Capitolo 17.1: Imprevedibilità

La conquista di Forte della Serpe aveva definitivamente consegnato la regione di Dalen nelle mani dell'Alleanza e apriva spiragli verso la regione di Stara e Arcadia. Art superviosionò il via vai di soldati dal Forte. A tutti i superstiti era stato dato un primo soccorso. Molti erano disidratati, denutriti, deboli. Una volta tornati in forze, avrebbero rimpolpato le file dell'Alleanza. Funzionava così; si toglieva all'impero un pezzetto alla volta.

Quando dal forte vide uscire un volto familiare strabuzzò gli occhi per lo stupore. Kjetil Ocari gli lanciò un'occhiata imperscrutabile, doveva averlo riconosciuto. Erano passati cinque anni dall'ultima volta che si erano visti, ed era stato il giorno del diploma. Kjetil era sempre stato indifferente e apatico verso tutto e tutti. Per come lo ricordava, era convinto che la vita militare non facesse per lui e che si fosse ritirato nella sua terra natale: Stara. Qualcosa però, lo aveva spinto a combattere per Elyse.

«Capitano.» Disse una voce familiare alle sue spalle.

«Mitia, puoi chiamarmi Art. Siamo amici.»

«Essendo diventato un mio superiore, mi viene naturale chiamarvi col giusto appellativo. A ogni modo, sono venuto per avvisarti che lo sgombero del forte si è concluso nel migliore dei modi. Il Generale Cinquelao è stato trovato privo di vita. Sospetto ammutinamento.»

Sorrise. «Chissà perché non sono stupito.» Si voltò verso il suo stratega preferito. «C'era Kjetil tra i soldati nel forte. Fallo scortare nella mia tenda. Vi aspetto lì.»

«Sarebbe stata la seconda cosa di cui ti avrei parlato.» Mitia chinò il capo come gesto di deferenza. «Agli ordini.»

***

Art si sfilò i guanti placcati d'acciaio e li gettò con noncuranza sopra un baule di legno. Finalmente quei giorni in mezzo alla torrida calura del deserto bianco stavano per avere fine. Prima di andarsene, però, avrebbe scambiato quattro chiacchiere con Kjetil. La presenza al forte di un vecchio compagno di accademia aveva destato la sua curiosità.

Alcune ombre di uomini fecero capolino all'ingresso del suo alloggio spartano. Una di queste sollevò la stoffa della tenda rivelando un soldato dal volto celato sotto la barbuta e annunciò l'arrivo del prigioniero. «Capitano. È qui l'uomo che avete richiesto di incontrare.»

«Bene. Liberatelo e fatelo entrare.»

«Ma... Capitano. È pur sempre un soldato dell'imperatrice e...» I sospetti del suo sottoposto erano più che comprensibili, ma Art non era tenuto a dare una spiegazione delle sue azioni. Era il Capitano, la sua parola era legge nell'intero accampamento.

«Liberatelo e fatelo entrare.» Ripeté con tono aspro che non lasciava adito a repliche.

«Agli ordini, Capitano.» Il soldato ubbidì. Fece qualche passo all'indietro, e, poco dopo, un uomo dai capelli bianchi e unti fece il suo ingresso. Si massaggiava il polso con la mano e teneva basso lo sguardo. Art lo squadrò dall'alto a basso notando come la sua armatura fosse di pregio; il petto della corazza era composta da più placche d'acciaio unite da cinghie di cuoio così come falda e fiancali. Spallacci, bracciali, avambracci, cosciali e gambiere d'acciaio e, per finire, un lungo mantello rosso che gli ricadeva dalle spalle. Solo chi aveva denaro o rivestiva ruoli di pregio nell'esercito dell'Impero poteva vantare una simile dotazione; di solito sottufficiali e ufficiali.

«Non incuto alcun timore per voi?» Esordì Kjetil con voce melliflua come se si stesse facendo beffe di lui. Sollevò il viso e piantò due iridi ambrate su Art.

Art sorresse il suo sguardo. «Al contrario. Non siete un uomo da sottovalutare, Kjetil. Sopratutto non sapendo quello che vi passa per la testa.»

A Kjetil sfuggì un sorrisetto sghembo. «Allora sappi che come ho tagliato la testa a uno dei nove generali di Elyse, non mi faccio problemi a tagliare anche la tua.»

Un cane randagio a cui era stato messo il collare a strozzo. Così appariva Kjetil. Ora che il collare era stato tolto da Art, rischiava però di essere azzannato. Che diavolo gli era successo in questi cinque anni?

«Non ho interesse a fare di te una mia pedina, Kjetil. Conosco la tua natura. Per questo voglio darti la possibilità di tornare libero a patto che tu mi dica tutto ciò che sai sui piani dell'Impero.»

Kjetil serrò le mascelle e il suo volto si fece cupo. Art intuì che stesse riflettendo sul da farsi. Ricordava che Kjetil fosse astuto e abile a evitare i guai, ma questa volta pareva essere caduto nella trappola di Elyse.

«L'interesse dell'imperatrice è mantenere il controllo su Forte della Serpe e puoi ben immaginare il perché. Elyse, però, non aveva fiducia nel Generale Cinquelao. Quel fallito aveva solo interesse ad avere salva la pelle e io ero lì per osservarne le mosse e valutarne la destituzione.»

«Ma poi siamo arrivati noi e hai optato per l'unica carta a tua disposizione: l'ammutinamento.»

«In fondo non sono poi così diverso da Cinquelao.»

«Una domanda mi sorge spontanea, come hai fatto a conquistare la fiducia di Elyse?»

«Quella donna non si è mai fidata di me. Mi ha solo usato. Non credo sentirà la mia mancanza e nemmeno quella di Cinquelao, ma rivorrà indietro il forte e il pieno controllo di queste terre. Altro non so.»

Art immaginava ci potesse essere dell'altro dietro il suo gesto, ma preferì tacere. Si sarebbe bevuto la sua versione dei fatti.

La conversazione si spense. Kjetil non aveva aggiunto informazioni rilevanti a quelle che già sapeva. Sarebbe potuto tornargli utile in qualche altro modo? All'improvviso, gli balenò nella mente un'idea. Kjetil era istariano e di origini nobili. Poteva essere un buon appiglio per cominciare a tessere relazioni con chi contava a Stara e far crescere l'Alleanza. «Ti lascerò in libertà, ma prima devo assicurarmi che tu non mi sia d'intralcio. Sei nobile, prima che un guerriero. Mi condurrai a Stara e raduneremo alleati per la nostra causa. Tuo padre...»

«Mio padre è morto.» Lo interruppe Kjetil. «E io non conto più nulla a Stara.»

Art si mosse un labbro.

«Ma se il prezzo per ottenere la libertà è accompagnarti a Stara potrebbe essere un buon compromesso. Io potrò non contare nulla, ma forse lei sì.»

Per Art, fu come se stesse provando ad avvicinarsi al cane randagio che aveva appena liberato con un pezzo di carne in mano per dimostrargli la sua fiducia. Per ora stava funzionando, aveva una strada da seguire. Pazienza se si sarebbe rivelato un sentiero di poco conto. l'Alleanza doveva iniziare a tastare il terreno al di fuori di Dalen.

Più lo scrutava, più dovette ammettere a se stesso che un guerriero come Kjetil gli sarebbe tornato utile. Il suo più grande problema, però, era l'imprevedibilità. Così come aveva tradito l'Impero, avrebbe potuto tradire l'Alleanza, ma Art decise comunque di provarci. Convincerlo a unirsi non sarebbe stato un processo facile. Avrebbe lasciato che le vicissitudini facessero il loro naturale corso. Prima di agire in modo avventato nei suoi confronti avrebbe chiesto consiglio a Mitia.

«Apprezzo che tu abbia accettato. Partiremo tra una settimana. Il tempo di smontare l'intero accampamento. Per tutto questo tempo non potrò darti la libertà, ma ti farò avere un trattamento adeguato alla tua classe.»

Kjetil rispose con un'indifferente alzata di spalle.

I bagni pubblici di Sygrovia avrebbero atteso ancora qualche altra settimana, ma forse si sarebbe potuto consolare con un bel bagno al mare.

***

A Mitia andò di traverso un sorso di vino. Posò il calice sul tavolo e tossì portandosi una mano alla bocca. I lunghi capelli corvini gli finirono in faccia. «Vuoi andare a Stara con Kjetil?»

«Qualcosa di buono suo padre l'avrà costruito in vita, no? È una scommessa che vale la pena giocare. In questo momento, anche il più piccolo appiglio può garantire un passo avanti per l'Alleanza.» Art ruotò il calice di vino rosso con fare distratto. Si era disfatto dell'armatura indossando solo una tunica di lino, brache e stivali di cuoio. Avevano usato l'unico tavolo presente nell'alloggio di Art come appoggio per le stoviglie sporche del pasto appena consumato e sedevano su due sgabelli di fortuna.

Mitia si ricompose legandosi i capelli dietro la nuca in una crocchia spartana. Anche lo stratega aveva abbassato la guardia indossando una tunica marrone lunga fino alle ginocchia, delle brache e dei saldali. «Il padre di Kjetil era Serse Ocari, senatore molto vicino a tuo padre. Il fatto che Kjetil abbia deciso di appoggiare la tua richiesta potrebbe essere per questo motivo.»

«Se è come sostieni, Kjetil non si sarebbe mai alleato con l'Impero. Eppure era dentro quel maledetto Forte.» Art si portò la coppa alle labbra e trangugiò il vino in pochi sorsi.

«È plausibile che fosse stato costretto all'ubbidienza, oppure ricattato.»

Art posò la coppa e lanciò un'occhiata d'intesa allo stratega. «Tutto torna.»

Mitia bevve alcuni sorsi di vino e disse «È indubbio che puntare alla regione istariana potrebbe portarci enormi benefici economici. Risorse che potremmo privare all'Impero...»

Art afferrò la caraffa di vino al centro della piccola tavola e ne versò all'amico e poi a se stesso. «Per questo motivo ho bisogno di te.»

«Di me?»

«Non sono un bravo diplomatico quanto te. Verrai come e Kjetil a Stara.»

«Solo noi tre?»

«Dobbiamo apparire innocui e destare meno sospetti possibili. Gli scagnozzi di Elyse sono ovunque.»

«E se Kjetil si rivelasse ancora fedele all'Imperatrice e provasse a ucciderci?»

«Gli pianterò una freccia in bocca, semplice.»

«Se non sarà prima lui a piantarti una lama nel cuore.»

Art dovette ammettere che Mitia aveva ragione. Se aveva abbattuto un generale, Kjetil era diventato pericoloso. «A lui non importa di questa guerra. Vuole essere lasciato fuori. Farà ciò che gli viene chiesto e poi sparirà dalla circolazione.»

«Mi auguro tu abbia ragione.» Rispose Mitia osservando il bicchiere ancora mezzo pieno.

Art vuotò di nuovo la coppa. «Ed è per questo che, se il nostro viaggio a Stara porterà dei buoni frutti, convincerai Kjetil a unirsi all'Alleanza.»

Mitia socchiuse le labbra. «Non puoi averlo detto. Come puoi dare fiducia a un uomo simile?»

Art si versò ancora un altro calice di rosso e tracannò anche questo. «Se non percepirà le nostre richieste come ricatti non abbiamo nulla di cui temere. Sono convinto di questo.»

Mitia si alzò dallo sgabello con un sonoro sospiro. «Non approvo, ma so quanto sia difficile toglierti queste strane idee dalla testa. Vado a coricarmi. Domani comincerà lo sgomberò dell'accampamento e devo riordinare tutti i miei preziosi testi.»

Art salutò con un cenno di mano l'amico e afferrò la brocca per vuotarsi l'ennesimo bicchiere di vino, ma ciò che ne uscì fu un rivolo insignificante.

Non era solito eccedere nell'alcool, ma gli sarebbe servito per trovare il coraggio per scrivere una lettera al fratello e dirgli che non avrebbe fatto ritorno a Sygrovia prima di qualche mese.

Julius sarebbe andato su tutte le furie. Voleva essere aggiornato su ogni singola mossa del fratello minore, per evitare che, a detta sua, facesse qualcosa di stupido. Questa volta però, Art era convinto che recarsi a Stara era la scelta migliore dopo la liberazione del forte, e Mitia non aveva obiettato. Mitia, suo migliore amico e stratega. La fortuna aveva girato dalla sua parte quando scoprì che il suo vecchio compagno di accademia era diventato un fidato consigliere di Ergrauda Sygrove. Mitia negli anni si era lasciato crescere i capelli, non indossava l'armatura e mai l'avrebbe fatto. Non era bravo con le armi, era gracile ed effeminato, ma il suo pensiero avrebbe fatto invidia ai migliori strateghi militari, se solo avessero avuto coscienza della sua esistenza. Come ogni daleniano, inoltre, detestava l'Impero. Art aveva sviluppato una sorta di ossessione per quell'uomo; così brillante, così ammaliante. Così, a ogni missione che Julius gli assegnava, pretendeva Mitia al suo fianco e Mitia ubbidiva.

Scrisse di pugno la lettera per il fratello e infine si buttò nella branda quando ormai l'intero accampamento era in mano alla ronda notturna. l'indomani, a mente lucida, avrebbe riflettuto sul viaggio per Stara. Chiuse gli occhi e scivolò in un sonno ristoratore.

***

Dei passi metallici riecheggiarono nei corridoi del sontuoso palazzo nel cuore della capitale imperiale. Un uomo in armatura e dal volto nascosto dalla celata adornata da un pennacchio bianco e uno rosso arrivò in prossimità di una grande porta bianca dai rilievi dorati. Le due guardie poste davanti alle ante si fecero da parte con un piccolo cenno d'inchino. L'uomo spalancò la porta e fece il suo ingresso nello studio dell'imperatrice Elyse Regan. Fece alcuni passi, il lungo mantello rosso alle sue spalle volteggiava a ogni falcata.

«Mi avete chiamato?» L'uomo tolse l'elmo rivelando una massa di corti capelli biondi che gli ricaddero sulla fronte, un viso dai tratti spigolosi e due vividi occhi azzurri. Era più alto dell'imperatrice di una buona spanna.

«Lance, ho un compito per te.» Esordì Elyse. Indossava una toga rossa che le fasciava il corpo, I capelli argentei raccolti in una crocchia ordinata e adornata di pietre preziose.

Per Lance, era la donna più bella sulla faccia della terra. Bella e pericolosa. Non pronunciò parola e attese gli ordini.

«Raduna il Terzo Battaglione. Marceranno a est. Direzione: Forte Torrechiara

«Non puntate alla ripresa di Forte della Serpe?»

«Di un mucchio di sabbia, in fondo, me ne faccio ben poco per ora. Preferisco arrestare la corsa dei ribelli in un terreno che sia favorevole a noi e di cui abbiamo il pieno controllo.»

«Allora dovremo pensare anche a rafforzare i confini tra la regione di Dalen e quella di Stara.»

Un sorriso compiaciuto comparve sul volto di Elyse. «Non ti sfugge nulla. Se anche fosse, mi sono premurata di avere prima il controllo del Consorzio delle Spezie. Se i ribelli proveranno a mettere piede a Stara si troveranno le porte della città sbarrate e una pioggia di frecce ad attenderli.

«Vi fidate di loro?»

«Ho dato loro possibilità di scelta tra la ricchezza o la morte.»

Lance socchiuse le labbra, ma non uscì alcuna parola. Aveva accettato da tempo i modi singolari di Elyse di averla vinta. Per lei il controllo del potere valeva più di qualsiasi altra cosa, e dopo aver visto con i propri occhi cos'era stata in grado di fare a Daniem Gunther scelse di non contraddirla, mai.

«Ai mercanti arricchiti di spezie campeggiati da Barnabas Acardia interessa solo il denaro. Grazie a me continueranno a fare affari, pagando all'impero una quota sui profitti che trarranno dai loro traffici leciti o illeciti che siano. Al contrario, se tradiranno la mia fiducia, Magnus Lo Taurus sa già cosa deve fare.

Lo spietato generale di Forte Pietrabianca, situato al confine tra le regioni di Stara e Aalborg, a sud dell'impero. Un uomo senza remore né pietà per i suoi avversari. Elyse, come al solito, aveva pensato a ogni cosa.

Lance chinò il capo al cospetto della sua imperatrice. «Farò come mi state chiedendo: radunerò il terzo battaglione a Torrechiara.»

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