Capitolo 20.2: Forte Torrechiara

Julius salì anche l'ultima rampa di scale che conduceva all'ultimo piano del dongione di Forte Torrechiara. Privo di una guardia e abbandonato al suo destino su una branda, trovò un uomo che ormai era l'ombra di se stesso; la pelle delle mani e del volto avevano assunto un colorito giallastro e delle profonde occhiaie gli contornavano gli occhi che in quel momento erano chiusi. Qualche sprazzo di bianco tra i capelli corvini e delle profonde rughe gli solcavano il viso smagrito dalla malattia. 

Si soffermò a scrutare colui che nel periodo d'oro della sua carriera militare era stato uno dei nove generali dell'impero: Evitreo Berengario. 

Julius sfilò il pugnale dal fodero legato alla cintola e si avvicinò al capezzale del generale. 

Mancava solo quel relitto umano e il forte poteva dirsi definitivamente in mano sua. Sorrise beffardo nonostante l'odore acre e nauseabondo degli escrementi gli facessero lacrimare gli occhi e arricciare il naso.

Alzò il pugnale afferrandolo con entrambe le mani e, con un gesto secco, lo piantò sul petto dell'uomo. Lo estrasse e ripeté il gesto. Schizzi rosso scuro volarono a terra e addosso alla giacca nera e al volto di Julius. Lo pugnalò più volte, infierendo su un corpo la cui anima aveva già abbandonato. 

Si ritrasse ricacciando all'indietro alcuni riccioli con la mano impiastricciata di sangue. Il braccio del pugnale scivolò lungo il fianco. 

Diede un'ultima occhiata dardeggiante al corpo trucidato prima di voltargli le spalle e uscire nel terrazzamento esterno. Posò entrambe mani sul parapetto e fissò l'orizzonte. Lo aveva giurato a se stesso e ora era lì, a scrutare quel colle dove poco tempo prima si era soffermato a sognare questo momento. 

Non negò a se stesso che il successo lo aveva inebriato. Con oggi, l'Alleanza aveva dimostrato di poter tener testa all'Impero. Una volta diffusa la notizia della conquista di Forte Torrechiata, sarebbe stato più facile riunire tutti coloro che avevano appoggiato suo padre e incoraggiare gli indecisi a unirsi all'Alleanza. La sua era stata una dimostrazione di forza. Elyse Regan non poteva più restare a guardare i suoi forti cadere uno dopo l'altro e l'influenza dell'impero sul continente venire sempre meno. L'Impero sarebbe tramontato come il sole all'orizzonte e lui ne sarebbe stato il principale fautore.

***

Art tese la corda dell'arco fino alla punta delle labbra e scoccò. La freccia colpì il centro del bersaglio. 

La corte di Forte Torrechiara gli parve tutt'altra cosa rispetto a come l'aveva trovata al suo arrivo. Aveva ripulito il luogo insieme ai cavalieri arcadiani e ora tirava un'aria decisamente migliore. 

Era sopraggiunta la sera, i soldati alleati di ronda avevano acceso alcune fiaccole ai lati del cortile e sulle mura. Art afferrò una nuova freccia, ma avvertì una presenza alle sue spalle. Si bloccò. 

«Hai avuto una bella faccia tosta a disobbedirmi e poi presentarti qui con il veleno di Mira.»

«Vengo in pace, fratello.»

«Non puoi continuare a fare quello che vuoi, Art.»

«È andato tutto per il meglio. Ti ho portato Forte della Serpe, i mercanti di Siorroc e il veleno di Mira. Ho fatto tutto questo per l'Alleanza, dovresti ringraziarmi e invece mi fai la paternale.» Incoccò la freccia e mollò la presa. Il dardo si conficcò accanto a quello precedente. «Sei uguale a nostro padre.» Art abbassò l'arco e con esso, lo sguardo.

«Questo carattere marcio te lo porti dietro da sempre. Anche nostro padre era esasperato dal tuo modo di fare, Art. Ma non m'importa se sei mio fratello, se diventi un danno per l'Alleanza non esiterò a cacciarti. Alla peggio, ti uccido con le mie mani.» Inveì Julius. «Non ho bisogno di gente disobbediente come te.»

Art si voltò verso il fratello. Vide del sangue rappreso sul volto e nelle mani. Parole forti quelle che gli aveva rivolto. Julius era un maniaco del controllo. Il fatto che lui si prendesse certe libertà lo avevano mandato in bestia. Ma l'Alleanza era di Julius quanto sua e lui aveva diritto quanto suo fratello di prendere decisioni.

Fu sul punto di rispondergli, ma sapeva bene che sarebbero finiti per prendersi a pugni. Julius era fin troppo bravo a nascondersi dietro la maschera della risolutezza, ma la verità era ben altra e lo aveva capito il giorno in cui Elyse Regan li aveva catturati; quando Julius perdeva il controllo, sangue del suo sangue o meno che fosse, gli avrebbe messo le mani addosso e lo avrebbe ucciso.

Doveva fare un passo indietro, perché se i due capi dell'Alleanza non avessero dimostrato almeno nelle apparenze di essere uniti, l'intera organizzazione ne avrebbe risentito.

Tacque. Avrebbe soprasseduto questa volta, alla prossima, lo avrebbe rimesso al suo posto. «Farò ammenda. Cosa vuoi che faccia?»

«Preparati. Marcerai verso Forte Pietrattusa.»

Per Julius la sua unica utilità era scendere in campo e conquistare terreno per lui. Tra i due, era sempre stato quello fisicamente più robusto e abile con le armi. Julius non aveva frequentato l'accademia militare di Benicassia. Il loro padre aveva avuto altro in serbo per lui, avrebbe dovuto prendere il suo posto alla guida della famiglia, ma l'ascesa dell'imperatrice aveva cambiato le carte in tavola.

Per il bene dell'Alleanza, avrebbe taciuto e ubbidito. Fintanto che non fosse riuscito a mettere le mani al collo di Elyse, avrebbe sopportato.

«Farò ciò che mi chiedi.»

Forte Pietrattusa era una fortezza minore, constava in tre torri di avvistamento, situata più a nord rispetto a Forte Torrechiara, ma comunque strategica, in quanto si trovava incastonata tra le rocce dei monti della regione glarissiana e offriva completa visuale sulle valli a est e ovest. Non avrebbe invitato Mitia a raggiungerlo. Il giovane stratega stava affiancando Ergrauda con le trattative aperte con i mercanti di di Siorroc e, prima di partire per Forte Torrechiara, Mira sosteneva che presto anche la più potente e ricca famiglia di Stara, gli Hughes, avrebbero preso la loro decisione su da che parte schierarsi. In un momento delicato come quello, per forte Pietrattusa si sarebbe fatto bastare le frecce del suo arco. Per precauzione, avrebbe comunque portato con sé un piccolo contingente di uomini.

Tornò a voltare le spalle al fratello e s'incamminò verso la torre più a est del forte. Voleva fuggire da quella conversazione soffocante e Sinisa sarebbe stato il pretesto.

Aveva preteso che la cavaliera avesse una stanza personale e che le fosse concesso il tempo che le servisse per riprendersi dopo la grande impresa. Rivederla, gli aveva fatto riaffiorare nella mente ricordi legati a quei cinque anni di gioventù e spensieratezza. Sorrise. Fu un gesto involontario e si sentì colpevole dopo la discussione avuta col fratello. In fondo però, poteva concederselo ogni tanto, no?

***

l'odore pestilenziale era scomparso lasciando il posto a quello di pelle conciata, terra e sangue. Sinisa udì qualcosa raschiare su una superficie rigida. Riaprì gli occhi e vide una figura di spalle seduta accanto a lei parzialmente illuminata dalla luce di una lucerna. Indossava una tunica scura e il capo chino era coperto da morbidi riccioli castani. Tra le mani, un coltello e l'asta di una freccia. Sinisa sussultò. Possibile che...

Socchiuse le labbra, nonostante il dolore «Art... Sei tu?»

Il giovane si fermò. Sollevò la sua creazione e la ruotò osservandola con attenzione. Un cilindro perfetto, visto con gli occhi Sinisa, ma conoscendo Art, lo avrebbe giudicato ancora migliorabile.

Il giovane poggiò attrezzo e asta, e porse a Sinisa un debole sorriso. «Ben svegliata.»

Due semplici parole, rivolte a lei dalla persona che più nella sua infanzia aveva ammirato, le fecero battere il cuore e avvampare il viso, risvegliando un sentimento che credeva di aver sopito per sempre. Dopo più di quattro anni, le loro strade si erano di nuovo incrociate. Puntò i gomiti e si mise seduta. Non osò chiedergli che aspetto avesse la sua faccia. Sentiva pulsare il labbro superiore e il naso le doleva. Le sarebbe uscita una gran botta, ma ne era valsa la pena? Avevano vinto? Vide che a terrà c'erano altre aste di frecce gettate alla rinfusa.

«Sei stato accanto a me tutto il tempo?»

«Solo per un paio d'ore, in realtà. Mi sono occupato dei prigionieri e...» Si bloccò per un'istante come a voler cercare le parole giuste «del corpo di Lothar.» Ammise infine.

Lothar. Come aveva trovato il coraggio di affrontarlo e togliergli la vita?

«Io... L'ho ucciso con le mie mani» disse colpevole, ma la verità era che dovette scegliere se difendersi o morire. E lei aveva scelto di vivere.

«È ciò che si è meritato per essersi schierato con l'imperatrice» rispose risoluto Art.

Sinisa strinse un lembo della coperta che la copriva dallo stomaco ai piedi. «Come fai a essere così freddo. Lui era... Art, lui era nostro amico.»

Art le lanciò un'occhiata fulgente. «Ha smesso di esserlo nel momento in cui ha scelto di servire Elyse Regan.»

Sinisa si zittì. Cominciò a dubitare del cammino intrapreso. Suo padre aveva scelto di schierarsi con Daniem Gunther sposando l'ideale di continente libero dal governo dell'imperatore che aveva sempre giudicato inefficiente e clientelare. Per questo l'impero aveva distrutto la loro casa e costretti alla fuga per evitare la forca, annullando in pochi istanti tutto ciò che la sua rispettabile famiglia aveva costruito nei secoli. 

Era arrabbiata, certo, ma giustificava l'uccisione di Lothar e di altre persone? L'Alleanza e l'Impero, due forze contrapposte, ognuna spinta dai propri ideali. Da un lato l'Impero, che da millenni governava le terre del continente di Valesia e che nonostante le difficoltà che comportava l'accentramento del potere su un'unica persona, aveva garantito stabilità e relativa pace nei secoli. Dall'altra l'Alleanza, una forza neonata che aveva fatto il suo caposaldo l'annientamento dell'Impero a favore di un nuovo governo a carattere "regionale". Messo su questo piano, era stata l'Alleanza a dare inizio alla guerra.

Art ruppe il silenzio e le sue riflessioni. «Hai svolto un ottimo lavoro, Sinisa. Grazie ai tuoi sforzi, abbiamo sottratto Forte Torrechiara all'Impero. Non posso che essere più orgoglioso di te e della guerriera che sei diventata.»

Quelle parole la colpirono, ma non riuscì a gioire del risultato ottenuto «non adularmi, ti prego, Art. Ho il cuore a pezzi in questo momento.»

Art raccolse da terra le aste grezze e si levò in piedi. «Sei conscia che, scendendo in battaglia, incontrare altri di noi sarà inevitabile?»

Sinisa dissimulò. «La mia famiglia ha deciso di schierarsi con l'Alleanza perché crediamo fermamente nei valori di libertà. Il governo di Elyse è dispotico e dittatoriale. Per questo mi trovo qui.» Parlò come avrebbe fatto suo padre, questo le aveva inculcato e per questo lei si trovava lì.

Art sospirò, era chiaro che non si fosse bevuto le sue parole. «Riposati, ne riparleremo al mio ritorno...»

«Ho riposato a sufficienza.» Sinisa spostò la coperta e mise i piedi a terra. Si alzò con cautela e cercò i suoi oggetti per la stanza. Le avevano tolto le protezioni d'acciaio, ma indossava ancora la giubba di cuoio e calzamaglia nera. La spada era stata appoggiata accanto alla branda dove aveva riposato fino a quel momento; la raccolse e fece per indossarla ma si bloccò. Art aveva appena detto "al mio ritorno?" 

«Dove andrai?»

«In missione a Forte Pietrattusa.»

«Lascia che ti accompagni.»

«Non è necessario, è un forte minore.»

«Voglio sdebitarmi.» Ne era certa, era stato lui a trarla in salvo dai combattimenti di Forte Torrechiara.

«D'accor-»

«Sinisa, tu per me svolgerai un altro incarico.» La voce di Julius proruppe dalla porta. «Ti occuperai di Forte Pietraguzza.»

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