Capitolo 25 - una serata... romantica


Tempo presente

Hora

Giungemmo nei pressi della palude quando il sole era ormai in procinto di sparire al di là del mare a ovest. La Palude Velenosa si trova all'estremo occidente di Ibya, nonché delle nove contee, perciò oltre essa si estende l'infinito oceano. Non lo avevo mai visto dal vivo, nonostante anche Specchialuce sia lambita dall'acqua a sud, essendo ogni contea uno spicchio di una terra pressoché circolare. Abitavo molto nell'entroterra, perciò il mare era distante e invisibile a occhio nudo.

Molto lontano, potevo vedere le leggere increspature dell'acqua piene dei riflessi rossi e arancioni del tramonto. Essendo Ibya a ovest, il sole si spegne proprio sul mare, mentre la sua nascita è coperta dalle montagne del Tenetet. Specchialuce, invece, rivolta verso sud, gode di entrambi gli spettacoli ma non in maniera diretta. Il sole sembra sorgere dalla terra stessa, perché il mare ancora una volta non è visibile, e la stessa cosa vale per il tramonto, dove sembra sprofondare in quella che per noi è la contea di Lloyd.

Con il mio udito sopraffino potevo sentire il leggero rumore delle onde che si frangevano dolcemente sulla spiaggia, un sussurro continuo e rilassante che mi riempì di armonia e cullò il mio sonno quella notte.

Ci riparammo sotto un albero molto strano di cui non conoscevo l'etimologia. Aveva delle enormi radici esposte che fungevano da nicchie abbastanza comode, un tronco dal diametro di circa tre metri e rami contorti. Anche a Ibya il clima è caldo e afoso, quindi il principale problema era quello di rimanere idratati. Con le scorte nel carro non ci eravamo mai fatti problemi, ora però le vettovaglie erano limitate e non andavano sprecate.

Quella sera ero provata dalle ore in sella, ma mi ripromisi il mattino seguente di provare a spillare dell'acqua dal tronco dell'albero. Mi sistemai in una nicchia, poggiando il mio zaino e togliendomi le scarpe per far riposare i piedi doloranti. La nostra cena sarebbero stati due conigli che Atoldir aveva cacciato il primo giorno, quando ancora non eravamo circondati solo da insetti e serpenti, che il bardo aveva preventivamente cotto e conservato.

Mentre mangiavamo, il figlio di Veive ci disse di aver appreso da Flick che a Ibya un piatto molto apprezzato era composto da scarafaggi cucinati con brodo e verdure. Non essendoci una flora variegata, i figli di Halos avevano dovuto accontentarsi. Mi segnai mentalmente di chiedere a Flick di cucinarmeli, un giorno.

Prima di dormire, io e Keta chiacchierammo un po' davanti al fuoco con gli occhi fissi sul tramonto mozzafiato. Discorremmo della giornata e dello scontro con i Troll, poi lui mi raccontò come era fatto il convento e io com'era casa mia. Nessuno dei due accennò alla conversazione avvenuta nel pomeriggio.

Intanto, il sole si ridusse a una linea arancione e scomparve dal nostro campo visivo, facendo esplodere i suoi raggi brillanti e incastrandoli tra il blu e il grigio del cielo, colorandolo di un'ultima calda luce. L'acqua rendeva l'effetto finale ancora più spettacolare e suggestivo, increspandosi e muovendo gli sfolgori del sole sul confine tra mare e orizzonte.

«Tu hai mai visto l'oceano?» mi domandò dopo qualche minuto di silenzio, con lo sguardo perso verso il punto dove il sole si era eclissato ormai da un po', come sperasse che potesse tornare indietro.
«No, mai. Abito nei pressi della Strada di Vetro e non ho avuto occasione di andarci» esalai, mettendo via l'ultimo tegame della cena. Parlando, non ci eravamo resi conto dello scorrere del tempo. Mi sedetti accanto a lui, rivolta anch'io verso il mare.

«Ne sento l'odore, è... buonissimo. Pensavo puzzasse, invece è un piacere per le mie narici, soprattutto dopo tutta la calura e i fumi di Fendiroccia.» Si sdraiò a terra con le braccia incrociate dietro la nuca, sporgendosi fuori dalla cappa di foglie che ci copriva come una cupola.
«Se mi concentro, io riesco a percepirne il suono» confessai. «Lo trovo rilassante.»

Sospirò. «Dovresti vedere le stelle. Sono meravigliose.»
Mi spostai anche io un po' più indietro per non avere la visuale coperta dal tetto di rami, tenendo però il busto sollevato e inclinando la testa verso l'alto. Keta aveva ragione: essendo lontani da possibili fonti luminose delle Roccaforti, la volta celeste appariva limpida e le stelle la riempivano affollate, come se facessero a gara a chi splendeva di più.

«Magnifico... ma tu a Gelaurora non sei abituato a vedere il cielo stellato? Visto che vivi in un convento sulle montagne...»

Mi rispose senza distogliere gli occhi dai puntini luminosi che brillavano al fianco dello spicchio di luna. «In effetti sì, nei giorni senza nuvole non è difficile ammirare le stelle. Però mi affascina poterlo fare senza indossare vestiti pesanti e tremare dal freddo.»

«Ci sono temperature così basse?» mi informai. Non avevo pensato a questo dettaglio, visto che Specchialuce era una terra mite.
«Essendo una delle Terre Alte, piove spesso e di notte si gela. Non è come qui nelle Terre Sepolte, dove di sera la temperatura è comunque asfissiante» raccontò.

«Devi soffrire tanto il clima afoso, allora» commentai.
«Vero, però penso che per un abitante di qui sarebbe molto più difficile ambientarsi a Gelaurora che non il contrario» mi sorrise, finalmente girando la nuca verso di me.

Annuii, distogliendo lo sguardo. Temevo che potesse usare il suo potere per farmi dire qualcosa che non volevo rivelare. Da quando avevo scoperto questa sua peculiarità mi metteva un po' in soggezione.

«Tu, invece? Non hai mai visto le stelle così bene?»

Sbattei le palpebre per cacciare un moscerino. «Non proprio. La mia casa non è molto lontana dalla Roccaforte Salice, perciò la sua luce ci illumina anche di notte.»
«Come è fatta? È tanto grande da coprire il cielo?» curiosò.
«La Roccaforte è un enorme albero, un salice, appunto, e sarà alto... non saprei, un centinaio di metri?» mi interrogai, portando un dito al mento e picchiettandolo.

«I rami sono immensi, addobbati da file di lanterne e lucciole che vi abitano tutto l'anno. In alcune occasioni vengono anche rivestiti di nastri colorati e altri addobbi. I ricevimenti o le grandi feste si svolgono ai suoi piedi, dove le radici si dipartono in tutte le direzioni, come le punte di una stella.»

I miei occhi si illuminarono, probabilmente. Adoravo la Roccaforte Salice, poter aprire le finestre di casa e ammirare le fronde di quell'immenso albero mi trasmetteva pace, familiarità. Spesso si potevano intravedere alcuni figli di Heket che passeggiavano sui rami o si arrampicavano su scale di corda, impegnati a cambiare lanterne o agghindare le frasche più alte.

«La parte all'interno è cava e vi sono situate le stanze reali, mentre la maggior parte della popolazione di Specchialuce, me compresa, è concentrata tutt'attorno, con piccole abitazioni riparate dalle fronde dell'albero. Al di fuori della Roccaforte si estendono boschi e campi, anch'essi abitati ma molto meno.»

Keta mi osservava e ascoltava con interesse. «Quindi quando alzi la testa vedi solo rami e foglie?»
«Sembra triste detto così» ridacchiai. «Io la trovo maestosa. Non ho mai visto le altre Roccaforti, al di fuori di Lloyd e Liunene, ma sono abbastanza convinta che la Roccaforte Salice sia la più bella. Gli scoiattoli vi passeggiano indisturbati, i pettirossi svolazzavo e nidificano tra i rami, le lucertole prendono il sole tutto il giorno...»

Il figlio di Aliteo tornò a guardare il cielo. Il suo volto era rilassato, così come credo anche il mio. La conversazione aveva preso una svolta piacevole. Inoltre, davvero adoravo la sensazione che mi trasmetteva la natura di casa mia. C'erano anche lati negativi in tutto ciò, come insetti, serpenti e rane velenose, funghi puzzolenti... ma vedere quello spettacolo tutti i giorni e poterci vivere in armonia non aveva prezzo.

«È strano, sai? Ho sempre inteso le Roccaforti come dei castelli o grandi palazzi, mai come alberi giganti» riconobbe Keta.

Alzai le spalle, senza sapere cosa ribattere.
«La Roccaforte Candore è simile al palazzo di Lloyd, solo un po' meno verdeggiante» continuò dopo un attimo. «Ci sono guardie tutt'attorno, un fossato, alte torri... molto classica. La sola peculiarità è che è tutta bianca, tanto da nascondersi tra la neve d'inverno.»

Ancora, non mi venne nulla da commentare. Il salice sotto cui abitavo mi sembrava molto più interessante e caratteristico di un castello bianco. Ma non volevo offendere Keta, già pensavo provasse astio nei miei confronti in quanto figlia di Heket. Mi limitai a continuare a guardare le stelle che brillavano, incuranti della nostra conversazione e del mio leggero imbarazzo.

«Candido come la neve, si suol dire, no?»

Abbassai il mento per guardarlo negli occhi. Se voleva farmi intendere qualcosa, non avevo inteso un bel niente.

«Quindi...?» blaterai.
Sogghignò della mia espressione confusa. «Roccaforte Candore. Bianca come la neve. Candido come la neve, capito?» spiegò, senza cenni di saccenteria.
«Oh, questo intendevi» tirai un sospiro di sollievo. Nessun segno di odio.

Senza rendermene conto, iniziai a morsicarmi un labbro. Mi tornò in mente la conversazione di quel pomeriggio...

Blissa fu l'amante di Heket, colei che fu tradita e ripudiata, offesa e delusa... non riuscì mai a tradirlo, fu e rimane una moglie esemplare.

Per questo la venero e rispetto.

Sembrava volesse intendere che noi figli di Heket dovremmo vergognarci in quanto tali. Nostro padre aveva oltraggiato la dea dell'amore, che infame! Ma cosa mai potevo c'entrare io, in tutto quello? Non lo avevo mai incontrato e, fino a poche ore prima, non conoscevo nemmeno la storia.

Forse Keta si accorse del mio disagio, o forse si stancò di restare lì, fatto sta che annunciò: «Ora sono esausto, penso che andrò a riposare. Ti scoccia fare tu il primo turno?»
«Nessun problema.»

Mi alzai e gli tesi una mano. Lui la afferrò con gentilezza ma anche con ardore. Quando fu in piedi, mi fissò per un attimo dall'alto verso il basso. I suoi occhi chiari scintillavano tanto da far concorrenza alle stelle nel cielo. Per un paio di secondi ci fissammo, poi lui accennò un sorriso e mi sussurrò la buonanotte.

Non saprei dire se rimasi delusa dalla sua reazione. Non che mi aspettassi chissà che, tuttavia... qualcosa nello stomaco mi si contorse.

Siccome non mi parve il caso di stare a guardare mentre si sistemava e preparava il suo sacco a pelo, e siccome ero intenzionata a smorzare qualsiasi cosa mi si stesse muovendo nelle interiora, andai a cercare il bardo per avvisarlo che avrei fatto la guardia io per le prime ore. Decisi mentalmente che mi sarei presa anche qualche ora in più, visto che la notte precedente Flick si era fatto carico del mio turno.

Girai attorno all'albero, guardai vicino a dove i cavalli riposavano, ma il figlio di Veive non c'era. Lo notai un po' in lontananza, di spalle rispetto a me, con il capo chino verso il basso. Era seduto per terra, le gambe incrociate. Mi avvicinai pestando i piedi, per evitare di farlo spaventare una volta arrivata al suo fianco.

Nonostante la mia accortezza, non mi sentì se non quando fui proprio alle sue spalle. Sembrava intento a osservare qualcosa, un oggetto allungato e appuntito che si affrettò a infilare nella tasca interna del suo gilè.

«Hora... non ti avevo... sentita...» balbettò impacciato.
Ero curiosa di sapere cosa stesse facendo, ma non volevo apparire invadente.
«Scusa, non volevo disturbarti...»
«Figurati, non mi hai... disturbato» mi interruppe, passandosi una mano dietro al collo, grattandosi.

«Volevo solo dirti che faccio io il primo turno di guardia, vai pure a riposarti» lo informai, cercando di tenere a freno la lingua dal chiedergli cosa avesse in mano.
«Sì... grazie, va bene» continuò, visibilmente in apprensione.

Capii che non avrebbe apprezzato domande in merito a quel bastoncino che stava osservando perché si affrettò ad alzarsi e a darmi le spalle.

Tornai anche io al ciclopico albero dove ci eravamo accampati. Ciclopico rispetto agli alberi di Ibya, minuscolo rispetto alla Roccaforte Salice, intendiamoci. Rimasi vicina ai cavalli, così da avere un po' di compagnia, mentre ogni tanto facevo un giro intorno al tronco per tenere d'occhio tutta la zona.

La mia mente lavorò per ore, sia rimuginando sulla conversazione con Keta sia arrovellandosi su cosa mai stesse facendo il bardo, ma nessuna risposta mi parve sensata. Pensai che stesse semplicemente giocherellando con un bastone preso da terra, ma perché infilarselo in tasca? Perché nasconderlo e fare finta di niente?
Essendo figlia del dio dell'inganno, so riconoscere bene le menzogne: il suo cuore galoppava a mille, ma anche la sua voce altalenante e i suoi occhi che gironzolavano in tutte le direzioni lo avevano tradito.

Nascondeva qualcosa... come quasi tutti noi, del resto.

Mi godetti lo spettacolo dell'alba, anche se non riuscii a vedere bene il sole come la sera precedente per via di un banco di nubi verso est. Il bianco delle nuvole macchiava il cielo tinto di un azzurro caliginoso. Dapprima il buio si fece meno scuro, poi raggi di luce comparvero attraverso i buchi tra le nuvolette disposte in forme bizzarre.

Il tutto era per me accompagnato dal dolce rumore di onde leggere che si infrangevano sulla spiaggia, un movimento continuo e perseverante. Le creste bianche e spumose da lontano ingentilivano il colore blu notte dell'acqua, ma da vicino dovevano avere una forza devastante.

Mi domandai come facesse l'acqua a trovare la forza di erodere la spiaggia all'infinito, portandosi via minuscoli granelli di sabbia per poi depositarne altrettanti.

Per evitare di pormi altre domande esistenziali, decisi di svegliare il bardo per farmi dare il cambio.

N.A.: buonsalve a tutti✨

Inizialmente questo capitolo doveva essere molto corto, ma ne ho approfittato per aggiungere un pizzico di romanticismo e articolare il personaggio di Keta

Che dite, vi sta simpatico? Ha qualche atteggiamento strano?

Siamo quasi alla fine del viaggio, eppure ci sono ancora tante cose da svelare...

Tami🌻

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