Capitolo 30: Il destino dell'imperatrice

Lance spronò il cavallo all'inseguimento di Elyse. Il mostro era diventato una macchia nera indistinta all'orizzonte fino a scomparire fra l'albeggiare mattutino e le nubi.

Troppo veloce. Sperò di arrivare in tempo, ma a quest'ora sarebbe già stata in vista della capitale imperiale. Un dolore al petto, come se una morsa glielo stesse stritolando, non gli dava tregua; se la furia dell'imperatrice si fosse abbattuta su Benicassia, sarebbe stava anche colpa sua, per aver esitato quando avrebbe dovuto fermarla con ogni mezzo.

Cavalcò accompagnato da un ansia crescente fino a quando non scorse le mura della capitale. Alcune fumarole si innalzavano nel cielo, inorridì. Era Elyse la causa? Giunto all'ingresso della città, un grosso incendio lo obbligò ad arrestare la corsa: afferrò la redine e la tirò imponendo al cavallo di fermarsi. Lo sforzo per la lunga cavalcata gli causò il fiato corto, le mani e le gambe tremavano per essere state a lungo in tensione. Cercò con lo sguardo una via da percorrere, quando percepì un ruggito. Non era lontana. Aggirò gli edifici in fiamme trovandosi davanti la città completamente distrutta. Atterrito, osservò quello scenario di devastazione.

No... Non poteva essere stata Elyse in così poco tempo. Rifiutava di crederlo.

Un boato sordo lo ridestò e puntò d'istinto lo sguardo verso un edificio che stava crollando, le fiamme divamparono e da esse emerse la bestia che si era impossessata della volontà di Elyse.

Lance impugnò l'alabarda, allentò le redini e spinse il cavallo di nuovo al galoppo. «Elyse!» Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. «Fermati!»

La bestia dispiegò le ali e spiccò di nuovo il volo per poi abbattersi contro un gruppo uomini e donne. Lance osservò la scena impotente; il mostro sfoderò gli artigli e trafisse due uomini con un colpo solo. Infine, con una sola spazzata di spada, trucidò il resto dei presenti.

Lance arrivò appresso al demone e cercò di attirare la sua attenzione. «Sono io il tuo avversario!» No, lei non era più la Elyse che conosceva, l'amore della sua vita, la sua imperatrice. Soltanto un mostro poteva uccidere i suoi stessi sudditi. Saltò giù da cavallo e impugnò l'alabarda con entrambe le mani e le si parò davanti.

Il demonio parve notarlo. Sbuffò. Incuteva timore, ma se non lo avesse fatto lui, nessun altro lo avrebbe fatto. Art era solo riuscito a scalfire la sua corazza, mentre lui era riuscito a ferirlo. Ghignò. Era sempre stato lui il più forte.

Scattò in avanti e menò una spazzata dal basso verso l'alto. Colpì il mostro e gli ferì entrambe le gambe. Puntò un piede in avanti e fece per arrestare lo slancio, ma l'avversario gli assestò un pugno che Lance non riuscì a evitare; si vide il suolo sottosopra e il contatto con il terreno fu violento. Qualcosa di caldo gli solleticò la tempia. Si rimise seduto, ancora frastornato per il colpo appena subito. Fortunatamente, la presa sull'alabarda era rimasta ben salda.

Puntò l'asta e si rialzò. Sollevò l'arma con entrambe le mani e si preparò a parare un fendente nemico, Infine, contrattaccò provocando un taglio dall'alto verso il basso, dalla spalla all'addome del mostro, premurandosi di procurargli una ferita profonda.

La bestia si dimenò e per poco Lance non venne di nuovo colpito. Indietreggiò uscendo dalla sua linea di tiro. Un ruggito soffocato uscì dalle sue fauci, aprì le ali e spiccò di nuovo il volo.

«No, non mi scappi!» Lance impugnò l'alabarda come un giavellotto e lo lanciò trafiggendo un ala del demone. Non fu sufficiente, però, a fermarlo. Nonostante l'ala ferita si alzò in quota.

Lance si mise a correre con lo sguardo rivolto al cielo. Notò però, i primi segni di cedimento. All'improvviso, il demone perse il controllo finendo contro la cupola della cattedrale della Dea.

Lance si precipitò sul luogo e aprì gli stipiti della grande porta di legno. L'interno della cattedrale, dalle ampie arcate e dagli spessi pilastri, era in totale penombra eccetto che per un raggio di un sole ormai al tramonto che illuminava il centro dell'abside. A terra, il corpo demoniaco di Elyse.

Lance le andò in contro e si fermò a pochi passi da lei. Poco dopo, la sua forma demoniaca cominciò a dissolversi e si intravide un corpo dalle fattezze femminili. Il guscio mostruoso che teneva imprigionata la forma umana di Elyse scomparve del tutto rivelando un corpo nudo e ferito. Tra le mani, ancora la sua spada.

L'imperatrice di Valesia era in ginocchio ai suoi piedi. La testa un poco inclinata, gli occhi chiusi. I lunghi capelli argentei erano sciolti e quasi toccavano a terra.

L'imperatrice li aprì e fissò Lance con sguardo vacuo. Il giovane ne rimase colpito. Elyse era davvero bellissima e... Letale. Anche il quel frangente non poteva fare a meno di pensare quanto, in fondo, lui la amasse. Ma come poteva perdonarla, dopo tutto ciò che aveva fatto?

«Tutti mi hanno voltato le spalle, tranne te» sussurrò. «Tu mi sei stato fedele fino alla fine come un cane al suo padrone e io ho provato a ucciderti. Non è così, Levance Ayne?»

«Ho sempre fatto ciò che ritenevo più giusto, ma il destino, questa volta, ti ha riservato la sconfitta. Hai ottenuto un dono incredibile, una forza sovrumana ma che purtroppo non è bastata per tenere unito l'impero. Arrendiamoci, Elyse e poniamo fine alla guerra».

L'imperatrice lo fissò in silenzio, qualcosa nel suo sguardo però non tornava. D'impeto, alzò la spada con entrambe le mani e fece per colpire Lance in affondo. Tuttavia, la stoccata non andò a segno perché l'alabarda di Lance le trapassò l'addome per prima. Elyse Regan non disse nulla, un rivolo di sangue colò dal labbro inferiore. Lance ritirò l'arma ed ella si accasciò a terra.

«Hai preferito la morte che vivere all'ombra della magnificenza. Che la Dea possa accogliere la tua anima ad Acquachiara, mia amata.»

Voltò le spalle al corpo di Elyse e si incamminò verso l'esterno della cattedrale. Il destino aveva voluto che fosse lui tra tutti a sopravvivere.

Non avrebbe mai compiuto quel gesto se non fosse stato per merito di Art. Egli lo aveva avvisato. Con le sue ultime parole gli aveva fatto aprire gli occhi sul destino del continente.

Quella sensazione al petto che non riuscì in un primo momento a definire al capezzale di Art, altro non era che il dispiacere per avergli riservato quella fine. Sperò, che così facendo, potesse almeno in parte aver fatto ammenda dei i suoi errori.

Aveva ucciso l'unica persona che gli fosse stata sinceramente amica.

Infine, aveva ucciso la sua imperatrice.

La guerra, era finita.

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