Epilogo
Anno 4254, Regno di Stara
Nice si scrollò dalla spalla la grossa bisaccia e la adagiò a terra. Si stiracchiò le membra, soprattutto le spalle, intorpidite dalla lunga marcia e costrette a sorreggere il pesante bagaglio. Infine, si soffermò a osservare l'infinita distesa azzurra davanti a lui.
La sua nave era ancorata a uno dei moli del porto di Stara, tra i più trafficati e grandi del regno, in attesa di caricare le ultime provviste prima di salpare per la Slesia.
le onde s'infrangevano contro la costa creando gradevoli fruscii e una leggera brezza gli portava alle narici l'odore di salmastro e gli faceva solleticare i capelli rossi contro la fronte. Rimase in contemplazione senza curarsi del tempo che scorreva inesorabile, accorciando sempre di più il fatidico momento della partenza.
«E così hai cambiato idea.»
Nice conosceva fin troppo bene quella voce, s'innervosì. Non amava essere disturbato in uno dei suoi momenti di quiete assoluta. Si voltò un poco verso chi gli aveva rivolto la parola e ritornò a fissare il mare. «Non sono fatti tuoi.»
Aveva deciso di imbarcarsi sulla prima nave diretta a Slesia perché ora che la guerra era finita, la sua vita era diventata più vuota del guscio di una nocciolina. Il continente delle stagioni al contrario avrebbe di certo offerto più divertimento. Forse sarebbe diventato un mercenario al servizio della prestigiosa casata imperiale degli Eastwood. L'idea lo aveva allettato fin da subito.
«E invece è curioso.» Kjetil lo raggiunse e si accostò al suo fianco.
Prima che Nice potesse replicare sul fatto che non dovesse immischiarsi nella sua vita udì da lontano la voce di una ragazza.
«Kjetil! Che stai combinando? Guarda qui chi ho trovato!»
Nice si voltò di nuovo e questa volta si sorprese di vedere niente meno di Onara intenta a sbracciare nella loro direzione.
«La padrona chiama.» Kjetil fece spallucce «ma non credere di averla scampata.» Gli fece occhiolino e tornò suoi suoi passi.
Nice socchiuse la bocca, incredulo. Come aveva fatto quell'idiota di Kjetil a pescare il pesce più succulento dall'accademia?
***
Kjetil raggiunse Onara. L'abito giallo a fantasie floreali che le aveva fatto cucire su misura le stava un incanto. Provò l'impulso di cingerle le spalle con una mano e posare le labbra alle sue, ma dovette contenersi. Aveva imparato nel tempo a conoscere quella meravigliosa creatura, tanto bella quanto fugace e pretenziosa. Onara si concedeva solo nei luoghi e nei momenti a lei congeniali e Kjetil aveva deciso di stare al suo gioco. Lo divertiva il fatto di non ottenere sempre quello che voleva. Aveva reso il loro rapporto più vivace e interessante. Le sorrise e lei ricambiò.
La bellezza esotica indicò col dito un uomo alto almeno tre spanne più di lui, dai lunghi capelli color carota e con addosso una modesta tunica e delle braghe nere.
«Fredrian Badessa.» Disse Kjetil. «Sono senza parole. Mai avrei pensato che ci saremmo ritrovati tutti qui, o meglio, chi di noi è rimasto.» Volse lo sguardo verso Nice che ricambiò ostile.
Fredrian non rispose e tenne basso lo sguardo.
«Che c'è, ti sei fatto tagliare la lingua durante la tua permanenza a Forte Celeste?»
«Io... Non dovrei nemmeno essere qui.» Disse infine con voce flebile.
«E perché?»
«Io non sono degno.»
«Piantala, carota.» Onara mise le mani sui fianchi. «La guerra è finita, viviamo in pace.»
«Onara ha ragione.» Intervenne Kjetil. «E se salpi anche tu per Slesia avrai l'occasione di rifarti una nuova vita.»
Fredrian tacque.
«Nessuno ti giudica, Fredrian.» Proseguì Kjetil. «Io non sono stato poi tanto migliore di te, ma ormai è acqua passata. Vivi il tempo che ti rimane libero dai rimpianti. Siamo qui perché la Dea ci sta dando una seconda opportunità per ricominciare. Non sprechiamola.» Gli porse la mano. «Sei dei nostri?»
Dopo un attimo di titubanza Fredrian la afferrò e annuì.
«Andiamo a importunare Nice.» Onara richiamò tutti all'attenzione. Ridacchiò.
«Ehi, guarda che ti ho sentita. Non ti azzardare nemmeno!» Protesto Nice.
Kjetil rimase indietro a osservare quello scorcio di normalità che da troppo tempo era mancata. Nessuno gli avrebbe ridato indietro la sua giovinezza, la guerra se li era portati via, ma finalmente era libero dagli obblighi imperiali e da quella pesante armatura. Avrebbe fatto tutto il possibile per recuperare il tempo perduto, al fianco della sua Onara, e avrebbe combattuto fino allo stremo affinché questi spensierati ricordi non fossero gli ultimi.
«Muoviti, Kjetil!» Protestò Onara.
Sorrise. «Arrivo, arrivo.»
***
Regno di Aleksin
Lance fissò assorto la tomba del padre. La neve soffice, caduta soltanto poche ore prima, ricopriva di bianco la sommità della spessa e sobria lapide di pietra, destinata a durare nei secoli.
Un fiocco di neve cadde davanti a lui finendo a terra, poi un altro. Sollevò la mano coperta da un spesso guanto nero. Altri fiocchi si adagiarono su di essa. Levò allora lo sguardo verso le scure nubi che transitavano veloci nel cielo. Ad Aleksin l'inverno era arrivato presto.
Aveva sperato di avere ancora qualche settimana prima che i valichi di montagna fossero resi di nuovo inaccessibili dalla neve, ma il freddo e sconosciuto nord non attente. Ciononostante, era deciso a partire. Chissà che cosa avrebbe trovato al di là delle montagne. Le antiche leggende che si tramandavano i suoi avi parlavano di terre baciate dal sole, lussureggianti praterie, incontaminate e verdi e foreste fatte di alberi giganteschi. Un luogo idilliaco protetto da alte catene montuose, quelle che Lance avrebbe prima dovuto attraversare. Chiunque riusciva a giungervi, non avrebbe più fatto ritorno. Erano solo diceria, ma Lance desiderava andare alla scoperta di nuovi terre.
Quella pressione che gli opprimeva il petto non era ancora passata, gli dava tormento e non sapeva come disfarsene. Lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, lo sapeva, ma forse, spingendo al limite il suo fisico, avrebbe attenuato quella sofferenza. Avrebbe pensato alla sua sopravvivenza ed esausto, dopo una lunga giornata di marcia, avrebbe dormito notti senza sogni. Non voleva più pensare a chi era stato. Voleva provare a guardare al futuro.
Le porte verso il nord si aprivano seguendo un piccolo sentiero che iniziava da quel cimitero. Quello di oggi sarebbe stato l'ultimo saluto che avrebbe dato al padre. La dinastia degli Ayne sarebbe proseguita con il suo giovane fratello. Di lui, quindi, non c'era mai stato bisogno.
Non si era premurato di chiedere scusa a sua madre e suo fratello che a quest'ora lo stavano dando sicuramente per morto. Non li aveva più rivisti ed era meglio così. Sospirò, diede un'ultimo sguardo alla lapide, raccolse da terra la sua bisaccia e voltò le spalle al passato.
***
Regno di Arcadia
Julius camminava un lungo un viale circondato ambo i lati da una fila di cipressi. In mano ruotava distrattamente lo stelo di un crisantemo bianco.
A pochi passi da lui, un uomo di bassa statura e dai lunghi capelli neri; Mitia lo stava attendendo, insieme a un gruppo di uomini del re di Dalen. Anche lui teneva un fiore in mano; un garofano rosso.
Finita la guerra, Ergrauda aveva reclamato il suo uomo migliore, e Mitia aveva ubbidito. Il suo compito al suo fianco era terminato ed era giunto il momento anche per lui di tornare a casa.
Gli fece un cenno di saluto con lo sguardo e si incamminò al suo fianco. Non una parola, la quiete era solo interrotta dal debole rumore prodotto dai passi a contatto con la strada sterrata e il fruscio delle foglie degli alberi mossi dal vento. Alcune di esse avevano già cominciato a tingersi di caldi colori autunnali e a cadere.
La via li condusse a un giardino in mezzo ad alti pini, dove, a intervalli regolari, erano presenti delle tombe monumentali. Julius e Mitia proseguirono nell'erba fino a raggiungere l'ala più a ovest. Julius si fermò, lì dov'era stato sepolto suo padre. Il suo corpo non era fisicamente lì sotto. Si trovava ancora a Benicassia, ma volle comunque onorarne lo spirito, in attesa di riportare la salma finalmente a casa. Accanto a quel monumento, la tomba della sua defunta madre: Lucrezia Ileas. Si soffermò a osservarle.
Mitia rimase qualche passo dietro alle sue spalle.
«Se mio padre fosse ancora in vita saprebbe che l'impero non esiste più. Il suo sacrificio è stato finalmente ripagato.» Esordì Julius. «Padre, non siete morto invano.»
Porse un saluto anche alla madre. «Madre, mi dicesti di avere cura di mio fratello. Perdonami se non stato all'altezza del compito che mi affidasti. Sono stato debole e ho fallito.» Si inginocchiò al cospetto della lapide della madre e chiuse gli occhi.
Pregò combattendo un'ardua battaglia contro le lacrime. Si rialzò e si voltò verso Mitia. Senza proferire parola, si diresse dalla parte opposta del giardino. Giunse ai piedi di un blocco di marmo su cui erano state scolpite delle foglie d'acanto. Il blocco, dalla forma rettangolare, riportava sul lato più lungo un nome, due date e una breve dicitura
Arteus Gunther
N. 10-06-4225 M. 27-10-4253
Omaggiate colui che donò la vita per rendere realtà il regno di Arcadia.
Julius posò il fiore ai piedi della tomba del fratello, seguito da Mitia. Rimasero entrambi in silenzio, infine Julius si pronunciò. «Mi recherò alle rovine di Forte del Lupo insieme a una squadra di volontari per dare una degna sepoltura a tutti quei corpi e di recuperare quello di Sinisa Olara. Verrà tumulata qui, accanto ad Art. Suo padre ha acconsentito.»
«Sono sicuro che ad Art farà piacere.»
Julius annuì.
Con la morte di Elyse Regan, gli ultimi generali si apprestarono alla resa. Della famiglia Regan non era rimasto che uno zio che si affrettò ad accaparrarsi il controllo di una zona centrale dell'impero.
Nuove famiglie e popoli con una precisa identità si fecero avanti reclamando la propria parte di territorio.
Tramontato l'impero, giunse l'alba degli otto regni.
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