Capitolo 20.1: Forte Torrechiara
Dopo tre settimane di marcia sostenuta grazie anche al bel tempo, il terzo battaglione guidato dal Capitano Lothar Lamischy giunse nel territorio controllato da Forte Torrechiara. A presiedere la fortezza, il Generale Berengario e i suoi uomini.
Lothar levò un guanto e si asciugò il sudore che gli gocciolava dalla fronte con il dorso della mano. Marciare in piena estate era sempre stata una prova di resistenza; molti dei suoi uomini si erano accasciati al suolo privi di sensi, affaticati dal caldo e dal peso delle armature. Li aveva ritenuti deboli e denigrati, un vero soldato doveva essere pronto a superare qualsiasi prova. La pagnotta per sé e la famiglia bisognava guadagnarsela. Dal canto suo, lo aveva ampiamente dimostrato in tutte le prove che aveva superato, sia fisiche che mentali. Lui era l'emblema vivente che la posizione che ora ricopriva era meritata e che nessuno avrebbe mai messo in dubbio le sue abilità sia come guerriero, che come condottiero.
Giunse nei pressi del forte a metà mattina. Lothar sollevò il capo e scrutò con fascino misto a soggezione l'imponente fortezza. Era la prima volta che la vedeva da così vicino. Il Dongione, la torre centrale, spiccava più in alto di tutte, ma anche le altre torri minori erano svettanti. Inoltre, erano tutte circolari per offrire infinite linee di tiro. La cinta muraria separava la fortezza da fossato perimetrale e l'ingresso era protetto dal Corpo di guardia, una costruzione fortificata che si ergeva monumentale al di sopra dell'accesso principale del forte.
Lothar fece cenno all'alzabandiera di sventolare il vessillo dell'imperatrice Elyse Regan; un leone bianco su sfondo indaco. Poco dopo, il ponte levatoio entrò in funzione. Il cigolio delle catene azionate dai contrappesi permisero alla struttura in legno di abbassarsi e di unire le due sponde. Lothar fu il primo ad attraversarlo, seguito, poco per volta, dal resto del battaglione.
Mentre marciava, assaporava già le giornate che avrebbe trascorso allenando i suoi uomini sotto la guida di uno dei nove generali dell'imperatrice; Berengario Evitreo. Forse, un giorno, avrebbe addirittura preso il suo posto.
Conscio che il suo obiettivo era tenere a freno l'avanzata dei ribelli che infestavano la regione di Dalen, quella sarebbe stata la sua nuova casa fino a nuovi ordini. La missione gli era stata affidata per volontà di Elyse Regan in persona e non poteva che essere più orgoglioso di se stesso. L'impero era grandioso e non avrebbe mai permesso a un pugno di ribelli di rovinarne la magnificenza. Sarebbero dovuti passare prima sul suo cadavere.
Tuttavia, quando mise piede nella corte, una zaffata di escrementi e vomito lo investì mozzandogli il respiro. Si coprì istintivamente naso e bocca. «Che cazzo sta succedendo qui?» Esclamò incredulo.
inorridì alla vista di soldati stesi a terra sopra stuoie di fortuna; alcuni privi di sensi e altri semi incoscienti che si dimenavano in preda agli spasmi e sporchi dei loro stesse deiezioni e altri prodotti del loro corpo.
Socchiuse la bocca. Chi aveva ridotto così il forte?
«Grazie alla Dea sono arrivati rinforzi.» Si avvicinò una guardia che ormai era l'ombra di se stessa da quanto era pallida ed emaciata. Puzzava di merda come tutto il resto.
Lothar trattenne a stento un conato di vomito. Non doveva mostrarsi debole di fronte ai suoi sottoposti, questo era niente a confronto con il vero campo di battaglia. S'impose risolutezza, quella che gli era stata impartita con l'addestramento militare degli ultimi anni. «Portatemi dal Generale Berengario. Devo sapere che cosa sta succedendo qui.»
«Il Generale è impossibilitato a ricevere visite, Capitano. Come la maggior parte della guarnigione, è stato colpito da una violenta dissenteria che lo ha debilitato e costretto a letto.»
«Che cosa?» Lothar era sbigottito. Di questo passo, Forte Torrechiara sarebbe diventato il bersaglio perfetto per i ribelli. Strinse i pugni e digrignò i denti, furioso. La situazione era critica.
Pensa Lothar, pensa. Com'era potuto accadere che un intero battaglione venisse flagellato in quel modo? Notò un pozzo al centro della corte. Rimase a fissarlo per qualche istante. «Possibile che...» Disse al limite dell'udibile.
«Capitano, avete detto qualcosa?» Chiese il soldato.
Lothar allungò il braccio indicando la costruzione cilindrica e di pietra al centro della corte. «L'acqua li dentro, da dove proviene? Da una sorgente sotterranea?»
L'uomo fece cenno di diniego. «No, Capitano. L'acqua dei due torrenti che scorrono qui nelle vicinanze viene incanalata in un condotto sotterraneo che scorre sotto il forte. Riusciamo a recuperarla con i secchi grazie a quel pozzo.»
Lothar Trasalì. «Da quando ha cominciato a manifestarsi il malessere nei soldati?»
«Tre giorni fa, Capitano. E nessuno si è più ripreso.»
«Fa gettare subito tutta l'acqua raccolta dal pozzo. Nessuno deve più berla.» Possibile che nessuno lo avesse capito subito?
«Ma signore, è l'unica riserva idrica del forte... La malattia che ci ha colpiti ci ha disidratati, ne abbiamo bisogno.»
«Morirete affogando nel vostro stesso vomito se continuerete a berla. Il Forte è stato costruito in una zona naturalmente ricca di sorgenti sotterranee, perché è mai stata prevista una seconda fonte di approvvigionamento idrico?» Era frustrante, come aveva potuto Berengario sottovalutare fino a tal punto l'eventualità di un avvelenamento delle acque? Non riusciva a contemplarlo, non era ammissibile.
Udì uno scalpitio di zoccoli di cavallo a contatto con il terreno appena percettibile. Si ridestò dalle sue riflessioni e si soffermò ad ascoltare notando come si stesse facendo sempre più incessante e vicino. Si voltò in direzione del ponte levatoio. Ebbe un brutto presentimento e diede voce alla sua volontà. «Alzate il ponte! Ci attaccano!»
I soldati del battaglione di Lothar si riversarono nella corte del forte, accalcandosi tra loro.
Quando anche gli ultimi uomini furono dentro, il ponte levatoio non accennò ad alzarsi. «Alzate il ponte!» Ordinò di nuovo. Non notando alcun movimento, decise di intervenire lui stesso.
Si precipitò dentro il Corpo di Guardia e fece i gradini a due a due. Trovò i meccanismi del ponte levatoio al secondo piano. Un uomo era intento ad azionare una leva, ma erano troppo debole per riuscirci. D'impeto gli mise una mano su una spalla e lo scaraventò a terra, afferrò poi la leva e la spinse verso il basso, ma cedette e venne sbalzato in avanti. Puntò un piede in avanti evitando la caduta.
«Che diavolo...» Fissò sgomento la catena del ponte levatoio e vide che non era più in tensione. Maledetti ribelli. Erano loro che li stavano attaccando, non aveva alcun dubbio.
Fece allora per ritornare sui suoi passi quando avvertì dei colpi di spada mischiate a grida di battaglia e nitriti di cavallo. Non riusciva a credere come la situazione fosse precipitata nel giro di pochi istanti. Avevano atteso il momento in cui si sarebbe abbassato il ponte levatoio per attaccarli. Che li avessero intercettati? Ormai non servita più niente arrovellarsi il cervello sulle congetture adottate da quel branco di reietti. Indossò l'elmo che teneva legato alle sue spalle e ritornò alla corte dove la battaglia infuriava.
«Difendete il forte! Tutti alle armi!» Gridò e sfoderò la spada.
Si gettò nella mischia ferendo le zampe anteriori di uno stallone. La cavalcatura si dimenò facendo cadere il cavaliere che venne trucidato dai suoi uomini. Menò fendenti, affondi e colpi orizzontali, schivando spade nemiche e scalci di cavalli.
Notò come i cavalieri avversari fossero ben equipaggiati; armature di buona fattura, cavalli da guerra e armi di pregio. Non passò inosservato neanche il fatto che le loro carnagioni fossero più vicine agli abitanti dell'entroterra rispetto alle regioni desertiche e costiere...
Un nuovo cavaliere nemico cavalcò verso di lui. Lothar si mise in guardia e attese il suo arrivo.
***
Sinisa tirò le redini del suo stallone da guerra e si buttò nella mischia. Sguainò la spada e menò fendenti contro i soldati nemici.
Un vero colpo di fortuna quello che accompagnò lei e i suoi cavalieri. L'avvistamento di un battaglione da ovest fu il motivo che la spinsero ad azzardare un approccio diverso per la conquista del forte; attendere che il ponte levatoio si abbassasse per partire alla carica. Aveva così colto di sorpresa il nemico travolgendolo sotto i pesanti zoccoli dei cavalli.
Una volta terminato con il battaglione, non restava che passare a fil di spada chi ancora si reggeva in piedi dopo aver bevuto l'acqua avvelenata dalla polvere ricavata delle radici e dai rizomi della pianta di Elleboro.
Tuttavia, quando entrò nella corte di Forte Torrechiara, le si rivoltò lo stomaco; l'odore di escrementi e vomito s'insinuò prepotente tra le narici. La nausea arrivò come un fiume in piena, ma s'impose di resistere; non poteva cadere vittima della loro stessa strategia. Abbatté l'ennesimo soldato nemico quando vide davanti a lei un coscritto con un armatura di pregio: era d'argento e la barbuta che indossava lasciava uno spiraglio solo per gli occhi. Un pennacchio di colore bianco svettava sopra l'elmo; senza dubbio il capitano del battaglione. Gli puntò la spada contro. Tra lei e il successo della missione si frapponeva solo lui .
«Fatti sotto!» Gridò con veemenza e spronò la cavalcatura contro il guerriero. Menò un affondo che il capitano nemico evitò.
Sinisa allentò le redini del cavallo che rallentò, lo costrinse a voltarsi e lo spronò di nuovo al galoppo. Agitò la lama contro il nemico che si scansò e passò al contrattacco: la spada si conficcò nella carne dell'animale che cominciò a dimenarsi fuori controllo.
«No!» La cavaliera balzò a terra prima che il cavallo la disarcionasse. Atterrò in piedi e scattò verso il nemico. Menò un colpo orizzontale che andò a vuoto, inoltre, commise il fatale errore di sbilanciarsi in avanti. Non ebbe il tempo di riprendere il controllo dei suoi movimenti che si vide arrivare in piena faccia un poderoso pugno. Sinisa incassò il colpo e volò a terra.
Tutto il mondo parve girarle attorno. Poggiò i palmi delle mani sul terreno e si rialzò, dondolando. Le voci ovattate le rimbombarono nella testa. L'elmo si sfilò dal capo rivelando la sua identità al nemico.
Sentì qualcosa di caldo e umido colarle dal naso e dalle labbra ma non se ne curò. Era ancora in gioco. Alzò lo sguardo contro il nemico, perché non le stava dando il colpo di grazia?
Approfittò di quell'istante e passò al contrattaccò; pose un piede in avanti, si diede lo slancio in affondo e mise a segno una stoccata contro la coscia del suo avversario che indietreggiò, la cavaliera rincarò la dose e lo colpì al fianco. Il capitano cadde sulle ginocchia.
Sinisa gli puntò la lama alla gola. «Perché hai esitato?»
Il guerriero sollevò le braccia e le avvicinò all'elmo. Lentamente, lo sfilò.
La ragazza socchiuse la bocca, incredula di fronte a chi si trovò di fronte; gli occhi grigi, i capelli castani raccolti in una piccola coda sulla nuca. Il viso ormai adulto e contornato da una folta barba castana.
«Perché... Perché dobbiamo combatterci?» Cacciò i singhiozzi e la riluttanza. Non voleva, ma se non lo avesse fatto, sarebbe morta lei.
Lothar la osservò con aria di sfida. «O me o te.» Fu tutto ciò che disse.
Sinisa affondò la lama alla gola dell'uomo che cadde all'indietro, esanime. Le lacrime le offuscarono la vista, rivoli caldi le rigarono le guance.
Perché...
Alla vista del corpo senza vita di Lothar ebbe un'improvvisa repulsione per quel luogo, così forte da metterle in subbuglio lo stomaco. Vomitò, ma ciò che uscì fu solo bile. Doveva andarsene da lì o sarebbe stata sopraffatta dal nemico. Indietreggiò e cominciò a correre verso il ponte levatoio, ma incespicò e cadde a terra tra il fango mischiato al sangue e ai corpi dei caduti. Si rialzò, ma scivolò nella melma e cadde di nuovo. Fu sul punto di abbandonarsi, ma una forza estranea le afferrò un braccio e la costrinse di nuovo in piedi. Voleva correre, ma quelle gambe non le ubbidivano più. All'improvviso, i suoi piedi persero contatto con il terreno.
Qualcuno aveva forse accolto le sue suppliche e la stava portando via da quel maledetto luogo? Perse i sensi prima di poterlo scoprire.
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