Capitolo 27: Fuga a est
Negli ultimi due anni, Art aveva più volte battuto sentieri montani e semisconosciuti che attraversavano le regioni di Aleksin e Lavenia. Conosceva la via del ritorno anche se ciò avrebbe comportato passare nelle vicinanze delle rovine di Forte del Lupo.
Circa trecento uomini avevano scelto di seguirlo a est e probabilmente ne sarebbero giunti altrettanti dopo il ricongiungimento con i propri familiari. Iena e Nice avevano scelto si seguirlo, mentre Toro si stava occupando di guidare la marmaglia a nord, in direzione della Valle. Alla fine, più della metà aveva scelto di restare in quelle terre. Come biasimarli. Il viaggio sarebbe durato mesi e non sarebbe stato privo di pericoli.
Il bosco di abeti lasciò posto alla prateria, dove in lontananza scorse le rovine di una torre. Percepì il battito del suo cuore accelerare e una sensazione di oppressione al petto. Avrebbe potuto voltare le spalle a quel luogo, ma decise che un omaggio ai caduti era doveroso farlo. Cercò con lo sguardo Iena e lo raggiunse. «Attraversate la radura e proseguite a sud-est, io vi raggiungerò.»
Iena alzò un braccio richiamando all'attenzione i banditi. «Fuori dal bosco saremo esposti, attraversiamo la radura velocemente.»
Ascoltò Iena dare le ultime indicazioni e infine si separò dal gruppo proseguendo verso nord. Tuttavia, una presenza alle sue spalle si ostinava a seguirlo «Anche se ti dicessi di non farlo, tu faresti comunque ciò che vuoi.» Gli disse Art.
«Vedo che hai capito come funziona.» Sorrise beffardo Nice. «Dove si va?»
«Taci e seguimi.» lo ammonì Art che proseguì per la prateria, prendendo come unico punto di riferimento le rovine di forte del Lupo. Un notevole dislivello lo attendeva. Passo dopo passo si fece strada tra l'erba alta sferzata dal vento. Qualche goccia di pioggia gli picchiettò il viso. Scrutò il cielo; le nuvole erano scure e cariche di pioggia. Qualche raggio di un sole all'orizzonte riusciva ancora a oltrepassarle.
Quando la salita terminò, riuscì a vedere il sentiero di terra battuta che conduceva ai resti del forte. Lo percorse in silenzio fino a scorgere quello che rimaneva dei primi cadaveri. Animali e agenti atmosferici avevano fatto la loro parte e sotto le vesti sbrindellate e le armature arrugginite dei caduti erano rimaste solo le ossa. Solo lo schiocco di uno stendardo imperiale strappato mosso dal vento interrompeva, a intervalli irregolari, la quiete del luogo. I lamenti dei soldati erano solo un lontano ricordo.
Art arrivò nei pressi dei resti delle mura. Salì sopra alcuni massi e rimase in silenzio a osservare il macabro spettacolo.
«Un cimitero a cielo aperto.» Commentò Nice al suo fianco. «La battaglia di Forte del Lupo è stata a lungo decantata dall'impero come la vittoria che ha definitivamente arrestato la corsa dei ribelli.»
«È così. Quel giorno sarei dovuto morire insieme a tutti loro.» Strinse i pugni, avvilito. «Perché sono io la causa di tutto questo.»
Nice salì sopra un cumulo di macerie, mollò a terra la sua bisaccia e incrociò le gambe a terra. «Mentre ti piangi addosso io pregherò per i defunti. Fammi sapere quando sei in comodo di andare.»
Art non gli badò. Scese a terra e cominciò a vagare tra i resti dei caduti di entrambe le fazioni, imperiale e alleata. Quell'opprimente sensazione al petto non lo voleva lasciare, l'ansia lo stava consumando. Scalciò involontariamente un elmo vuoto. Sussultò. Arrestò il passo e si guardò attorno. Tra loro fu certo di non aver visto Sinisa.
Restava un solo luogo da perlustrare; la torre. Parte della sommità era crollata ostruendo l'accesso ai piani superiori. Si poteva solo scendere. Raggiunse il piano interrato, l'unico accessibile. Tra i morti, ne trovò uno che riconobbe all'istante. L'ansia nel petto lo divorò. Fece dei profondi respiri come a cercare un po' di ossigeno nell'aria rarefatta. Le ginocchia divennero molli. Cadde a terra. La vista si offuscò e sentì qualcosa di caldo rigare la guancia.
«Ti chiedo... Scusa» disse singhiozzando.
Nascose il viso tra le mani. L'aveva abbandonata al suo destino e si sarebbe portato il rammarico di non essere riuscito a salvarla fino alla tomba.
La volontà di rialzarsi venne meno e ci fu il momento per lasciarsi andare ai rimpianti; era ben lontano dal considerare la guerra contro l'impero a suo favore, chi altro lo avrebbe abbandonato? Sarebbe toccato a lui stesso?
Pianse sommessamente e rimase al capezzale dell'amata fino a quando non percepì il vento soffiare più intensamente di prima e in lontananza il rompo di un tuono.
Controvoglia doveva lasciare quel luogo. Allungò la mano sul teschio e lo sfiorò con le dita. Quando la guerra avesse avuto fine avrebbe dato una degna sepoltura a tutti loro.
Tornò alla luce del giorno dove ad attenderlo trovò Nice. «Muoviti, pezzente. O finiremo sotto un acquazzone.»
Corsero sotto la pioggia scrosciante raggiungendo le fila dei fuorilegge. Avevano a disposizione ancora qualche ora di luce e, nonostante fossero fradici da capo a piedi, non si sarebbero fermati. All'imbrunire, scorsero un villaggio in lontananza. La pioggia era cessata ed era necessario accendere un fuoco al più presto per far asciugare gli abiti. L'accampamento stava prendendo forma e Art si offrì di andare in avanscoperta per raccogliere del materiale infiammabile. Alle costole, sempre Nice.
Taciturno, si diresse verso il piccolo villaggio. Il silenzio, interrotto solo dai loro passi e dai grilli, gli portò la mente verso l'unico pensiero che disperatamente stava cercando di scacciare: Forte del Lupo. Il dolore al petto riprese ad accentuarsi unito a una nuova sensazione di asfissia. Appoggiò una mano sul tronco di un albero e si fermò. Allentò il colletto della casacca e fece dei profondi respiri. «È meglio se ci vai da solo.»
Nice arrestò la marcia e si voltò. «Pezzente» si limitò a dire. Riprese il cammino e Art gliene fu grato. Di certo avrebbe rubato dalla prima abitazione che gli forse capitata a tiro, ma finché non avesse ucciso dei civili lo avrebbe accettato. Art scivolò sul tronco e si sedette a terra. A ogni movimento sentiva la stoffa bagnata toccargli la pelle. Aveva freddo. Rimase immobile e rivolse lo sguardo al cielo dove si intravedevano sprazzi di sereno e qualche stella.
Nice tornò diverso tempo dopo, con della legna caricata sulle spalle e due sacchi di juta.
«Dammi una mano, rammollito.» Nice gli lanciò i due sacchi contro ridestandolo dal suo torpore. Art li tastò; era paglia. Si rialzò prendendo in consegna parte del bottino di Nice e ripresero il cammino a ritroso.
«Il malcontento verso l'impero è sempre più diffuso» ruppe il silenzio Nice.
«Lo hai udito al villaggio?»
Nice annuì «e non solo. Di questi ultimi tempi si parla molto di come l'impero non sia in grado di placare gli innumerevoli gruppi di malviventi allo sbaraglio. Ora che Forte Celeste è caduto, mi guarderei le spalle a essere un soldato di ronda dell'impero. Il popolo, specie nelle campagne, non si sente più protetto. Deve badare a se stesso creando anarchia.»
«Sono solo fastidi e purtroppo sono ben lontano dall'aver raggiunto il mio obiettivo.»
«Puoi sempre continuare ad alimentare questa fiamma, prima o poi raggiungerà il palazzo imperiale.»
«Potrebbe volerci una vita intera e io non ho tutto questo tempo, Nice.»
«E cosa speri di fare allora?»
Art serrò la mascella e si zittì. Il desiderio di farla pagare a Elyse Regan non era sufficiente per piegare un impero. Doveva continuare sulla strada dei fatti, ma giunti a quel punto ormai, per fare la differenza, c'era la necessità di una svolta; l'opportunità di poter finalmente colpire il cuore dell'impero. Un generale dalla loro parte avrebbe fatto la differenza, per questo doveva tornare da suo fratello sfruttando il diversivo creato a Forte Celeste e muoversi in tal senso.
«Mentirei se avessi la risposta pronta, ma ho un piano.»
***
«Forte Celeste è caduto.»
La piuma d'oca intrisa d'inchiostro scivolò dalla mano di Lance finendo sulla mappa della Valesia fatta di cartapecora e macchiandola. Lo sguardo di Lance rimase fisso su di essa, dove aveva indicato tutti i possibili nascondigli dei briganti. «Puoi ripetere, Fredrian?»
Con voce tremolante, Fredrian ripeté. «Forte Celeste è caduto.»
Lance fece un profondo respiro, cercando di mostrare un'apparente calma, sia di fronte a Druin che lo fissava dal lato opposto del tavolo, sia di fronte a un sottoposto quale era Fredrian Badessa.
«Che cosa mi sai dire del loro nascondiglio?»
«Come ordinatomi da voi, riportai alla generalessa Raluca Gray i luoghi dei possibili nascondigli dei briganti. A sua discrezione mi indicò un punto preciso della mappa, ma al mio arrivo il covo dei briganti era già stato sgomberato. Le nostre deduzioni si sono rivelate corrette, ma siamo arrivati tardi.»
«E con forze ridotte a difesa del forte, è diventato a sua volta facile preda delle nostre stesse prede.» Completò Lance per lui.
«Appurato che il covo era vuoto, sono ritornato sui miei passi più veloce che ho potuto, ma quando sono giunto al Forte era stato dato alle fiamme.»
Lance batté un pugno sopra la mappa, così forte che incrinò un asse del tavolo sottostante. Arteus aveva vinto, di nuovo.
«L'imperatrice dev'essere informata. Occupatene tu, Fredrian.»
«Agli ordini.»
Il sottoposto di Raluca girò i tacchi e lasciò la sala. Quando la porta si richiuse alle sue spalle, Lance si rivolse a Druin. «Come devo fare per toglierlo di mezzo una volta per tutte?»
«A prima vista le azioni di quell'uomo potrebbero sembrare illogiche. Perché distruggere una fortezza militare quando avrebbe potuto continuare a razziare indisturbato le terre dell'impero?»
«Per distrarre la nostra attenzione.»
Druin annuì. «Ha creato un diversivo e sono abbastanza convinto che già ora non si trovi più lì.»
Perché spingersi a tanto? L'occhio di Lance cadde sulla regione di Glarissia, ancora parzialmente controllata dal nemico «Credi che il suo diversivo possa essere servito a prendere tempo per ricongiungersi con i ribelli?»
«Il suo intento era distogliere la nostra attenzione dai ribelli e c'è riuscito. In quest'ultimo anno abbiamo dato molto peso alle scorribande e alle razzie in territorio imperiale, dimenticandoci che a Dalen c'è un regnante autoproclamato e che i ribelli occupano ancora una parte dei territori a est dell'impero, seppur contenuti. Non mi stupisco se nel frattempo i ribelli abbiano raccolto risorse per prepararsi a un ritorno.» Ancora una volta, Arteus era un passo avanti a loro.
«Non ci resta che anticipare le sue mosse.»
«Cosa intendi?» Chiese Lance.
Un sorrisetto sghembo comparve sul volto marcato dalle rughe di Druin. «Con un piccolo sacrificio, potremmo attirare il nostro eroe in trappola.»
***
Anno 4253, forte Torrechiara, Regione di Arcadia
Mitia si presentò davanti la porta della stanza di Julius. Bussò, ma non ricevette risposta. Attese ancora qualche istante finché non decise di fare di testa propria ed entrò. Lo investì una zaffata maleodorante di chiuso e alcol. La stanza era completamente avvolta nell'oscurità, le imposte sbarrate. Si avvicinò a quella più vicina a lui e la spalancò facendo entrare la luce del giorno. Fuori minacciava ancora di piovere e l'aria umida non avrebbe giovato alle condizioni di quella stanza, ma sempre meglio di nulla.
Julius era seduto al tavolo, il capo chino e nascosto dalle braccia. Accanto a lui un bicchiere e una brocca. Mitia la afferrò e ne scrutò in contenuto e constatando che fosse completamente vuota. Sospirò. Il capo dell'Alleanza si era ubriacato di nuovo.
Dopo la notizia della sconfitta dell'Alleanza a Forte del Lupo e della scomparsa di Art, non c'erano più state vittorie. I forti in loro possesso erano caduti uno dopo l'altro. Soltanto Torrechiara resisteva, ed era qui che viveva Julius da quasi due anni, incapace di dare una svolta allo stallo in cui versava l'Alleanza, ma oggi sarebbe stato diverso. Aveva appreso delle notizie a ovest che avrebbero potuto dar loro speranza e non vedeva l'ora di riportarle a Julius.
Aprì un'altra imposta e nemmeno la luce servì a svegliarlo. Decise di avvicinarsi e di scuotergli delicatamente la spalla.
Da Julius solo un mugolio finché l'uomo finalmente si svegliò. Si mise dritto sulla sedia. Mitia notò che avesse le impronte degli abiti sul volto. Prese un'altra brocca appoggiata sopra una mensola, questa volta con dell'acqua e la porse al comandante dell'Alleanza.
Senza dire una parola di ringraziamento, Julius la afferrò, si versò da bere e bevve avidamente. «Ancora ti ostini a prenderti cura di un fallito come me. Che c'è? Ti ricordo Art?»
Oltre ad aver perso tutta la credibilità, Julius in questi ultimi due anni aveva perso anche ogni freno inibitore. Mitia non ci badò. Per lui, Art era un amico, ma per Julius era il fratello di sangue. «Forte Celeste è caduto. L'ho appreso stamane dai nostri infiltrati a palazzo imperiale.»
Julius socchiuse la bocca, incredulo. «Com'è possibile?»
«I banditi della Valesia hanno fatto fronte comune. Una dimostrazione di forza che sta allargando sempre più la frattura creatasi nell'impero tra i convinti sostenitori e i contrari. Il popolo li teme e ha paura e non trova protezione nell'impero.»
«Dove vuoi arrivare, Mitia?»
«È giunto il momento di ridare lustro all'Alleanza. Questo stallo deve finire o potremmo dirci definitivamente sconfitti. Potremmo muoverci per fare un accordo con loro. È un'occasione che non dobbiamo sprecare, Julius. Art non avrebbe voluto questo per l'Alleanza. Torniamo a dare battaglia all'impero.»
«Io non...»
Un vociare ovattato giunse dall'esterno mettendo in guardia Mitia e Julius. Si affacciarono a una delle finestre che dava al cortile interno del forte. Una colonna di uomini e donne era sopraggiunta arrestandosi al di là del ponte levatoio.
«Arteus Gunther è tornato.» Gridò una voce.
«Aprite il passaggio.» Gridò un altro soldato.
«Ho sentito bene?» Mitia si sbilanciò. Si voltò verso Julius e vide il suo volto riacquistare una nuova luce.
«Fratello...»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top