Capitolo 21 - la famiglia di Noienyr
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Circa trent'anni prima
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Chandra
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Il giorno successivo alla nostra burrascosa fuga fu alquanto complicato. Rimasi nel letto di Noienyr servita e riverita da lui stesso, riposandomi. Ma non avevo tutte le sue attenzioni per me: sua madre non si sentiva bene a causa del parto già da qualche giorno. Mancavano ancora due mesi in teoria, tuttavia il nascituro non sembrava essere dello stesso parere.
Un dottore venne ad assisterla più volte e a ogni sua visita io dovevo starmene rinchiusa per non essere vista. Noienyr mi riferì che il parto era imminente, ma le urla di dolore della madre lo avevano anticipato. Per quel giorno, tuttavia, solo falsi allarmi.
Purtroppo il mio ragazzo riuscì ad avere solo pochi momenti tranquilli tra un'incombenza e l'altra. In uno di essi, mi espose in quattro e quattr'otto sia cosa fosse avvenuto il giorno prima, quindi come fosse sfuggito alle guardie, sia le ultime parole di Trevor e l'accenno a una sua cugina.
Per quanto riguarda la prima questione, la liquidò dicendomi che non aveva ucciso le sentinelle, era riuscito a ferire quella contro cui stava duellando a una coscia, cosicché non potesse inseguirlo. Aveva riacciuffato il cavallo della nostra carrozza ed era montato in sella. Come mai nessuno dei nostri inseguitori fosse salito su un Nibbio per tenerci testa rimase un mistero per me.
Passando invece alla storia della cugina di Trevor, la giovane aveva avuto una relazione con un certo parente di Noienyr, legame grazie al quale lui e Trevor si erano conosciuti. Tuttavia, una volta scoperti tra le gallerie della Roccaforte Ventosa, la ragazza e il suo amato furono arrestati e sparirono. Noienyr non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma mi raccontò che la famiglia di Trevor incolpò i suoi lontani parenti dell'avvenimento.
Nonostante ciò, i due ragazzi rimasero amici senza serbare alcun rancore apparente. Considerata l'insinuazione di Trevor, forse lui o i suoi zii avevano ancora il dente avvelenato. La storia mi spaventò ancora di più, temetti che le guardie di Espaea potessero trovarci anche a Ordya, o che qualcuno spifferasse la mia presenza lì.
Noienyr mi tranquillizzò dicendo che sua madre e sua sorella Lucy sapevano di me e che con loro non avrei dovuto nascondermi. Non ero convintissima ma, visto lo stato di Lucy, avrei giurato che erano brave a mantenere segreti. La bambina, sugli otto anni, era impressionante da vedere con i miei stessi occhi. Assomigliava un po' a Noienyr: stesso viso rotondo, stesso naso all'insù e tatuaggi sul collo simili a spesse vene nere che circondavano la mandibola.
I suoi arti tradivano però una discendenza diversa da quella di Ixion. Macchie rosse e bollenti popolavano le sue braccia possenti, le dita lasciavano odore di bruciato su qualunque cosa sfiorassero ed era sconsigliato toccarle le gambe ustionanti. Talvolta, alcune chiazze sembravano fumare senza il suo controllo. Mi domandai come facesse quella casa a essere ancora in piedi ma, in effetti, non era fatta di legno come le baracche di Euphanor, bensì di materiali più resistenti e all'avanguardia che nemmeno conoscevo. Le abitazioni di Ordya dovevano sostenere un clima molto meno favorevole.
Mi stupii soprattutto dei servizi igienici: quelle che Noienyr definì "piastrelle" rivestivano tutte le pareti e il pavimento, e del loro stesso materiale ceramico erano composti bagno e lavandino. Inoltre, a Euphanor l'acqua era un bene prezioso da non sprecare, mentre qui ve ne era in abbondanza tanto da potercisi permettere un getto fluente per lavarsi totalmente.
Mi resi conto che tutte quelle comodità le avevo usate anche nei giorni precedenti a Espaea, ma non ci avevo fatto tanto caso poiché per me era una realtà molto lontana dal quotidiano. Ordya invece era come una seconda casa, mi recavo spesso alla biblioteca e al mercato, eppure non avevo mai notato certi lussi.
Ad ogni modo, il giorno del lieto evento non tardò ad arrivare, anzi si fece attendere solo altre dodici ore circa. Il dottore corse con tempestività e la madre partorì senza intoppi, nonostante i giorni difficili che aveva passato. Sentii il persistente vagito del piccolo dall'altra stanza e non seppi cosa pensare. Era una cosa tenera ma allo stesso tempo fastidiosa. Non mi piacevano molto i bambini, ma essendo il fratello di Noienyr ebbi un leggero moto di compassione nei suoi confronti.
Oh, giusto. Mi ero dimenticata di specificare che il bambino era un maschietto.
Neanche il continuo pianto del piccolo riuscì però a distrarmi dai miei pensieri. Continuavo a immaginarmi possibili scenari futuri di me e Noienyr costretti a vivere nelle prigioni di Espaea, i nostri genitori rovinati e isolati, le vite di tutti quelli che conoscevamo in pericolo. Probabilmente anche il neonato avrebbe passato anni difficili a causa della nostra indisciplina.
Verso sera, poche ore dopo il parto, io e il mio ragazzo ci sedemmo nel cortile di casa sua finalmente soli. Lucy era in casa, impegnata a prendersi cura del nuovo arrivato e della madre. Per fortuna, il piccolo aveva tutte le caratteristiche di un figlio di Ixion, e ne eravamo tutti sollevati. Noienyr mi confidò che il padre del bambino sarebbe venuto l'indomani a conoscerlo e che presto si sarebbe trasferito per abitare con loro, perché amava la sua compagna e suo figlio. Iniziammo così a parlare un po' della sua vita e del suo passato.
«Sono contento che mia madre abbia trovato un nuovo compagno. Era ora, dopo tutto quello che è successo con mio padre e Lucy.»
Le luci del giorno erano ormai allo stremo, perciò i miei capelli fiammeggianti emettevano un leggero e freddo baluginio. Indossavo un pesante maglione di Noienyr che, essendo di diverse taglie più grande, lasciava entrare spifferi tiepidi attraverso le maniche.
«Tu lo conosci? È un brav'uomo?» domandai con indiscrezione, cingendomi le braccia attorno al corpo per trattenere il calore. Non gli sfuggì il mio gesto, così mi prese vicino a sé mentre rispondeva: «L'ho incontrato varie volte, ma non saprei darti un giudizio su di lui. Mi è parso... riservato. L'importante è che mia madre si trovi bene.»
Il giardino della casa era ristretto, delimitato da una bassa recinzione di legno. Un sentiero di piatte pietre distanziate tra loro conduceva dal cancelletto alla porta di casa permettendo l'attraversamento senza calpestare l'erba fresca. Due piccoli e bassi aceri coprivano la visuale, perciò nessuno da fuori poteva notarci.
«Pensi di rimanere con loro?» mandai avanti la conversazione, afferrando da terra una rossa foglia d'acero. Non ne avevo mai viste prima, così la osservai da tutte le angolazioni. Le sue punte seghettate e la sua forma a stella mi incantarono.
«Che altro dovrei fare? Andare da mio padre?» disse con evidente disprezzo nel tono della voce.
Noienyr era costretto a vedere suo padre ogni qual volta si recava in accademia. Non lo odiava, ma risvegliava in lui ricordi tristi: la nascita di Lucy, il giorno in cui aveva abbandonato la sua famiglia, l'obbligo di diventare un soldato. Quando gli aveva comunicato che sua madre si stava ricostruendo una vita con un altro uomo, l'aveva insultata con sgradevoli epiteti.
«È una donna forte» commentai, riferendomi a sua madre.
«Parole sante.»
Fu in quell'occasione che mi raccontò bene cosa fosse accaduto. I suoi genitori si amavano quando lui era piccolo, ma suo padre era quasi sempre in accademia, a insegnare ai nuovi cadetti. Viveva per combattere, tanto da dimenticarsi di aver voluto costruire una famiglia. Quando Noienyr compì dieci anni, lo obbligò ad abbandonare gli studi e intraprendere la sua stessa carriera. La madre non era d'accordo, ma anche consapevole che opporsi non sarebbe servito.
All'inizio, Noienyr si era impegnato per rendere il padre fiero; si allenava con costanza, diventava ogni giorno più agile e prestante; ma il suo spirito pacifista e il suo desiderio di una vita tranquilla non lo abbandonarono. Dopo quattro anni, era nata Lucy. Fu un duro colpo per tutti e tre.
Draugluin, il padre di Noienyr, sosteneva che la moglie lo avesse tradito. Quella figlia non era sua, ne era certo. Un grande generale della contea di Ordya non poteva aver generato un tale obbrobrio: una bimba dalla pelle sfigurata da segni diversi, incapace di controllare il suo stesso corpo, un simbolo dell'infedeltà della moglie.
Dal canto suo, la madre di Noienyr affermava di non aver commesso adulterio, che la bambina era comunque un dono di Ixion e andava trattata come un tesoro. Spiegò quei segni come una malformazione, una malattia, o come causati da un gene trasmesso da qualche antenato remoto. Voleva tenere la piccola, era per lei un essere indifeso e da amare.
Noienyr non sapeva che pensare. Aveva solo quattordici anni, non poteva decidere cosa fare con la sua nuova sorellina. Credeva che la madre non sarebbe mai stata capace di tradire Draugluin perché in fondo lo amava, nonostante si vedessero poco. Era convinto che il padre la avrebbe accettata alla fine, che sarebbero rimasti una famiglia unita. Ma si sbagliava per entrambe le cose.
Dopo feroci litigi, l'uomo si era trasferito in accademia e da allora aveva dedicato tutto il suo tempo all'allenamento e alla battaglia, come se avesse dovuto prepararsi a una guerra. Forse, stava solo cercando di dare pace al suo conflitto interiore.
Mabel, la madre di Noienyr, pianse l'allontanamento del marito, consolata dal mio ragazzo e dalla dolce nuova arrivata. Furono anni difficili: nonostante Draugluin mandasse i viveri alla famiglia – in cambio Noienyr era costretto a ore di addestramento con il padre –, Mabel doveva occuparsi di una bambina non facile da gestire da sola. Il tutto senza poter dire niente a nessuno, un po' per non rovinare la carriera di Draugluin, un po' per evitare che la allontanassero da lei o peggio.
Ripensando a tutto ciò, Noienyr pianse e si sfogò, probabilmente per la prima volta senza filtri.
«Mio padre decise di mandare settimanalmente soldi a mia madre per evitare che lei parlasse. A lui importava solo del suo stupido successo in accademia» mi confessò, tirando su con il naso.
«Non dire così, magari teneva ancora a Mabel e a te» lo rinfrancai, cercando tra le tasche un fazzoletto che non avevo.
«Impossibile! Se gli fosse importato, non se ne sarebbe andato! Ha sempre messo al primo posto il lavoro piuttosto che la sua famiglia» sibilò, aumentando il pianto e il tono di voce.
«Mi spiace, non ho un fazzoletto, se vuoi vado dentro a prenderne uno.»
«No, lascia stare. Voglio che stai qui» sussurrò stringendomi più forte.
Ricambiai il suo abbraccio e condivisi la sua tristezza. Anche io percepivo il cuore in gola e gli occhi lucidi. Essendo molto legata a lui, non mi sentivo estranea alla storia. Mi parve quasi di averla vissuta in prima persona.
«Vedrai che ora le cose andranno meglio. Tua madre e il nuovo compagno resteranno uniti e saranno felici con loro figlio» cercai di rassicurarlo, passandogli una mano dietro la schiena e massaggiandogliela. Per farlo ridere, gli passai la foglia d'acero che avevo ancora in mano davanti al viso.
«Dai! Smettila!» rise, spostandomi delicatamente la mano e cercando di mettere la foglia in faccia a me.
«A proposito!» cercai di cambiare argomento, anche per distrarlo dal suo tentativo di infilarmi la foglia nel naso. «Hanno già deciso il nome del bambino?»
«Mamma ha detto che vuole dargli un nome simile al mio perché ha portato bene» mi rispose con dello scetticismo nel tono, allontanandosi per potermi guardare negli occhi.
«Perché no? Un po' ti assomiglia.» Gli diedi una gomitata scherzosa. «Dai, spara questo nome!»
«Si chiamerà Noignar.»
I problemi per noi tornarono il giorno seguente. Sarei dovuta rincasare a Euphanor, tuttavia Lucy, di ritorno dal mercato alla Roccaforte Tagliente, ci avvisò di aver visto delle guardie fermare delle persone e mostrare dei fogli raffiguranti dei volti. Non era riuscita a scorgerli nitidamente, ma su di uno vi era una figlia di Seshat, ne era certa.
«Non ho ucciso le guardie che ci hanno fermato, non me lo sarei mai perdonato» piagnucolò Noienyr. «Avranno fornito le nostre descrizioni e ora ci stanno cercando. Entrambi.»
Comprendevo la sua difficoltà, ma il suo buonismo complicava la situazione. «Sarei dovuta tornare prima, in modo da non dare il tempo ai sorveglianti di fare ritorno e organizzare la ricerca» mi lamentai.
Non potevamo essere visti, nessuno dei due. Ma come avrei fatto a uscire da Ordya indisturbata? La Strada di Vetro era pattugliata al confine, passare tra le montagne e poi dover attraversare il deserto era un viaggio lungo e rischioso...
«Come faremo? Saremo ricercati in eterno! Cosa dirò ai miei genitori?» mi disperai durante il pranzo insieme alla famiglia di Noienyr.
«Puoi restare qui quanto vuoi, cara» mi rincuorò Mabel, ancora visibilmente stanca ma con una forza d'animo indescrivibile.
«Ti ringrazio dell'ospitalità» eravamo arrivate a darci del tu. «Tuttavia dovrei almeno avvisare i miei... ma come? Non posso mandare un messaggio e non posso nemmeno uscire di casa...»
Fu difficile non scoppiare in un copioso pianto. Una mano invisibile mi stringeva il collo e mi graffiava la gola. Non avrei dovuto allontanarmi da Euphanor, ora sia io, sia la mia famiglia, sia quella di Noienyr eravamo in pericolo. Come aveva fatto la piccola Lucy a sopravvivere così, nascosta dal mondo e dovendosi coprire tutto il corpo pur di non essere scoperta? Cosa aveva fatto di male per meritarsi una vita di solitudine?
Poco dopo, mentre stavo inforcando con scarso interesse una foglia di insalata, bussarono alla porta. Tutti spalancammo gli occhi e ci bloccammo.
«Chi è?» ululò la madre di Noienyr cercando di mantenere salda la voce.
Con tono aggressivo, la risposta proveniente dall'esterno fu: «Sono Draugluin. Ho bisogno di parlare con mio figlio.»
Mabel fece un gesto con la testa verso sinistra a Lucy, la quale si alzò cercando di fare meno rumore possibile e mi fece cenno di seguirla. Insieme ci spostammo in camera da letto, mentre Noienyr andava ad aprire e Mabel faceva sparire i nostri piatti da tavola.
Lucy mi aiutò a nascondermi con lei dentro una cassapanca; per fortuna, indossava gli abiti con cui era andata al mercato, perciò era totalmente coperta. Emanava comunque un calore innaturale e stare con lei in uno spazio angusto era asfissiante. I miei capelli fumosi erano l'opposto: freddi e magici, sfiorarli dava una sensazione di brivido. Noienyr mi diceva sempre che adorava passarci le dita attraverso, sembrava di poter toccare il fuoco senza scottarsi.
Stavamo strette strette nonostante lei fosse una bambina di otto anni e io una figlia di Seshat alta non tanto più di un metro. Non sentivamo nulla di ciò che stava accadendo nell'altra stanza, ma non fiatammo e rimanemmo immobili per tutti i minuti che passarono. Lucy non sembrava a suo agio ma nemmeno spaventata all'idea di essere rinchiusa lì, come se ci fosse abituata. In effetti, sul legno del mobile sentii con le dita dei segni, come degli intarsi.
Quando poi Mabel venne ad aprirci, mi accorsi che erano stati lasciati da mani ustionanti, probabilmente in un momento in cui la piccola Lucy era fuori controllo. Mi domandai per un attimo se la rinchiudessero spesso in quella cassapanca, ma appena mi accorsi che la donna stava piangendo a dirotto le mie preoccupazioni si spostarono altrove.
Draugluin aveva visto gli avvisi sparsi per la Roccaforte Tagliente e aveva interrogato Noienyr in merito, visto che anche lui era raffigurato su di essi. In quel momento, Mabel non riuscì a dirci altro, ma di sicuro altre cattive notizie erano in arrivo.
N.A.: ciao a tutti, carissimi! Allora, il nome Noignar vi dice qualcosa? Le due storie iniziano ad avere qualche collegamento...
Ad ogni modo, perdonate il capitolo un po' lunghetto! Spero non vi abbia annoiato, essendo un po' più tranquillo (più o meno). A me piace molto, a parte il titolo che non mi convince hahah troppo banale🤔
Che dite, che sarà successo a Noienyr? Sono curiosa di sapere le vostre previsioni più terribili XD
Tami🍀
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