1. La lettera
- Che cosa fai? - mi domanda Alexia, girando la testa di lato con fare interrogativo. Sbuffo, e la guardo di traverso, sentendo le mie mani scaldarsi più del normale.
- Non dovrei nemmeno rispondere ad una domanda così idiota - mi siedo con le gambe incrociate sul mio letto per guardarla meglio nei suoi occhi neri. Sorride e si siede anche lei sul suo, facendo una bolla con la gomma da masticare.
- Ehy, la mia sorellina oggi è agitata... che hai? - sbuffo e emetto una specie di grugnito lamentoso. Non ho mai visto Alexia come una vera e propria sorella, anche se in realtà qui tutti lo siamo. In realtà, fratellastri. Siamo tutti figli del Diavolo. Non potete immaginare quanti figli abbia, quel maledetto di nostro padre: siamo più di centinaia di migliaia e viviamo tutti chiusi tra le mura del Campo.
Il Campo è un'enorme bosco con al centro le nostre abitazioni, le "scuole", se così possono essere chiamate, e tutto il resto della nostra vita, in pratica. Siamo come topi in trappola e a nostro padre non gliene frega niente, ma sa bene che siamo pericolosi, perché in noi scorre il suo stesso, lurido sangue.
- Niente - rispondo - ma se tu mi vedi guardare il soffitto sdraiata sul letto a non fare nulla, non mi chiedi che cosa faccio - ride e vedo i suoi occhi scuri brillare.
- Sarai sempre la mia sorellina preferita - questa cosa la potrebbe dire una qualunque sorella maggiore, ma questa volta so che è la verità. Né io né Alexia conosciamo neanche la metà dei nostri fratelli e sorelle, ed è meglio così per tutti. A "scuola" ho conosciuto un certo Cristian, che in teoria sarebbe mio fratello, ma non è altro che un pazzo egocentrico, e non sono l'unica a pensarla in questo modo. Mi alzo e mi infilo gli stivali neri per uscire.
- Dove vai? - mi domanda Alexia, sorpresa. Non la guardo nemmeno e apro la massiccia porta di legno dipinta di nero.
- Non lo so - le dico, chiudendomi la porta alle mie spalle. Ho solo l'estremo bisogno di schiarirmi le idee all'aperto. Detesto la mia casa. Detesto il Campo. Detesto mio padre. Devo trovare qualcosa che mi allontani da tutto questo odio.
Inizio a camminare per la grigia e poco illuminata strada non asfaltata davanti a casa mia. Svolto con passo sicuro e silenzioso nella seconda vietta a sinistra e, dopo averla percorsa per tutta la sua lunghezza, mi ritrovo davanti ad una meravigliosa fontana di marmo nero, in una piazzetta al confine con il bosco. Non resto troppo tempo a guardarla e la supero, avvicinandomi agli alberi tetri.
Però, prima che io mi possa addentrare sento una voce ridere alle mie spalle. Mi volto di scatto. Non c'è nessuno.
- Luke, lo so che ci sei. Esci fuori. - aria tagliente mi accarezza il viso, accompagnata da una risata divertita. Stringo i pugni e mi guardo intorno, cercando di intercettare il suo prossimo attacco. - Non mi fa ridere. - dico, senza smettere di stare in guardia. Le mie mani iniziano a scaldarsi, ed io le sento bruciare. Mi giro di scatto, accorgendomi che probabilmente il colpo sarebbe arrivato da lì, ma subito dopo mi blocco, trovandomi faccia a faccia con un ragazzo in carne ed ossa. Faccio un salto indietro per prendere le distanze e lo guardo, seria. Lui invece sorride beffardo, come sempre.
- Detesti anche me, adesso? - domanda, scoppiando a ridere senza smettere di guardarmi. Stringo la mascella, iniziando a percepire un sapore amaro in bocca.
- Che cosa vuoi? Perché sei tornato? Non puoi stare qui.
- E chi dice cosa può e non può fare un demone?
- Il Diavolo. - lo fisso negli occhi neri, avvicinandomi. - Questo non è un gioco, Luke. È la nostra vita. La mia e la tua. Ora vattene. - gli indico il bosco, rassegnandomi ormai a fatto che la mia uscita serale sia andata a rotoli. Lui mi fissa ancora, divertito, e mi gira attorno come se fosse un bambino ed io il più bel giocattolo di un negozio. Mi chiedo che cosa abbia intenzione di fare, questa volta. Quel ragazzo è imprevedibile anche per una come me, nonostante sia parecchio difficile sorprendermi. Ride, spostandosi alle mie spalle.
- Allora tieni anche alla mia, di vita... - lui scherza e gioca con tutti, ma ama stuzzicare me in particolare perché sono parecchio irascibile. E probabilmente quel ragazzo è masochista, perché ogni volta gliela faccio pagare. Faccio qualche passo in avanti per allontanarmi, e poi mi giro nuovamente verso di lui.
- No. Alla mia. Vai via o chiamo qualcuno. Non sto scherzando. - non sembra spaventato, eppure nei suoi occhi appare la sorpresa. - Non ne saresti mai capace, io lo so. Sei una vigliacca. Hai paura di tutto e di tutti, ma speri sempre che nessuno se ne accorga. - questa volta ha superato il limite. Inizio a camminare verso di lui, e dietro di me lascio una scia di fiamme che superano i due metri.
- Il vigliacco sei tu. Scappi dalla tua gente per vivere nell'ombra. -Mi avvicino velocemente, fermando davanti a lui ed ai suoi occhi d'inchiostro. - Ma di cos' è che hai paura? Da cosa scappi, Luke Blake? - non riesco più a leggere nel suo sguardo, così mi limito ad osservarlo in attesa di una risposta.
- Da niente - alzo la mano ormai completamente in fiamme e la avvicino al suo viso pallido.
- Vuoi un'impronta del mio palmo sulla guancia, Blake? - lui non risponde, rimane impassibile.
- Non sono affari tuoi, in ogni caso. Oggi ero venuto per un motivo, comunque. - alza la sua mano per porgermi un biglietto che tiene tra l'indice e il medio. Faccio tornare la mia mano normale e lo afferro, perplessa - Viene da fuori. - aggiunge poi, leggendomi nel pensiero. - Non ho idea di chi te lo abbia mandato, ma è diretto a te perciò te l'ho portato. Alzo lo sguardo su di lui, ancora sconvolta.
Non conosco nessuno di fuori, come può arrivarmi una lettera ( qualunque cosa sia)...?
- Grazie - sussurro, e lui torna a sorridere.
- Devi proprio essere sotto shock per ringraziarmi! - ridacchia, ma poi torna serio e mi guarda.
- Chi te l'ha dato? - chiedo, ignorando le sue parole e tornando a fissare il pezzo di carta tra le mie mani.
- Nessuno. L'ho trovato sul comodino in camera mia con scritto di non leggerlo e di portartelo. - lui l'aveva letto di sicuro, e poi forse ero stata troppo severa con lui. Lo guardo, con negli occhi un briciolo di speranza.
- È di mia madre? - domando, ma vedo subito che i suoi occhi mi guardano con tenerezza, e ciò non mi piace per niente: la lettera non è di mia madre.
- Devo andare. - mi dice, facendo un passo verso il bosco. Annuisco e, senza guardarlo, apro la lettera.
Fatti di luce,
racchiudono l'ombra.
Non ti aspetteremo per molto,
Diavolo.
Se verrai o no,
della tua scelta io conto terrò.
Non puoi scappare, nel cerchio
devi stare.
Una manciata di stelle mi devi
regalare
e del tuo sguardo rosso mi devi
riempire.
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