza convinta. Così giocai a scarica barile e rivolsi al bardo uno sguardo d'intesa. Mossi la testa verso Mona, con l'intento di estorcere a lei informazioni sfruttando la sua infatuazione.

Il figlio di Veive spalancò gli occhi e fece una smorfia, mimando con le labbra:" Perché io?". La situazione mi fece sorridere, soprattutto quando Keta lo incitò di nuovo alzando il mento e fissando l'Eleade che stava tentando di toccargli il petto.

«Allora...» borbottò, allungando eccessivamente la 'o'. Si girò a guardarci, cercando le parole. Keta gli fece un gesto di incitamento con le mani legate.
«Sì, mio caro?» saltò su subito Mona.
«Mi chiedevo...» continuò, tingendo di rosso le sue guance striate di azzurro. «Non è che ci potreste dire dove ci state portando?»

«Tieni chiusa quella boccaccia!» intervenne Merula, non saprei dire se rivolta alla sua compare o al bardo. «Non dobbiamo dire nulla, soprattutto perché non ricordiamo chi avremmo dovuto lasciare alla palude! Ricorda la ricompensa che la nostra padrona ci ha promesso.»

Mona parve sinceramente dispiaciuta. Arricciò il labbro inferiore e si scusò: «Mi duole non accontentarti, mio dolce eroe. Ma presto saremo arrivati.»
Il suo corpo si avvolse ai piedi del bardo riempiendolo di fango fino alle caviglie e rendendogli faticoso proseguire.

«Che cosa vuoi da me? Staccati!» la pregò il figlio di Veive.
«Oh, io nulla di che» ridacchiò. «Ma la nostra padrona dice che siete molto importanti.»

«Chi vi manda? E con quale ricompensa vi ha convinte a catturarci?» tentò Keta. Questa volta, perlomeno, non fu ignorato. «Basta domande!» ululò Merula. «Noi vi portiamo da lei e lei ci darà tanto oro in cambio. Fine della questione!»

Io e il figlio di Aliteo rimanemmo un po' più indietro, parlando cercando di non essere sentiti.
«Credi che sia la stessa donna che ha impestato Fendiroccia con la pozione?»
Annuii. «I conti tornano. Una donna, la Palude Velenosa...»
«Ma che se ne fanno delle creature melmose di oro?»
«Le Eleidi sono anch'esse figlie di Halos, non chiedermi esattamente come sia possibile. Hanno un'innata tendenza a voler per sé ricchezze e gioielli» spiegai, mentre osservavo Mona che accarezzava un serpente attorcigliato a un albero. Non avevo particolare paura dei serpenti, ma non provavo nemmeno troppa simpatia.

Keta alzò le sopracciglia. Qualcosa ancora non gli quadrava. «Ma perché quella donna vuole noi? Come sapeva del nostro arrivo?»
Alzai le spalle. Mona stava scoccando un bacio sulla testa del serpente e la cosa mi schifava alquanto.

«Tu hai le mani libere e la spada ancora nel fodero. Se tagli le liane che mi legano, possiamo provare a scappare» mi consigliò.
Mi feci pensierosa. No, dovevamo arrivare alla casa della donna il prima possibile, ribellarci non avrebbe aiutato.
«Se anche riuscissimo a sconfiggere le Eleidi la palude ci inghiottirebbe di nuovo. Inoltre potrebbero scortarci proprio dalla donna che cerchiamo.»

Sembrò sorpreso dalla mia risposta. «E cosa intendi fare? Lasciarci condurre in bocca al nemico?»

«Avete finito di chiacchierare, voi due lì dietro?» indagò Merula, strattonando Keta. «Vedete quella palafitta? Ecco, siamo quasi arrivati.»

Alzammo gli occhi in avanti e notammo un punto in cui gli alberi si diradavano lasciando spazio a una specie di radura di fanghiglia. Alcune casupole di legno, costruite con quattro pali a sorreggerle e sollevarle dalle sabbie mobili, sorgevano qua e là. Saranno state una decina, tutte diroccate e malmesse. Da una di esse notammo uscire un'Eleade, completamente in forma umana, che si tuffò e scomparì nel pantano. Doveva essere un villaggio o qualcosa del genere.

La casupola che Merula aveva indicato era l'unica ad avere una passerella per raggiungerla. Le nostre accompagnatrici trasformarono le loro code di fango in sottili e delicate gambe che terminavano con piccoli piedi nudi. Parevano proprio due bei figurini, se solo non avessero avuto l'odore e il colore della terra umida.

«Hai un piano?» mi sussurrò Keta, distogliendo la mia attenzione dal paesaggio davanti a noi.

Sorrisi. Oh, altroché se avevo un piano.

N.A.: ciao a tuttiii
Questo capitolo mi ha molto divertita, spero possa piacere anche a voi, anche se è un po' lungo!

Cosa avrà in mente Hora, secondo voi?

Tami🔥

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