Capitolo IX
Nipias si stiracchiò sotto i raggi tiepidi dell'alba e socchiudendo gli occhi vide che il cielo stava velocemente virando verso la luce rosata del mattino. Ridacchiò imbarazzata nel sentire le proteste del suo corpo indolenzito e d'istinto rotolò di lato per rifugiarsi tra le braccia di Marco, che l'aveva svegliata più volte nelle ultime ore, amandola con un'intensità che ora, alla luce del giorno, la faceva arrossire.
C'erano stati momenti in cui le era parso di vedere un lampo di dolore negli occhi dell'uomo: prima di addormentarsi l'ultima volta, Nipias lo aveva sentito inspirare a fondo il profumo dei suoi capelli.
Si tirò a sedere sul giaciglio improvvisato, sorpresa perché il Romano non si vedeva da nessuna parte.
"Calma" si disse, guardandosi intorno con un sorriso nervoso. "Di certo è qui!"
Ma per terra c'era solo una tunica e la ragazza rabbrividì, perché l'umidità delle ultime ore notturne l'aveva bagnata; cercando un panno asciutto con cui coprirsi, le sue mani incontrarono un freddo oggetto metallico. Adagiata sulla sua veste, la moneta di bronzo che Marco era solito portare al collo emanava un tenue brillio: Nipias la prese tra due dita, sollevandola a livello dei suoi occhi e osservandola incredula.
Notò distrattamente ogni piccolo dettaglio del dischetto di bronzo – la faccia di un Romano sconosciuto, le scritte in latino, il piccolo graffio lungo la parte inferiore del bordo – ma i suoi pensieri erano molto lontani da lì.
Mentre giacevano l'uno a fianco all'altro, ad un tratto Marco le aveva chiesto cosa ne fosse stato di Ennio e lei gli aveva raccontato a fatica di come avesse nascosto il suo corpo non lontano dall'accampamento dei ribelli, lungo le rive del Truentum...
L'intuizione finale le penetrò nel petto come una lama ghiacciata, portando con sé un vortice di vergogna e rabbia:
"Mi ha ingannato!" pensò, arricciando le labbra e stringendo la moneta nel pugno fino a incidersi la pelle con i bordi seghettati. "Mi ha usato per ottenere ciò che gli serviva, per sapere dove si trova il nostro esercito!"
Scattò in piedi, il corpo pervaso da un fuoco disumano che la faceva tremare; si vestì senza lasciar andare la moneta di bronzo, osservandola con le iridi cupi e scintillanti d'indignazione.
"Per tutti gli dèi, Romano, questa te la farò pagare!"
«Sei sicuro di ciò che dici?»
Sofo appariva visibilmente scettico e accanto a lui Russo, appena ripresosi dalle ferite subite sotto le mura di Camerino, scosse la testa con aria incredula. Marco non poteva biasimarli: nel mese e mezzo in cui avevano messo a ferro e fuoco il territorio di Ascoli non si erano mai imbattuti in grandi gruppi di ribelli. La naturale conclusione era che si trattasse di briganti male armati e senza organizzazione che si nascondevano tra le montagne. Nipias, però, gli aveva raccontato una storia diversa.
«Sono in molti, comandante» proseguì, seguendo con un dito il percorso del Truentum segnato sulla mappa. «Sono scesi dalle montagne quando Camerino è caduta e molti guerrieri piceni e camerti si sono dati alla fuga: ormai contano un gran numero di uomini disposti a tutto pur di vederci sconfitti. Uomini che non hanno niente da perdere.»
"Non come me!" pensò, ma impedì all'immagine di Nipias di infilarsi tra i suoi pensieri. Tutta la sua attenzione doveva rimanere sul console, per anticipare domande pericolose che potevano costargli la vita.
«Si trovano da qualche parte nei pressi della città, lungo le rive del fiume: abbastanza lontani e nascosti da non poter essere intercettati dai nostri esploratori, ma anche abbastanza vicini ad Ascoli per potersi rifornire di viveri e informazioni.»
«Questo restringe il campo» mormorò Russo, chinandosi anche lui sulla linea sinuosa del Truentum; la sua voce acuta e annoiata strideva con il corpo robusto e massiccio e con i lineamenti grossolani.
Quel console sembrava vivere solo per le guerre che combatteva al servizio di Roma e per la gloria che ne derivava; tuttavia c'era qualcosa, nel fondo dei suoi occhi neri, che rivelava la sua profonda avidità.
Sì, Appio Claudio Russo era un uomo da cui diffidare e Marco aveva deciso subito che non gli piaceva:
"In realtà" si era ritrovato a pensare. "Ci sono ben poche cose che mi piacciono, nel Senato romano."
Si sentiva stanco come se non dormisse da giorni e vecchio, molto più vecchio della sua età. Osservò i due consoli chini a studiare un piano d'attacco che snidasse i Piceni dal loro covo e gli sembrarono due uccelli rapaci: avevano il ghigno soddisfatto di chi ha incastrato la propria preda e una certa superbia nel portamento e nel tono della voce che lui non avrebbe mai posseduto.
Neanche la più fine tunica di porpora avrebbe potuto cambiare questo fatto.
Improvvisamente gli sembrò che un grande peso si fosse sollevato dalla sua anima e non poté impedirsi di sollevare gli angoli delle labbra in un sorriso speranzoso:
"Un sacrificio, l'ultimo, per sistemare le cose e salvare la donna che amo. Poi andrà tutto bene..."
Sebbene il mondo di Marco fosse stato sconvolto da quella campagna militare e nulla gli sembrasse più uguale a prima, la profonda meraviglia e l'istintivo timore che aveva sempre provato davanti alle schiere dell'esercito romano erano rimasti immutati. Si era appartato su un colle solitario per analizzare con tranquillità i suoi pensieri, dato che la preoccupazione per Nipias minacciava di soffocarlo.
"Avrà colto l'avvertimento? Starà lontana dai ribelli, dopo ciò che è accaduto a Deianna? Conoscendola, non credo..."
Da lì i soldati romani sembravano un grasso serpente rosso e grigio che sfilava lento attraverso la campagna: si erano messi in marcia il giorno precedente e la notizia, Marco ne era sicuro, li aveva preceduti presso l'accampamento dei Piceni volando più veloce degli stormi di uccelli che in quel momento solcavano il cielo, appena rischiarati dai primi raggi dell'alba.
Avvertì il pericolo mentre il suo sguardo era ancora assorto a seguire con una punta d'invidia il profilo scuro degli uccelli lungo l'orizzonte, tuttavia frenò l'istinto di lottare che aveva affinato per tanti anni e si girò lentamente verso Nipias.
Lanciò un'occhiata veloce alla freccia puntata contro il suo petto e sorrise:
«Facciamo progressi. Potresti uccidermi facilmente, ora.»
«È questa la mia intenzione!» rispose lei, a voce bassissima, incapace però di lasciar andare la corda dell'arco.
Il Romano sussultò quando vide brillare la sua moneta tra i lacci della tunica della ragazza e istintivamente sfregò le dita sul punto in cui aveva avvertito per anni il peso di quello strano ciondolo.
«Sai perché te l'ho lasciata?»
Le labbra di Nipias fremettero per l'indignazione:
«Sì. Hai pensato di pagarmi come una puttana qualunque, bastardo di un Romano! Pensate di poter conquistare o comprare qualsiasi cosa!»
«Come puoi pensare una cosa simile?» ruggì lui, incredulo. Provò a raggiungerla, ma lei strinse più saldamente la presa sull'arco, intimandogli con lo sguardo di non avvicinarsi oltre.
«Era un pegno, la promessa che sarei tornato a prenderti dopo che avevo sistemato ogni cosa!»
«Sterminando il mio popolo? È così che intendi ripagare la mia fiducia? Mi hai tradito!»
«Perché ti amo» rispose Marco, con un sorriso triste. «Ti amo così tanto che non voglio vederti fatta a pezzi da questa guerra: preferisco subire il tuo odio che piangerti, Nipias. Roma vincerà, in un modo o nell'altro e noi possiamo solo limitare i danni... Per tutti gli dèi, non fingere di non saperlo!»
Trascorsero lunghi e penosi minuti di silenzio, in cui quell'amara confessione aleggiò nell'aria insieme al rumore lontano dell'esercito in marcia.
«Se mi ami... Se davvero mi ami...» soffiò Nipias, e l'arco tremò leggermente tra le sue mani.
«Non combattere la mia gente. Questo è l'unico pegno che accetterò da te.»
Il Romano scosse la testa:
«Non sai ciò che dici! Sarei un disertore, ricercato in tutto il territorio romano: che vita sarebbe, trascorsa a nasconderci nell'ombra?»
«Non me ne importerebbe! Marco, ti prego, andiamo via, andiamo dove Roma non potrà mai raggiungerci!»
Lui si lasciò sfuggire una risata divertita: l'ingenuità che a tratti emergeva dal fondo dell'anima di Nipias non cessava mai di incantarlo.
«Un luogo del genere non esiste, amore mio. Roma è ovunque. E poi, dimmi, saresti in grado di vivere in esilio, così lontana dalla tua terra? Accetta ciò che ho da offrirti: le mie ricchezze, il mio cuore... E soprattutto la protezione del mio nome, che ti terrà al riparo dalle conseguenze della guerra contro Ascoli.»
«Parli come se aveste già vinto!» ringhiò Nipias, ostile. «Ma i Piceni non si arrenderanno così facilmente: domani potreste anche essere tutti uccisi!»
«Se ciò accadesse, mi piangeresti?»
Un'altra lunga pausa di silenzio, ancora più teso e fragile.
«Sì» mormorò infine la ragazza, a denti stretti. «Dannazione, sì!»
«Allora perché ti ostini a rimanere cieca davanti alla soluzione più semplice?»
Nipias storse le labbra in un ringhio amaro:
«Perché non è la soluzione giusta. E mentre i miei compagni si trasformano in bestie esasperate e incattivite dalla guerra, io non posso dimenticare perché siamo scesi in battaglia contro di voi, non posso dimenticare cosa mi stai chiedendo in cambio del tuo amore, Marco. La mia libertà non può essere oggetto di baratto.»
«Qual è, allora, la soluzione giusta per te? Uccidermi? È davvero quello che vuoi?»
La ragazza abbassò lo sguardo sull'arco, quasi stupita nel vedere la freccia ancora puntata su di lui.
«No» mormorò, rilassando i muscoli delle spalle e abbassando l'arma. «Te lo chiedo un'ultima volta: non prendere parte a questo scontro, non alzare la spada contro i miei concittadini. Vieni con me...»
Marco avrebbe fatto di tutto per cancellare dal viso di Nipias lo sconforto e la triste consapevolezza che vi leggeva in quel momento: ma un guizzo dell'antica ostinazione gli impedì di aprire bocca e di rinunciare del tutto all'onore dell'armatura che indossava.
Il soldato Romano e la ragazza Picena rimasero ad osservarsi a lungo, consapevoli che in quel momento i loro destini si separavano per non intrecciarsi mai più... A meno che uno di loro, nella furia della battaglia imminente, non avesse reciso il filo sottile che teneva l'altro ancorato alla vita.
Mentre le ombre della notte tremolavano e impallidivano sotto i raggi del sole Nipias arretrò lentamente nella boscaglia senza mai voltare le spalle allo sguardo insondabile di Quadrato, figura immobile stagliata nella luce dorata del mattino.
"Ti ricorderò così" si disse, imponendosi di non piangere. "Come un sogno in cui ho creduto troppo a lungo."
Ok, il capitolo manca TOTALMENTE di revisione, mi si stanno chiudendo gli occhi dopo una giornata passata sui libri e tristemente non riesco a tirar fuori nulla di meglio. 😭😭😭
Quando avrò un attimo di respiro (... mmmm, vediamo, ad Agosto dell'anno prossimo, forse?) riprenderò in mano questo capitolo e cercherò di dargli un senso.
Enjoy ❤️
Crilu
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