Capitolo V
Quando un uomo irruppe nella sua tenda con il fiato spezzato da una lunga corsa, il primo istinto di Marco fu quello di balzare giù dal giaciglio e afferrare la spada. Poi si rese conto che aveva davanti un giovane Romano dall'armatura impolverata che lo fissava preoccupato.
«Sei tu Marco Aurelio Quadrato, sì?» borbottò, passandosi una mano sui capelli biondi, scompigliati e inzaccherati come se di recente si fosse rotolato nel fango insieme ai cani.
Marco annuì lentamente, studiandolo con perplessità mentre quello scoppiava a ridere:
«Sia reso grazie al padre Giove, ho girato tutto l'accampamento per trovarti! Ormai credevo che ti avessero già arrestato!»
«Arrestato?»
«Oh, sì, ti stanno cercando. Dicono che sei un traditore.»
Le labbra di Marco si arricciarono in un ringhio furioso:
«Ah, sì? Chi lo dice? Che osasse ripeterlo davanti a me!»
«Gaio Taurino!» replicò pacatamente l'altro, con una smorfia di disgusto. «E deve essere stato particolarmente convincente, se Sofo ha deciso di arrestarti come misura preventiva...»
I pensieri dell'uomo si rincorrevano e si attorcigliavano su sé stessi, simili a cani da caccia che avessero perso l'odore della preda; serrò la presa sull'elsa della spada, socchiudendo gli occhi fino a che non divennero due minuscole fiammelle dorate e ostili.
«Se le cose stanno così, perché tu sei corso ad avvertirmi?»
Una scintilla di autentico buonumore illuminò le iridi nere del ragazzo:
«Gli dei sono dalla tua parte, Quadrato! Una ninfa mi ha imposto di venire a salvarti la pelle!»
«Una ninfa?»
«Beh, di certo ne aveva l'aspetto, ma credo che in realtà fosse una ragazza picena: lucenti capelli scuri, occhi da gatta e un corpo minuto, ma così morbido...»
«Maledizione, Nipias!» ringhiò Marco, sentendo venir meno le forze al pensiero dei pericoli che la ragazza aveva corso.
"Sciocca! Cosa credevi di ottenere, entrando nella tana del lupo?"
Avvicinatosi con passi nervosi all'entrata della tenda, sporse il capo per osservare ciò che succedeva all'esterno e borbottò una colorita imprecazione: Valeriano, uno degli uomini più fedeli del console, marciava a capo di un piccolo drappello di soldati e veniva deciso nella sua direzione.
«Come hai detto che ti chiami?»domandò, infilandosi velocemente la spada alla cintura.
«Non l'ho detto. Il mio nome è Ennio.»
«Ennio...?»
«Ennio e basta»
Per la prima volta da quando aveva fatto irruzione nella sua tenda, il sorriso scomparve dal volto del ragazzo e i lineamenti persero ogni traccia di fanciullezza, diventando duri e severi come la pietra.
Marco comprese subito l'imbarazzo e la rabbia celati dietro l'improvviso silenzio:
«Sono un bastardo anch'io.» mormorò, senza riuscire a nascondere un po' dell'antico risentimento. «Non vergognarti mai del tuo nome.»
Ennio si lasciò sfuggire uno sbuffo sorpreso tra le labbra socchiuse:
«Davvero? Ma io credevo...»
«Dopo!» tagliò corto Marco, afferrandolo per un braccio e costringendolo a rotolare con lui oltre la stoffa della tenda.
Davanti alle occhiate perplesse e vagamente divertite degli altri soldati, Ennio venne trascinato fino al posteggio dei cavalli e costretto a montare su un baio dal manto lucente.
«Ehi!» sbottò, quando vide che Marco era balzato in sella al suo stallone e stava incitando entrambi gli animali a partire in fretta. «Cosa stai facendo?»
L'altro gli lanciò un'occhiata obliqua ed esasperata:
«Non è ovvio? Sfuggiamo alla cattura!»
Il ragazzo cercò inutilmente di frenare il proprio cavallo: era cresciuto nei vicoli più poveri di Roma e prima d'allora non si era mai trovato tanto vicino a una di quelle bestie, perciò poteva solamente lasciarsi trascinare da Quadrato, cavaliere molto più abile.
Avvertiva sotto le cosce il ritmo possente del cuore dell'animale, sentiva i muscoli allenati tendersi nella corsa e gli zoccoli battere con forza sul terreno, vedeva la testa chiara chinarsi in avanti e le froge dilatarsi: era evidente che il baio fosse deliziato da quella fuga precipitosa, almeno tanto quanto lui ne era terrorizzato. Oltrepassarono al galoppo le porte aperte dell'accampamento, sordi ai richiami delle sentinelle che proteggevano la palizzata; e quelle, sebbene confuse da tanta foga, non alzarono le armi contro due commilitoni.
Il fragile equilibrio che lo teneva in sella rischiava di rompersi a ogni istante e più Ennio serrava le gambe attorno ai fianchi caldi della cavalcatura, più quella scartava in avanti lanciando acuti nitriti di gioia. Le parole della ragazza picena risuonarono nelle sue orecchie come una beffarda nota di avvertimento.
«Avevi ragione!» brontolò tra i denti, stringendo tra le dita la criniera del cavallo, dato che Marco teneva ancora saldamente in mano le briglie e guidava entrambi su sentieri sconosciuti. «Ciò che è venuto dopo non mi è piaciuto affatto!»
Si arrischiò a battere una pacca sulla spalla del suo compagno per richiamarne l'attenzione:
«Non ho molta simpatia per Taurino...» dichiarò, con un sorriso tirato. «Perciò quando la ragazza mi ha ordinato di riferirti le sue accuse ho obbedito, anche se avrei potuto catturarla con facilità. L'ho lasciata andare perché credevo fermamente che chiunque fosse stato accusato da un uomo tanto spregevole doveva per forza essere innocente...»
Fece una pausa, incerto su come proseguire, mentre Marco rallentava l'andatura e si voltava a osservarlo.
"Sei impulsivo, testardo e tendi a fidarti troppo dei tuoi sentimenti!" pensò l'uomo e si rese conto con una risata appena accennata che quel ragazzo gli piaceva. Ennio era ciò che sarebbe potuto diventare se la Fortuna non avesse interferito con il suo destino e gli ricordava molto sé stesso quando si era arruolato.
In un punto lontano del cielo, oltre le nuvole grigie che quel giorno nascondevano il sole, si udì il boato di un tuono e ben presto iniziò a cadere una pioggia irritante, accompagnata da una foschia umida, soffocante, che ammantava il paesaggio di malinconia.
«Ora ti stai chiedendo se hai fatto la cosa giusta. Ti domandi se per caso tu non abbia appena disertato in compagnia di un traditore pronto a tagliarti la gola nel sonno.»
Gli occhi scuri di Ennio non tradivano nulla dei suoi pensieri, ma l'occhio allenato di Quadrato colse la mano che scivolava lentamente verso la spada che portava al fianco.
«È così?»
«Saresti così sciocco da fidarti solo della mia parola?»
«Mi sono fidato di quella di una ragazza che è mia nemica, più sciocco di così...»
Marco piegò le labbra in un sorriso indulgente:
«Questa volta sei stato fortunato. No, non sono un traditore. Ho dedicato la mia vita a Roma e nutro grandi ambizioni per il mio futuro politico: nulla di ciò che i Piceni potrebbero offrirmi sarebbe in grado di tentarmi.»
«E la ragazza?»
La figura enigmatica e sfuggente di Nipias si insinuò nella sua mente come un dardo: quella ragazza era una ferita bruciante per il suo orgoglio e Marco si rese subito conto di aver mentito.
"Se i Piceni mi offrissero lei..."
Scacciò quell'immagine con un brusco cenno del capo.
«Si chiama Nipias» mormorò, di malavoglia. Era restio a condividere quella storia con un giovane appena conosciuto, seppure uno amichevole e onesto come Ennio; le emozioni che la promessa fatta gli suscitavano erano troppo complicate per esprimerle ad alta voce.
«Nipias» ripeté Ennio, assorto. «Proprio un nome barbaro, duro e secco come le loro montagne! Non le si addice. Lei è calda, fiera e appassionata...»
«Ed è sotto la mia protezione!» lo interruppe bruscamente Quadrato, infastidito. «Ora la troveremo e farò in modo che le passi la voglia di giocare a fare il soldato! Poi mi occuperò di Taurino.»
«Forse le due cose finiranno per coincidere.»
«Cosa intendi dire?»
«Parlava di una fattoria e di dover avvertire qualcuno prima che fosse troppo tardi. E mentre ti cercavo, ho visto Taurino e altri prepararsi per uno scontro.»
«Dei onnipotenti!» sibilò Quadrato, abbassando lo sguardo sulle dita che avevano preso a tremare.
"Sta accadendo tutto troppo in fretta. Potrebbe essere già morta, per quel che ne so! No, no... Non le permetterò di morire così, non quando è sotto la mia tutela! Però, se Taurino la trova..."
Rabbrividì e incitò il cavallo con un comando secco, ignorando i richiami allarmati di Ennio. I suoi pensieri si erano ormai ridotti a un groviglio inestricabile di paura, rabbia e sete di vendetta, perciò fu l'istinto a guidarlo verso la fattoria di Taros. Non avrebbe augurato neanche al proprio peggior nemico di finire tra le mani di un uomo crudele come Taurino, che amava esercitare la propria forza sugli inermi. Più di una volta lo aveva visto affondare la spada nel petto di nemici che si erano già arresi e violentare donne che chiedevano pietà: Nipias sarebbe stata una vittima perfetta.
Quando raggiunse la cima della collina la pioggia si era trasformata in un violento acquazzone e aveva spento le fiamme che avevano divorato la fattoria riducendola a un rudere annerito dal fumo; Marco smontò con il cuore in tumulto, aggirandosi tra i corpi di Romani e Piceni con gambe malferme: ogni volta che i suoi occhi si soffermavano su un volto sconosciuto ringraziava gli dei e imprecava allo stesso tempo.
Alla fine dovette ammettere che non c'era traccia né di Nipias né di Taurino e si sentì invadere dallo sconforto. Rimase immobile sotto il cielo in tempesta per quelle che gli parvero ore, mentre l'acqua gli incollava i capelli alla fronte e si insinuava sotto le sue vesti.
«Che strage! Quanti dei nostri pensi siano morti?»
In qualche modo Ennio era riuscito a non farsi disarcionare e a tenergli dietro; ora osservava con un vago senso di irrequietezza le rovine e i cadaveri.
Marco non rispose, ma gli permise di trascinarlo all'interno dell'unica stanza il cui tetto era stato risparmiato dall'incendio e lo vide ingegnarsi per accendere un fuoco.
«È inutile, la legna è umida!» si scoprì a dire, con aria assente.
Ennio gettò via l'acciarino, stizzito:
«Beh, almeno togliti quella tunica bagnata, per tutti gli dei! Se ti ammali non sarai d'aiuto a nessuno!»
L'uomo appoggiò la testa contro la superficie ruvida e fredda del muro con un sorriso triste:
«Ho già fallito» mormorò, a voce così bassa da risultare quasi inudibile sotto al fragore della bufera. «Nipias è scomparsa, i suoi compagni giacciono a pezzi qui fuori... Probabilmente Taurino l'ha già portata all'accampamento e la starà torturando per estorcerle la confessione di crimini inesistenti, compreso il mio presunto tradimento. Maledizione, è come se fosse già morta! E su noi due pende una condanna altrettanto certa!»
Il ragazzo aprì bocca per ribattere, ma fu interrotto da un movimento furtivo che colse appena oltre la soglia della stanza; subito Marco si portò la mano alla bocca per fargli cenno di tacere e si avvicinò cautamente alla porta.
Poi il cipiglio severo si stemperò in un sospiro di sollievo:
«Vieni avanti, vecchia, non ti faremo del male!»
La donna che l'aveva condotto da Taros pochi giorni prima – gli sembrava che si chiamasse Daiana, o qualcosa di simile – tremava da capo a piedi e appena lo riconobbe scoppiò a singhiozzare.
Borbottava un fiume di parole in lingua picena, ma il pianto incontrollato gli impediva di coglierne il senso; riuscì solo ad afferrare il nome di Nipias, ripetuto più volte come una cantilena.
Un moto di speranza lo colpì in pieno petto, causandogli un male fisico:
«Dimmi dov'è!»
Sono emersa ora (a fatica) da tre giorni di pranzi e cene e ho trovato un attimo per pubblicare questo capitolo, interamente occupato dalle interazioni tra Marco e Ennio.
Come ha fatto Quadrato a capire che l'altro era un orfano? Beh, perché Ennio ha un solo nome e perciò non appartiene a nessuna gens. E Marco sa bene cosa significhi non avere una famiglia, come scopriremo poi...
Come stanno andando le vostre vacanze? Io torno ad abbuffarmi, auguri! 😝😂❤️
Crilu
P. S. Spero che vi piacciano la nuova cover e i banner, tutto merito di Skadegladje — io sono rimasta letteralmente senza parole quando li ho visti 😍😍😝
P.P.S. Questa storia partecipa al Concorso Plump Words 2019, indetto da SentencesPower 😊😊😊
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