Capitolo 8

https://youtu.be/F-udZS--Bj4

Dopo una notte intera a girarmi tra le lenzuola perché non riuscivo a prendere sonno, un messaggio aveva già programmato la mia giornata di oggi. "Domani passo a prenderti alle 9. Andiamo al corso come programmato."


Tommaso la sera prima mi aveva riaccompagnata a casa senza proferire parola sull'accaduto e senza confermare o meno la nostra partenza per l'indomani per farmi presenziare al corso a Meletino. Con questo messaggio, sicuramente dopo aver discusso ampiamente con mio padre e con Massimo, confermava la nostra partenza e soprattutto l'idea che da lì fino alla cattura del killer, avrei goduto della sua costante compagnia.


Ho dormito malissimo, mille incubi mi hanno torturato tutta la notte e ogni minimo rumore mi svegliava di soprassalto. L'idea che il killer conosca i miei spostamenti, i posti che frequento, dove lavoro, dove mi trovo mi desta non poche preoccupazioni perché mi fa credere che potrebbe succedere qualcosa di brutto da un momento all'altro. Ho uno stalker alle calcagna. Spesso ho sentito mio padre entrare in camera e controllare che fosse tutto a posto, che fossi lì e che stessi bene ma non possiamo continuare così. Spero che questi due giorni di mia assenza serviranno a chiudere il caso e a catturare questo criminale. La poca luce che entra nella mia stanza mi fa intendere che il sole non è ancora sorto e il silenzio in casa mi accompagna nelle mie riflessioni. Mi avvicino alla finestra e accompagno la tenda verso destra per ammirare lo scenario di fronte ai miei occhi.


Sono spettatrice di un'alba fantastica, con il cielo che prima dell'arrivo del sole si tinge sempre di colori fantastici. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso e quando inizi così una giornata non puoi non essere contenta, anche se sei disperata. Sento l'esigenza di es-sere rapita da un simile spettacolo in grado di rigenerare cuore e spirito, per tornare a respirare regolare... e funziona. Quello che mi sorprende di me stessa in questi giorni, è che continuo sempre e comunque a provare un forte senso di gratitudine ogni volta che guardo fuori dalla finestra. Sono perfettamente consapevole che tutto è un disastro, che tutto sia complicato e imprevedibile ma sono fermamente convinta che sia perfetto così.


Indosso la mia vestaglia e realizzo che per iniziare questa lunga giornata un bagno caldo è quello di cui ho bisogno per rigenerarmi e caricarmi. Raccolgo i capelli dietro la nuca e li blocco con un bastoncino che, per una volta, sembra proprio uno di quelli per capelli e non una matita del mio ufficio. Inciampo quasi sugli appunti posati a terra, impilati anche se non perfettamente sovrapposti con un evidenziatore posato su di essi. Ho lavorato su qualcosa in questi giorni che poi ho abbandonato e dimenticato.


Mi lascio cullare dall'acqua bollente sperando che l'acqua lavi via i miei cattivi pensieri cercando di ripassare a mente le parole e gli argomenti per il corso di oggi. Ho già preparato i miei vestiti e anche il borsone con tutto il necessario per questi due giorni fuori casa. Dovrei avere un entusiasmo diverso e adesso invece mi sento quasi triste, preoccupata. Non mi senti-vo così da tempo ma sono determinata a cambiare rotta. 

Adesso la luce del sole entra prepotentemente nella mia stanza e inizia a filtrare dalle tapparelle della finestra. Mi siedo un attimo con le gambe penzoloni giù dal materasso e lancio un'occhiata rapida al mio cellulare sul comodino. Scorro rapidamente tra le notifiche in cerca di qualche messaggio, ma non trovando nulla finisco di vestirmi.

Fuori dalla mia finestra intravedo il capitano. Insieme al cappotto primaverile blu che indossa, porta con sé, sulla spalla, anche una borsa da lavoro in pelle. Sotto il cappotto è stranamente elegante: indossa infatti un completo grigio composto da giacca e pantaloni e una camicia blu abbottonata fino al collo. Indossa anche degli occhiali da sole, vista la giornata. Non sembra avere particolare fretta nel camminare, diretto verso la mia porta d'ingresso. In quel momento una telefonata lo costringe a fermarsi nel bel mezzo del percorso: guarda lo schermo del cellulare alzando momentaneamente gli occhiali da sole e risponde. Ciò che dice non è udibile, ma resta il fatto che, mentre parla, distrattamente si guarda intorno e procede di qualche altro passo più lento, gettando gli occhi in alto verso la mia finestra e così individua la mia figura. Motivo per cui, quando chiude la chiamata di fatto breve, cerca di avvicinarsi forse in maniera un po' indecisa e titubante. L'espressione algida, l'aspetto impeccabile e curato, i capelli ordinati, la postura piuttosto tesa e composta, lo renderebbero riconoscibile tra tutti quelli che conosco.


Scendo le scale con tutto l'occorrente e noto che i miei non sono in casa. Vado ad aprire la porta anche se non ha ancora nessuno ha suonato al campanello. «Buongiorno Adele, sono leggermente in anticipo» dice con tono di scuse. «Buongiorno a te, sono pronta, non preoccuparti» replico tranquillizzandolo mentre lo invito ad accomodarsi. «Se vuoi possiamo già partire» risponde declinando elegantemente l'invito a entrare. Annuisco e chiudo la porta dietro di me assicurandomi che sia tutto chiuso. 


Noto che anche lui ha davvero poco sonno addosso, probabilmente perché anche questa notte ha lavorato a causa mia o semplicemente soffre d'insonnia. I segni della stanchezza, benché evi-denti, passano efficacemente in secondo piano perché il suo carattere e atteggiamento scongiurano o evitano come sempre qualsiasi domanda.

«Prendiamoci un attimo di pausa e ordiniamo la co-lazione prima di passare all'ordine del giorno» propone come fosse una riunione ufficiale e importante. Arrivati al bar vicino casa e dopo esserci accomodati in un tavolo al sole cerca di attirare l'attenzione di un cameriere alzando un poco il braccio. Mentre si accosta al tavolo ripone gli occhiali da sole, come è sua abitudine, nella tasca interna del soprabito: i suoi occhi piuttosto stanchi non cancellano però la luce che ha dentro. Lui non ha tutto il tempo del mondo, anzi so-no giornate intense le sue in caserma, ma in apparenza sembra quasi condividere con me la calma di chi non ha null'altro da fare. «Caffè doppio e amaro» ordina al cameriere che prende appunti sull'ordinazione nel suo piccolo taccuino stropicciato. «Latte macchiato per me, grazie» ordino dopo di lui. Non appena il ragazzo si allontana dal tavolo incrociamo gli sguardi. «Questo corso ti servirà a staccare la spina e a non pensare al casino che stiamo lasciando qui. Io vengo con te per far sì che non ci siano spiacevoli imprevisti...» precisa con molta fermezza senza accennare ad alcun sorriso per rassicurarmi. «E per far stare tranquillo mio padre...» continuo la sua frase rubandogli forse le parole di bocca, e si lascia andare a un sorriso che mi rasserena improvvisamente.


Rimaniamo in silenzio per diverso tempo mentre lascio vagare continuamente lo sguardo dal palmare al vetro che da sulla strada e viceversa, controllando i miei appunti, sperando di non ricevere chiamate indesiderate e vagando tra i social come un fantasma. Sto per ricontrollare per l'ennesima volta quando Tommaso appoggia la sua mano sulla mia, guardandomi dritto negli occhi con un sorriso incoraggiante. «Andrà tutto bene» mormora.


I miei capelli sono raccolti in una coda morbida e bassa che lascia sfuggire in avanti le ciocche più corte che quindi incorniciano il viso. Tommaso si avvicina con la mano per sistemarne una dietro il mio orecchio, ma questo gesto improvviso anche per lui, lo fa indietreggiare subito dopo. Io resto con lo sguardo rivolto verso il basso, un po' arrossato, e la fronte ancora corrugata a causa dei pensieri che mi stanno attraversando la mente. Di tanto in tanto espiro dal naso lentamente, ma poi inizio a canticchiare tra me e me un motivetto che mi cantava mio padre quando ero bambina e questo mi fa distendere la fronte e l'espressione si fa in qualche modo sorridente mentre canticchio e non riesco a trattenermi dal tamburellare le dita a tempo sulla mia coscia. Finita la silenziosa colazione dopo esserci goduti brevemente il sole, ci mettiamo in macchina per raggiungere la stazione dei treni dove lasceremo l'auto, nella speranza di non essere seguiti, e iniziamo il nostro viaggio per raggiungere la città dove si terrà il corso, lì affitteremo un'auto per spostarci.


Camminando sulla strada per la stazione mi soffermo a guardare quei palazzi così alti e maestosi che di giorno sembrano usciti da un luna-park, mentre di notte si trasformano in scenari horror. Tommaso sembra ignorare questo mio stato d'animo così irrequieto ma sento il suo sguardo costantemente fisso su di me, quasi forse a controllare che non dia di matto improvvisamente.


I treni mi piacciono perché raccontano storie, le stazioni un po' meno perché raccontano addii. Questo penso prima di salire su una carrozza diretta a Meletino. Una stazione è un insieme di momenti che se ne vanno: una signora con una valigia troppo grande per far pensare a un ritorno, una ragazzina con uno zaino e un cellulare in mano che probabilmente corre dal fidanzato, un uomo d'affari, persone che partono per non tornare e altre che invece sperano di rientrare presto, ma chi va via torna davvero tutto intero? Me lo sono sempre chiesto. Siamo tutti pronti a partire, non sapendo che lasciamo pezzi di noi ovunque andiamo. E se fosse così anche con le persone? Lasciamo pezzi di noi nelle persone che viviamo e che perdiamo, non credete? I treni vanno e vengono esattamente come le persone, e come loro lasciano una scia di ricordi e odori che ci porteranno sempre a immaginarci altrove, a fare tutt'altro. Se c'è una cosa che amo sono i dettagli, quegli attimi che contraddistinguono una persona, un momento, un oggetto, un respiro. Ho sempre odiato le cose che fuggono perché sono la prima a lasciarle andar via, ho sempre odiato gli attimi che non ho vissuto, quelli che sono stati quasi troppo veloci per percepirli. Amo le cose che si fermano per un po' e mi la-sciano il tempo di respirarle, come questa sigaretta che fuma un uomo seduto su una panchina aspettando il treno. Certe attese sono riflessioni, momenti che dedichiamo a noi stessi per pensare a quello che perdiamo e a quello che invece abbiamo al nostro fianco.


Saliamo e cerco il mio posto, numero 17. Sistemo la valigia sulla cappelliera, mi siedo e metto le cuffie, guardo dal finestrino in attesa della partenza. 

https://youtu.be/o_hdSVXYQeM

Una coppia si sta salutando, lei piange mentre lui sale sul treno e si volta a ogni scalino, dal labiale credo di capire le parole di lei: "Pensami sempre", e mentre le pronuncia si porta le mani al petto. Ricordo di aver letto qualcosa su questo gesto, credo si dicesse che è istintivo soprattutto per le donne guardare la persona che amano e portarsi le mani al petto, come a dire a sé stesse che è esattamente quello il punto in cui si tiene qualcuno dentro, non più in basso né più in alto. Quello è il punto preciso in cui nascondiamo le persone che ci sono care, i ricordi che ci fanno bene e quelli che ci fanno male, tratteniamo tutto dentro in egual modo, perché tutto poi ci cambia e ci rende ciò che saremo. Un signore anziano si siede qualche fila davanti a me, ha una camicia a maniche corte e osserva dei ragazzi che parlano di una partita di calcio. Si asciuga il sudore con un fazzoletto di stoffa, uno di quei fazzoletti che mia nonna usava sempre. Avevano tutti un'iniziale sul bordo, le aveva ricamate lei per sé e anche per mio nonno, così se li avessero persi avrebbero potuto ritrovarli grazie all'iniziale. Un po' come facciamo noi oggi con le canzoni: ce le dedichiamo perché se dovessimo perderci, basterà ascoltarle per pensarsi. Come se questo potesse bastare. Ma le persone vanno via e a noi restano i ricordi di quello che sono state, di quello che abbiamo odiato e di quello che invece abbiamo amato di loro. Però i ricordi non fanno le persone, i ricordi sono solo ricordi, proprio come i treni sono solo treni: ci portano da qualche parte, in un posto che sappiamo a memoria o in un luogo che non conosciamo affatto. I treni ci cambiano esattamente come le persone, saliamo, scendiamo e siamo altro, siamo nuove esperienze, nuove idee, nuovi ricordi, e con le persone che amiamo, che perdiamo, che viviamo e poi lasciamo andare è uguale: quando se ne vanno, non siamo più gli stessi.

Una volta saliti a bordo, vedo Tommaso posare un fascicolo sul sedile accanto al suo. «Posso?» chiedo indicando la copertina giallo senape. «Certamente, ricordati che questo è anche un tuo caso, ma non pensarci troppo» mi dice mentre si sistema comodo sul suo sedile e volgendo lo sguardo verso il panorama. Lo apro con delicatezza, quasi come se potesse sgretolarsi in mano e inizio a leggere con curiosità e attenzione, essendo un fascicolo diverso da quelli che ho già in ufficio, stampandomi in mente ogni minimo dettaglio. Leggo e rileggo parecchie volte l'intero fascicolo, assicurandomi di non tralasciare nulla, ma niente di nuovo. Chiudo tutto, lo getto arresa sul sedile accanto al mio e inizio a osservare le case che mi sfrecciano velocemente davanti al naso fuori dal finestrino, rimanendo però in silenzio per tutto il resto del viaggio.


Dopo due ore raggiungiamo la nostra destinazione. Ci accoglie una stazione vuota e l'auto che Tommaso ha già prenotato e chiesto di portare proprio lì per noi. Pochi chilometri dopo raggiungiamo un casale antico, intravedo subito un bosco lì vicino. Davvero interessante come location per il corso. Ci sono fiori freschi dappertutto, grandi tappeti persiani all'interno. Sembrano infiniti. Dopo le presentazioni con i colleghi e i corsisti arrivati di buon mattino, alla reception ci consegnano le chiavi delle stanze. La mia è la numero 317. Tommaso ha provveduto a prenotare la stanza accanto alla mia, la 318 che fortunatamente era libera. Afferra le sue chiavi e si incammina verso le scale. Lo seguo a ruota, potrei perdermi quasi. Arrivati all'ultimo piano mi rendo conto esserci soltanto poche stanze, sarà il piano più prestigioso del casale. Massimo si impegna sempre così tanto per organizzare questi corsi di formazione e di solito mi segue sempre presentandomi ai colleghi come il suo "miglior trofeo", ma oggi non è con noi, c'è veramente tanto lavoro in ufficio e non poteva lasciare tutti in preda al panico.


Le nostre stanze sono una a fianco dell'altra. Tommaso mi consegna la mia chiave e aprendo la porta mi trovo davanti una scena paradisiaca: una grande vasca da bagno al centro della stanza posta di fronte a una immensa vetrata che dà sul bellissimo bosco e anche sul labirinto che avevo intravisto al nostro arrivo. Sono ancora le 11:30, posso approfittare della stanza ancora per un po'. Tommaso indietreggia e mi saluta. «Mi hanno informato che il corso inizia alle 16. Ci vediamo qui davanti qualche minuto prima. Hai una brochure col programma sul letto, a dopo» e chiude la porta. Inizio a disfare il bagaglio, osservo i magnifici ritratti in bianco e nero appesi al muro, sembrano autentici. Mi verso da bere, perché non approfittare di questo momento? Mi cambio e indosso un accappatoio sedendomi sul divanetto in veranda e ammiro il pano-rama mentre la vasca che ho scoperto nel grande bagno si riempie. Non vedo l'ora di visitare quel bosco, mi servirà fare una passeggiata immersa nella natura. Poco dopo rientro ed entro in vasca. L'impatto con l'acqua bollente è assolutamente piacevole. Accendo una musica rilassante sul mio telefono e mi appoggio allo schienale portando la testa indietro. Potrei lasciarmi andare a mille pensieri negativi ma sono qui per un motivo diverso. Ripasso velocemente a mente i miei discorsi sulla fotografia forense, sui percorsi di studio, sulle tecniche di ripresa generale della scena del crimine. 

Oggi incontrerò ragazzi entusiasti di iniziare questo percorso lavorativo e voglio essere carica e mostrargli che, nonostante diversi anni in questo settore, la voglia e la passione non scemano mai. E così vorrei che diventassero loro, appassionati, attenti, dedicati.

Esco dalla vasca e inizio a prepararmi per la presentazione del corso. Indosso un tailleur nero e una camicia bianca con la scollatura a barca. Ho lasciato i capelli sciolti per non essere troppo formale. Poco prima delle 16, come promesso, Tommaso è già davanti alla mia porta. Mi sorride lievemente nonostante la serietà, quando ci incontriamo finalmente. Trattiene un po' il respiro come se fosse indeciso su come agire, si guarda rapidamente intorno con aria forse sospettosa e una certa ansia. «Assisterò al tuo corso, sono molto curioso» mi confessa sorridendomi mentre ci dirigiamo verso le scale. «Sei serena?» mi chiede ancora. «Adesso sì, sto per conoscere giovani talentuosi ed entusiasti di fare il lavoro più affascinante del mondo, non voglio pensare ad altro» gli confesso. Annuisce per conferma quando dico di stare bene e sembra un attimo valutarmi con un'occhiata, ma niente di più. Nota però il mio entusiasmo e sospira lievemente, aggrottando la fronte per un istante.


L'atrio è pieno di ragazzi e ragazze che discutono animatamente tra di loro, leggono gli opuscoli che gli hanno consegnato all'ingresso, qualcuno è già seduto nelle prime file della sala grande. «Buona fortuna» mi sussurra Tommaso all'orecchio prima di accomodarsi in ultima fila per assistere senza togliere spazio ai corsisti. Mi accomodo sulla sedia di fronte ai ragazzi quasi tutti pronti con i loro bloc notes in mano. Dopo i saluti e una breve presentazione mi passano la parola. «Spesso gli investigatori impiegano diversi giorni per analizzare una scena di crimine o incidente e raggiungere conclusioni accurate. I fotografi forensi contribuiscono a questo processo.» Inizio così il mio discorso e continuo: «Forti capacità tecniche nell'imaging fotografico e un occhio attento ai dettagli sono fondamentali per essere un fotografo forense competente. È necessario essere in grado di regolare in modo riflessivo la vista angolare della fotocamera per acquisire immagini dettagliate con una messa a fuoco nitida. Le scene del crimine possono essere complesse e confuse. Decifrarle richiede un alto livello di organizzazione e la capacità di pensare in modo rapido e logico. A esempio, dovresti determinare rapidamente la sequenza in cui fotografare la scena. Poiché la testimonianza in tribunale potrebbe essere parte del lavoro, aiuta essere un comunicatore competente.»


Finalmente sono nel mio mondo, parlo del mio lavoro, della mia passione, della mia vita e tutti lì dentro condividono i miei stessi pensieri. Ogni tanto butto uno sguardo nelle ultime file incrociando gli occhi di Tommaso che, come uno dei corsisti, mi dedica attenzione e mi ascolta interessato. Ciò che cerco di fare è ricordare a tutti questi ragazzi appassionati e pieni d'interesse che imparare a collaborare attivamente con le forze dell'ordine è ciò che permette sempre di schierarsi dalla parte giusta.


Due ore dopo la prima parte del corso termina e l'annuncio di un piccolo rinfresco organizzato nella stanza accanto cattura l'attenzione dei corsisti che si dileguano poco dopo. «Complimenti Adele, se avranno ascoltato anche un quarto delle tue parole saranno professionisti eccellenti almeno quanto te.» Le parole di Tommaso sciolgono i nervi tesi che ho avuto fino a quel momento. «Spero che colgano la teoria il più possibile, sul campo poi è tutta un'altra storia. Si accorgeranno da soli se hanno intuito, stoffa e capacità non solo tecniche» rispondo in maniera professionale, dimenticandomi che non sto più parlando con un corsista. «Un po' come te, piena di talento, passione e vista lunga.» Mi sorride mentre con un gesto mi invita a uscire. «Sembra tutto tranquillo qui» ovviamente non mi riferisco alla natura o al corso. «Certo, ci sono io con te» mi risponde quasi presuntuoso accennando un sorriso. «Vado alla toilette» gli annuncio per evitare che mi cerchi disperato in tutto il casale non vedendomi in giro.


Annuisce e lo perdo tra la folla. I bagni sono vuoti e posso passarmi una pezza bagnata sul collo e lavarmi il viso. Era ormai da diverse settimane che non mi dedicavo così intensamente al mio lavoro, a quello che amo e che ho condiviso da sempre con mio padre e mi rendo conto che sono "scappata qui" senza confrontarmi in niente. Eppure so bene che non c'è tempo da perdere, soprattutto con i genitori. 


Ricordo quando ero piccola, d'un tratto. Lui era la mia certezza. L'uomo più forte del mondo, l'uomo più grande del mondo. Ancora oggi a ventotto anni saprei ricostruire fin nei dettagli più piccoli la forma delle sue mani. Ogni segno, ogni piega. Quelle mani dentro le quali guardavo le mie, così piccole, sparire nelle sue e ridevo, felice e meravigliata di tanta differenza. Il mio eroe. Che mi portava in spalla, mi raccontava dei misteri delle civiltà estinte e le storie dei cattivi che aveva catturato. Che mi faceva vedere le fotografie sviluppate in camera oscura, di come le immagini prendessero vita nei fogli bagnati appese ai fili sul muro, come panni stesi ad asciugare. Amavo l'odore dei prodotti chimici che usava per lo sviluppo. Ogni bottiglia, ogni vassoio, il suo vecchio timer, ogni dettaglio di quella stanza sono impressi nella mia mente e li ricordo come il posto più bello del mondo. E quelle domeniche alle giostre, dove vinceva per me tutti i giocattoli e infilava ancora e ancora quelle monete nelle giostre a ogni mio "Ancora, papà!". Nessuno era più bravo di lui. Oggi a distanza di decenni ricordo quei particolari come se fosse ieri e da lì comprendo che è iniziato il mio amore per questo lavoro, e realizzo che il tempo passa e corre l'orologio da qual-che parte del mondo, mentre il sole sorge, mentre la luna si ritira, che l'alba scalcia con i piedi per scoprire il giorno.

E così è la vita, è un ciclo.


Come quando mio padre lasciava andare il sellino della bici per insegnarmi ad andare senza rotelle e continuava a ripetermi "Sono qui accanto a te, ti tengo io" e anche se non era così perché era già lontano dietro di me, mi incoraggiava ad andare da sola. Lui sapeva che ce l'avrei fatta anche senza il suo aiuto. La sua incessante fede nel mio enorme potenziale mi dà la forza ogni giorno di mettermi in gioco. E ancora mi meraviglio quando qualcuno crede così tanto in me, quando mi si dà così tanta fiducia, che io neanche alla mia ombra darei, quasi. Questa cosa fa paura ma allo stesso tempo è qualcosa di estremamente bello. Ho il cuore e ogni muscolo del mio corpo felice. E ora mi guardo, vedo dove sono arrivata con le mie forze e l'incoraggiamento di mio padre e non posso che essere solo spudoratamente felice.


Bussano alla porta.

«Tutto bene?» è la voce preoccupata di Tommaso che attende una mia risposta, forse mi sono attardata troppo. «Sì! Arrivo» rispondo completando la mia sosta in bagno e uscendo poco dopo. «Andiamo a fare una passeggiata» sembra ordinare «è quasi il tramonto.» Apre la porta per uscire. Abbassa lo sguardo verso terra, qualcosa si è spostato quando ha aperto la porta, si china a raccogliere la busta che trova a terra, la osserva per qualche secondo tenendola nella mano sinistra, mentre con la destra chiude la porta. Resta fermo lì, qualche istante a guardare la busta che ora tiene sollevata con entrambe le mani, la avvicina al viso e la dirige in controluce. Mentre compie questo gesto alza lo sguardo sulla strada, verso destra e verso sinistra, osserva i pochi passanti, lo sguardo si riabbassa sulla busta che va ad aprire. Lo fa con cura, senza particolari espressioni sul viso mentre cerco di capire anche io.

"Mi manchi, manca sempre meno al nostro incontro."


Le parole lette lentamente da Tommaso che prova a nascondermi la visibile paura nei suoi occhi sono co-me lame per me. Pensavo davvero di poter abbandonare a casa i problemi che mi inseguono da settimane, ormai? Sono stata una stupida, non dovevo venire. Alzo gli occhi in preda al pianto e osservo le piante le cui chiome ondeggiano lentamente al vento. Mi concedo di sentire sulla pelle del viso quella brezza tiepida, a occhi chiusi. Non era vero che il mondo stava andando velocissimo: ero io che stavo correndo all'impazzata. Il mondo era fermo, anzi no, danzava lietamente con una calma millenaria mentre il mio mondo cadeva a pezzi.


«Sarà meglio rientrare e chiudere una volta per tutte questo caso» mi annuncia rientrando e tenendomi per mano si indirizza verso le scale. Lo seguo senza dire una parola ma mi sento al sicuro se sono con lui.

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Carissimi lettori,

il capitolo precedente vi ha lasciato un pò in ansia, no?

Altrettanto questo in cui, nonostante il viaggio per il corso di formazione e la compagnia di Tommaso, il killer non ha esitato a farsi vivo.

La nostra Adele riuscirà ad uscire da questo tunnel senza fine?

A presto,

Margherita

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