Capitolo I
"Baby, you have to leave me,
Don't want you to try to love me
No, I know I'm not the person you're looking for
Cause it's right, I have to say goodbye"
(Cause it's right, Nico Bruno)
Ascoli Piceno, 268 a.C.
Le due donne procedevano a fatica tra i banchi dei mercanti, dato che quella mattina sembrava che tutta la città di Ascoli si fosse riversata nella piazza.
Tuttavia in pochi prestavano attenzione alle merci esposte: la maggior parte degli uomini si accalcava attorno a un oratore che da un palco improvvisato si rivolgeva con grande enfasi al suo pubblico.
«Cittadini di Ascoli, fratelli miei, ascoltate! Questa città fu fondata dal sangue e dal valore di uomini come voi, guerrieri temibili che imbracciavano le armi ogni volta che un nuovo, crudele nemico arrivava a minacciare le loro terre e le loro famiglie!
Molti eserciti, da ogni dove, sono scesi nelle nostre vallate convinti di trovare un docile popolo di agricoltori e mercanti che avrebbero sottomesso con facilità; ma ognuno di essi è stato fermato dai nostri scudi, vinto dalle nostre lance, messo in fuga dai nostri canti di vittoria!»
L'uomo fece una pausa e le labbra lasciarono intravedere un sorriso mentre godeva dell'atmosfera vibrante che le sue parole avevano gettato sulla piazza: pareva di vedere aleggiare sopra la città gli spettri delle generazioni passate e quasi si poteva sentire il rumore lontano dei tamburi di guerra.
Tutti i presenti rimasero in silenzio, ricordando avvenimenti che nessuno di loro aveva conosciuto se non nei racconti dei cantastorie, rievocando i tempi perduti degli eroi, quando gli dei camminavano in mezzo ai mortali.
«Ebbene, un nuovo nemico si innalza davanti a noi. Un nemico potente, che tutti ritengono invincibile. Sì, fratelli, è di Roma che parlo: la grande, avida Roma, che ha volto lo sguardo alle fertili terre oltre le montagne e osserva il nostro mare e i nostri commerci con occhi bramosi!»
L'oratore dovette gridare per sovrastare il brusio che si sollevò tra gli astanti:
«So cosa state pensando: Roma ci è sempre stata amica e i nostri popoli sono legati da patti di fiducia sanciti davanti agli altari.
Patti sacri, patti inscindibili.
Lo so, lo so... Quanti di voi sono scesi in guerra per onorare i nostri accordi con i Romani? Quanti sono caduti, quanti tornarono a casa mutilati nella carne e nello spirito? Molti, come me, avranno combattuto i Senoni, gli Etruschi e i Sanniti vent'anni or sono. E quello fu un terribile, terribile sbaglio! Sì, perché essendosi ormai sbarazzata di ogni nemico che le potesse essere pari, ormai sicura nei suoi domini e libera di espandersi a nord, a sud, a est e sul mare a ovest... Roma è diventata inarrestabile!»
Il volto dell'uomo venne distorto da una smorfia amara e la voce si fece minacciosa come il brontolio di un tuono:
«Ha conquistato i Pretuzii, nel sud; ha sconfitto i Senoni a nord – e di nuovo, senza il nostro aiuto non avrebbe ottenuto una tale, definitiva vittoria.
Devo forse ricordarvi cosa accadde a Taranto? Devo ricordarvi cosa è accaduto alla nostra stessa gente, non più di un anno fa, quando osò alzare la testa contro Roma?»
Il silenzio diventò teso e cupo quando la folla udì l'accenno alla rivolta dell'anno precedente: il tentativo dei Piceni di affermare senza ambiguità la loro indipendenza da Roma era stato brutalmente soffocato nel sangue dai consoli.
«Riflettete» concluse l'oratore con fare saggio e benevolente. «Chiedetevi come volete vivere e soprattutto, come volete morire: da uomini liberi o da schiavi?»
Appena scese dal palco l'uomo fu attorniato da una folta schiera di giovani infiammati dal suo discorso.
La più giovane tra le due donne, una ragazza che teneva nascosti i lunghi capelli color mogano sotto il cappuccio del mantello, cercò di allontanarsi dalla vecchia che la scortava; ma l'altra, con la saggezza dei suoi sessant'anni, l'afferrò saldamente per un braccio.
«Così mi fai male, balia!» si lagnò la ragazza. «Lasciami, non sono una bambina!»
«Oh, sì che lo sei!» borbottò l'anziana, rifilandole per buona misura anche uno scappellotto sulla testa. «Sei una bambina con la testa piena di sciocchezze sulla guerra e sull'onore! In nome di Pico, l'ho sempre detto che Taros ti ha messo in testa strane idee, permettendoti di andare in giro conciata come un maschio!»
Le guance paffute e rugose si aprirono in un sorriso materno e la sua presa si fece più leggera:
«Nipias, piccola mia... Sei la luce dei miei occhi e la gioia di tuo padre; se la tua povera madre fosse qui sarebbe orgogliosa di vedere che splendida ragazza sei diventata! Alla tua età dovresti pensare solo a trovare un buon marito e a mettere al mondo bambini forti e sani: hai già superato i vent'anni, fra non molto ti lascerai alle spalle il fiore della prima giovinezza e ti sarà difficile sposarti! Dai retta a me, lascia la guerra e la morte agli uomini!»
«Non posso, Deianna!» mormorò Nipias, rinunciando a malincuore a seguire l'oratore. «La nostra gente soffre sotto il giogo dei Romani che si fa ogni giorno più stretto. È solo questione di tempo prima che vengano a conquistarci! Hai sentito quell'uomo: io non voglio morire schiava!»
«Oh, bambina!» esclamò la vecchia balia, sentendo il cuore stringersi davanti a tanto ardore.
Ventidue anni prima aveva osservato il suo unico figlio partire per la guerra pieno di vita, fierezza e grandi ideali; ricordava ancora il profumo caldo della sua pelle quando si era chinato ad asciugarle le lacrime e il suono cristallino della sua risata.
Era stato Taros a riportarle il corpo senza vita del ragazzo e per questo, quando la moglie era spirata nel dare alla luce un maschio nato già morto, Deianna si era offerta di aiutarlo a tirar su quella bambina vivace e curiosa. E ora tremava nel vedere negli occhi della ragazza che amava come una figlia la stessa luce pericolosa che aveva portato il suo Laers a imbracciare la lancia e lo scudo.
«La morte verrà per tutti!» ringhiò, con tono duro e voce malferma. «Schiavi e padroni, Piceni e Romani, vecchi e giovani. Non affrettarti ad incontrare il tuo destino prima del tempo, perché non c'è onore nell'avventatezza, né gioia nel sacrificio sconsiderato. E la guerra è solo il gioco dei potenti che muovono i loro eserciti sulle terre della povera gente come noi, niente più di questo...»
Nipias fu colpita dal dolore che lesse nelle iridi scure della vecchia e si morse le labbra per non replicare: voleva bene a Deianna, ma era stata educata dal padre nel rispetto del suo popolo e della sua città.
Per lei venivano prima di qualsiasi altra cosa e odiava i Romani dal profondo del cuore, poiché avevano messo a rischio la vita di suo padre e di molti altri Piceni nella battaglia del Sentino e ora li ripagavano con ferocia e superbia.
"Oh, quanto vorrei essere nata uomo!" pensò, mentre tornava con Deianna alla fattoria. "Non dovrei rendere conto a nessuno delle mie decisioni e sarei libera di salire tra le montagne, dove i ribelli si nascondono!"
Detestava il suo corpo minuto, quel seno appena accennato che sanciva il divieto di portare armi, quelle mani piccole e delicate destinate ai quieti lavori di una donna. Al contrario di ciò che Deianna e Taros speravano, Nipias aborriva anche l'idea del matrimonio. Nel suo intimo covava un misto di invidia e sospetto nei confronti degli uomini e non provava alcun desiderio di giacere con uno di loro e soffrire i dolori del parto; era ancora vivo in lei il ricordo delle ultime urla di sua madre, stemperatesi nel silenzio oscuro di una morte atroce.
"No, io non mi sposerò mai!" si disse, decisa. Il discorso dell'oratore aveva incendiato il suo animo e nulla, neanche l'affetto sconfinato che provava per il suo vecchio padre e per la dolce Deianna, avrebbe potuto distoglierla dal suo proposito.
"Devo solo attendere la giusta occasione..."
Entrò in punta di piedi nella camera da letto di suo padre, come al solito avvolta nella penombra. Da quando la malattia aveva iniziato a intaccare la sua vista, infatti, Taros affermava che preferiva vivere al buio, perciò Nipias si assicurava che le scuri fossero sempre ben chiuse prima di allontanarsi.
Fu accolta da un attacco di tosse che fece fremere le coperte in cui il vecchio si era avvolto, ma quando riuscì a intravedere il volto del padre la ragazza notò che gli occhi brillavano di un'insolita vitalità.
«Sei tornata!» mormorò Taros con un sollievo tale da allarmarla.
«È successo qualcosa mentre eravamo via?»
«È passato Raetius. Ti cercava.»
Un silenzio ostile scese nella stanza mentre Nipias si chinava a riattizzare il fuoco che ancora covava sotto la cenere.
Raetius era l'unico ragazzo di Ascoli che Nipias avesse mai considerato come un possibile marito: ad unirli erano la profonda avversione nei confronti dei Romani e la sete di avventure – le stesse cose che lo rendevano inviso a Taros. Molti credevano che Raetius fosse morto nella ribellione dell'anno precedente e dovevano pensarlo anche i Romani, dato che avevano smesso di cercarlo; in realtà il ragazzo si nascondeva da mesi nelle campagne picene insieme ad altri fuorilegge, sopravvivendo grazie alla benevolenza dei contadini.
«Cosa voleva?» domandò Nipias, nascondendo l'eccitazione sotto un tono neutro.
"Forse era venuto per propormi di unirmi a loro! Forse ha bisogno di me!"
Raetius, a differenza degli altri uomini, aveva sempre lodato la sua bravura con l'arco; e sebbene non fosse certa che l'affetto che li legava potesse essere chiamato amore, Nipias l'avrebbe seguito volentieri non appena gliel'avesse chiesto.
«Cibo e un fuoco vicino a cui riposare un poco.» replicò Taros, tentando di mettersi seduto sul letto. «Lui e i suoi compagni mi sono sembrati molto fiduciosi, nonostante patiscano da mesi il freddo e la fame!»
La ragazza esitò giusto un istante, indecisa se riferirgli i discorsi uditi al mercato, poi decise di tacere: se suo padre avesse colto il sentore di una nuova rivolta non le avrebbe più permesso di lasciare la fattoria. Osservò con tenerezza filiale gli occhi appannati, i capelli divenuti bianchi prima del tempo e le mani, scosse da un tremito costante che Taros non riusciva più a nascondere: il medico che veniva a trovarlo una volta al mese le aveva confidato che non gli restava più molto tempo.
«Vi voglio bene, padre» mormorò d'istinto, avvicinandosi e chinandosi a lasciargli un bacio sulla fronte aggrottata.
«Anch'io, Nipias» borbottò il vecchio, sorpreso.
Poi, proprio quando stava per lasciare la stanza, la giovane si sentì trattenere per un polso.
«Io ho combattuto con i Romani...»
«Lo so, padre.»
«... Per questo so che non possiamo batterli.»
Nipias si irrigidì, delusa e incredula:
«Non possiamo neanche arrenderci, però!» replicò con durezza, allontanandosi a grandi passi.
Il giorno dopo Taros fu svegliato dalle urla angosciate di Deianna e seppe cosa era accaduto prima ancora che la donna si precipitasse in lacrime nella sua stanza.
«Se ne è andata, vero?»
La balia stringeva tra le dita alcune ciocche di capelli scuri e le osservava come se fossero qualcosa di mostruoso:
«Si è tagliata i capelli» mormorò, sgomenta. «Ed è andata a combattere con quelle canaglie... Oh, Taros!
Cosa faremo adesso? La uccideranno! O peggio, se i Romani dovessero accorgersi che è una donna... Per tutti gli dei, no!»
«Zitta!» ordinò il vecchio, stringendo le coperte fino a farsi sbiancare le nocche.
Sentiva sulle fragili spalle tutto il peso della scelta fatta da sua figlia: era stato lui a educarla come un maschio, orgoglioso della sua intelligenza e della sua abilità e cieco ai pericoli che queste comportavano.
"Se dovesse morire... No, non lo permetterò!"
«Vai in città e portami inchiostro e papiro» ordinò con decisione.
«È tempo di riscuotere un vecchio debito!»
Eh sì, abbiamo fatto un bel salto in avanti rispetto al prologo! E purtroppo, le alleanze un tempo salde si sono rovesciate...
A questo proposito, ho una precisazione da fare sulle date: gli storici affermano che la Battaglia del Sentino è avvenuta tra il 295 e il 290 a.C.; io ho scelto quest'ultima data per non sballare troppo le età dei protagonisti.
Le rivolte del 269 e del 268 a.C. vengono considerate come parte di un unico conflitto, durato due anni, che prende il nome di "Guerra Picentina".
I Pretuzii erano una popolazione dell'odierno Abruzzo e i Senoni — beh, già li conoscete 😂😂😂 vennero sconfitti definitivamente dai Romani grazie all'appoggio dei Piceni, che gli permisero di attraversare i loro territori.
Questa volta ho scelto una canzone molto più intima e "romantica" delle altre per aprire il primo capitolo, perché questi due testoni sono la coppia più dolce e divertente su cui abbia mai scritto 😍😂😂
Nel prossimo capitolo ritroveremo anche Marco, che non sarà per nulla contento dell'intraprendenza di Nipias 😝😍
Enjoy ❤️
Crilu
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