Capitolo 23 - in viaggio, di nuovo

Il mattino seguente, terminata la colazione e tutti i preparativi, arrivò il momento dei saluti. Imbrigliai Marzapane e lo accarezzai sul muso. Il giorno precedente lo avevo un po' trascurato, così gli promisi che mi sarei occupata di più di lui. Ero giù di corda, sentire il suo pelo morbido tra le dita mi confortava. Atoldir ce l'avrebbe fatta a resistere fino al loro ritorno a Lloyd? Pin e Flick sarebbero riusciti a non uccidersi a vicenda e a cavare qualcosa di buono?

Passai la mano sul manto chiazzato del mio cavallo, lo percorsi fino all'attaccatura della coda passando sopra alla sella di cuoio tutta rovinata. Piccoli drappi di pelle conciata si staccavano da tanti punti del seggio e degli staffili. Mi fermai rimanendo col palmo appoggiato all'anca di Marzapane, ascoltando quello che i miei compagni si stavano dicendo.

«Tornate subito verso la Strada di Vetro, è più sicuro» si stava raccomandando il bardo.
«Abbiamo capito! Sarà la milionesima volta che lo dici!» si lamentò Flick.
Sorrisi lievemente. Mi sarebbero mancati i loro battibecchi.
«Voi, piuttosto, vedete di tornare interi» si premurò Pin.

Keta allungò una mano e si sporse verso il basso per colmare quei settanta centimetri buoni che lo separavano dal figlio di Seshat. «Ci rivedremo a Lloyd a missione compiuta.»

«Flick, non infastidire nessuno e non rubare nulla! Per Veive, io dovrei tenerti d'occhio e ti lascio da solo col cugino del re!» Il bardo si mise le mani nei lunghi capelli neri, quel mattino sciolti e ondulati.

«Sei un disgraziato! Chissà cosa dirà Foilir quanto tornerò con il suo amato parente in fin di vita! Sicuramente il suo primo pensiero sarà:" Come ha potuto quello sciagurato di un cantastorie lasciare Atoldir nelle grinfie di un ladruncolo incapace?"» scherzò Flick, cantando l'ultima parte in falsetto.

Il figlio di Veive non parve rallegrato, a differenza mia e di Keta che ridacchiammo sotto i baffi.

«Non è divertente! È ovvio che si preoccuperà prima di aiutarlo, però non dovrei...»
«Va bene, va bene!» lo interruppe il figlio di Halos. «Andiamo, non lo sopporto più!»

Mi avvicinai a lui sorridendo e gli scompigliai i capelli. «Ci sorbiremo noi le sue lamentele per un po'.»

Sentii un "ehi" di querela da parte del bardo, seguito dalle braccia di Flick che mi cingevano la vita. Gli poggiai le mani sulle spalle, mentre Keta montava sul suo stallone e Pin gli ricordava: «Vi ho lasciato delle pozioni curative nella sacca appesa alla sella del tuo cavallo. E in quello zaino c'è acqua sufficiente per... tre giorni, due se il deserto vi disidrata troppo.»

Il figlio di Halos fece segno di abbassarmi per poi sussurrare: «Non dirai niente riguardo a... quello che ti ho detto, vero?»

Il suo alito non era granché, così mi allontanai un attimo dopo. «Sia che ti stia riferendo alla storia della principessa, sia che intenda la tua vita privata, non dirò nulla» lo rassicurai.

Il mio piccolo amico mi diede un'ultima stretta, poi mi lasciò tornare da Marzapane.

«Salutatemi Atoldir, quando si sveglierà» raccomandai, rivolgendomi principalmente a Flick.

«Se proprio devo» rispose giocoso, salendo sulla carrozza e litigando con Pin su chi dovesse governare i cavalli.

Così, mentre il carro tornava verso sud e avanzava rivolto verso Lloyd, io, Keta e il bardo ci voltammo in direzione nord-ovest, diretti alla Palude Velenosa.

Marzapane aveva il muso pieno di mosche che gli si infilavano nel naso. Ogni tanto gli passavo un panno intorno agli occhi e alle orecchie per rinfrescarlo, ma non sembrava comunque contento di marciare sotto il sole.

Per ingannare il tempo, domandai al bardo come avesse fatto a stordire gli orchi col suo flauto, così ci narrò delle potenzialità dei suoi strumenti. Il liuto che ci aveva mostrato alla nostra partenza era in stretto contatto con la natura, essa poteva sentire le vibrazioni delle corde e comportarsi di conseguenza.

Possedeva poi un tamburello piccolo quanto una sua mano, che invece aveva una connessione con i pensieri umani. Con i suoi battiti poteva tranquillizzare qualcuno in difficoltà oppure poteva infondere paura o rabbia. Lo estrasse dallo zaino ma decise di non suonarlo, per fortuna.

Infine, il suo flauto traverso poteva controllare certe creature e animali. A seconda della melodia, gli effetti erano i più disparati: dal far addormentare una bestia feroce, al far danzare le creature acquatiche di Liunene, fino allo stendere un branco di Troll.

Ci disse che erano gli strumenti di cui più andava fiero e, ne era certo, gli sarebbero serviti durante l'impresa. Previsione che si era rivelata salvifica, in effetti. Forse, senza il suo intervento, io e Keta avremmo potuto uccidere i Troll, ma probabilmente avremmo dovuto dire addio a qualche arto o alla nostra stessa vita.

Sapevo che i figli di Veive si destreggiavano nella musica unita alla magia, ma non credevo potessero realizzare certi strumenti. A Specchialuce di arti magiche se ne praticano davvero poche, solo qualcosa di curativo. Non che siano considerate male, ma non è usanza modificare ciò che la natura ci offre con formule derivanti dalla magia.

La conversazione si spostò poi su cose più interessanti per me, in quanto Keta ci espose come avveniva la produzione di vetro nel suo convento, in particolare dell'estrazione della sabbia. Ci raccontò anche dei suoi allenamenti e delle sue sessioni di orazione.

«Ma cosa pensi, quando preghi?» curiosai, riferendomi implicitamente al fatto che non fosse in ottimi rapporti con suo padre Aliteo.

«Si può anche non parlare con una divinità in particolare, si chiede la protezione da parte di tutti. A Specchialuce non c'è questa tradizione?»

«No, o almeno non credo. Heket non è proprio un esempio luminoso di buona condotta» riferii pensierosa.

«Potresti rivolgerti a un'altra divinità. Io, per esempio, spesso ho chiesto a Blissa di aiutare e proteggere mia madre» confessò con aria fiera, mentre ingurgitava un goccio d'acqua.

Alzai le sopracciglia per assumere un'aria interrogativa. «Blissa?»

Non avevo mai udito prima quel nome. Dallo sguardo del bardo, mi resi conto di non essere l'unica.

«Davvero non conoscete la dea dell'Amore?» domandò perplesso Keta.

A quel suo commento, mi diedi una risposta da sola. Non avevo mai avuto un ottimo rapporto con l'amore, quindi tanto meglio non conoscere nemmeno la sua rappresentante divina.

«Blissa fu l'amante di Heket, colei che fu tradita e ripudiata, offesa e delusa» narrò Keta con enfasi.

«E questo spiega perché prima ho detto che Heket non è un esempio di buona condotta», ridacchiai. Scossi la testa accarezzando il mantello del mio cavallo, ritrovandomi la mano piena di peli e sudore bianco.

«Da lei è nato tutto il nostro mondo, si racconta» continuò. «Per colmare le sue pene d'amore senza fine, anziché abbandonarsi alla vendetta decise di cercare di salvare il genere umano, convincendo alcune divinità a procreare con uomini e donne per generare noi semidei.»

Fece una pausa, sospirando e passandosi un avambraccio sulla fronte sudata. «Chiese a Veive di far emergere dall'acqua un'isola per poterci ospitare, lontana e invisibile al resto della Terra ormai distrutta.»

«Da qui qualcosa so anch'io» si intromise il bardo. «Veive fu ben lieto di accontentarla, perché segretamente innamorato di lei, come un po' tutti gli altri dei. Sapevo fosse la dea dell'Amore ma non conoscevo il suo nome.»

Keta annuì. «Proprio così. Quasi tutte le divinità maschili – Veive, Aliteo, Maat, Ixion e Thas – furono accondiscendenti con Blissa e fecero come ella richiese.»

Cercai di mantenere alta l'attenzione nonostante il caldo. Procedere sotto il sole nelle ore centrali della giornata era una pessima idea, ma non avevamo altra scelta se volevamo tornare per tempo. Mi sventolai il volto con una mano, cercando di mettere insieme la storia e facendomi sorgere una domanda spontanea: «Perché allora a Heket fu riservata una contea e non a Blissa?»

Il figlio di Aliteo parve aspettarsi quella mia uscita. «Davvero non lo sai? Pensavo che almeno il passato del nostro mondo fosse studiato un po' ovunque.»

Cambiò quindi il tono, diventando neutrale e spiegandomi: «La dea dell'Amore era ancora persa per Heket. Come il dio seppe della sua idea, ne approfittò ingannandola di nuovo promettendole il suo affetto. I due convolarono a nozze e Blissa, troppo buona o forse troppo stupida, lasciò che uno dei nove spicchi del nuovo mondo fosse per il suo amato. Mentre lui la tradì per poter popolare quella che oggi è Specchialuce, lei gli rimase sempre fedele, senza mai avere rapporti con altri uomini o dei.»

«Per essere una dea era decisamente poco intelligente» commentai perplessa. «Come credeva che Heket avrebbe procreato? Facendo nascere i suoi figli sotto i cavoli?»

Keta mi riservò uno sguardo severo. Parve irritato dalla mia scarsa sensibilità e mancanza di tatto nei confronti della sua dea preferita. «Il dio dell'Inganno le prospettò un popolo di figli di entrambi, non so se intendesse di figli loro o una specie di... matrimonio aperto.»

Il disgusto che trapelava dalle sue labbra fu come acido per le mie orecchie. «Fatto sta che Blissa non riuscì mai a tradirlo, era e rimane una moglie esemplare. Per questo la venero e rispetto.»

Il bardo strabuzzò gli occhi. «Sono ancora sposati?»
«In teoria sì. Non penso esista il divorzio divino.»

Mi sentii un po' presa in causa. Nonostante dubitassi di essere diretta discendente di Heket, Keta sembrava essere interiormente furioso con il dio – quindi anche con tutta la sua progenie – per quella storia avvenuta... millenni fa.

Io ritenevo le questioni tra dei molto lontane da me e dalla mia quotidianità, mi era proprio difficile pensare di prendermela con il mio genitore divino per essersi preso gioco di una povera dea innocente. Per di più, non me la sento mai di additare qualcuno come il buono o il cattivo della storia senza aver sentito tutte le versioni.

Probabilmente Keta conosceva la vicenda trasmessagli dai saggi di Gelaurora, chissà come poteva essere raccontata da uno degli anziani di Specchialuce. Non che la seconda fosse certamente più affidabile, ben inteso.

«Ad ogni modo, come sai tutte queste cose?» Il bardo bloccò il mio flusso di pensieri.

«Sono cresciuto in un convento: preghiera, religione e storia le mangiavo a ogni ora del giorno.»

Per fortuna, i due ragazzi iniziarono a chiacchierare tra loro. Io rimasi un po' indietro e torturai una redine con le unghie. Quel discorso mi aveva messa a disagio. Forse Keta odiava tutti gli abitanti di Specchialuce ma riusciva a mascherare il suo astio. O, addirittura, un po' tutte le altre contee temevano di avere rapporti con noi.

In effetti, tra tutte e nove, Specchialuce è una di quelle più chiuse e con meno contatti esterni. I figli di Veive viaggiano per portare la loro musica e arte, i figli di Maat esportano armi e arnesi. Il prodotto peculiare della contea di Gelaurora è il vetro, quello di Euphanor le pozioni magiche. Gli architetti e gli ingegneri di Ordya costruiscono case e castelli ovunque, i figli di Thas permettono gli scambi di merci e informazioni.

Noi siamo per la maggior parte gente umile, che ha vissuto l'intera vita dedicandosi ai campi, agli animali, qualcuno allo studio delle erbe curative o delle stelle. Esportiamo i nostri prodotti alimentari, molto più buoni e pregiati che in qualsiasi altra contea. Mi sono sempre chiesta quale fosse il collegamento tra il dio dell'Inganno e noi: non mi era mai parso che i figli di Heket fossero particolarmente subdoli o crudeli rispetto a tutti gli altri. Perlomeno, da noi si può anche presumere di essere fregati, mentre da chi dice di essere sincero non si sa mai cosa aspettarsi.

Il terreno sotto gli zoccoli dei cavalli si faceva sempre più polveroso. Man mano che ci allontanavamo dalla Strada di Vetro e da Fendiroccia, la temperatura diventava sempre più alta e afosa. Non vedevo l'ora di arrivare a destinazione, un po' per l'impazienza e un po' per assaporare il clima delle zone palustri e costiere. Avrei fatto un pieno di umidità, ma almeno non mi sarei più sentita una mummia sotto al sole cocente.

Dietro di noi, lasciavamo delle nuvolette di sabbia e nessuna impronta. Avevamo messo sulla nuca dei teli per ripararci dagli eccessivi raggi solari, ma faceva comunque caldo tanto da mozzare il fiato. Marzapane si fermò più volte, irrequieto, perché non era abituato ad allegre passeggiate nel deserto. Andavamo spesso a camminare nei boschi per ore, perciò eravamo avvezzi a lunghi e sfiancanti percorsi, ma la calura eccessiva non era nelle nostre abitudini.

Incontrando sporadicamente qualche serpente, con la polvere che offuscava il nostro campo visivo e il sudore che ci impregnava i vestiti, proseguimmo verso ovest come se stessimo inseguendo il sole nella sua fuga verso il tramonto.

N.A.: buongiorno ✨
Scusate la mia assenza ma la sessione estiva mi ha tenuta occupata😓

Questo capitolo di transizione è piuttosto inutile per la trama, però mi è servito per spiegare un po' Le Origini delle contee.

Cosa ne pensate? Keta tramerà qualcosa o sarà solo un po' risentito?

Tami🍀

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