9. Quando torna?

A volte i veri eroi
non devono salvare nessuno.
Devono salvare se stessi.
Sono proprio quelli che
anche da soli
riescono a rialzarsi
-Francesco Sole

Ero stesa sul letto, con Kevin sul mio stomaco.
Non mi faceva male, dovevo ammettere che mi piacesse la sensazione di lui sopra di me.

«Non riesco ancora a smettere di ridere per l'espressione di quello stronzo!», se ne cantò Kevin.
Io ero impegnata a pensare altro, per ascoltarlo.
«A cosa pensi?».

«A quanto sia strano questo "noi". Voglio dire, siamo migliori amici dai tempi dell'asilo. E ora, guardarci», riflettei, a voce alta.

«Avremo tempo per sperimentare. Essere giovani serve per fare nuove esperienze, non credi?», mi prese la mano in modo disinvolto.

«Hai ragione, devo imparare a rilassarmi», gli sorrisi, baciandolo a stampo.

«Allora...Jane?».

«È alle prese con i compiti, è il periodo più critico questo e lo sai».

«Lo so bene. Sono stato studente anche io. Quasi quasi mi manca», si mosse appena.

«L'università è okay?».

«Va alla grande. Faticosa, ma sta andando bene. Il lavoro?».

«Comincio domani. Non mi sembra vero. Oh cazzo!! Devo preparare la cena, aiutare con qualche materia Fred, glielo avevo promesso. Non ti sto cacciando, è solo che-».

«Mi stai cacciando», intervenì offeso.

«No, no, cerca di capire. È che-».

«Stavo scherzando, idiota. Ti do una mano».

«Posso farcela da sola. Ci vediamo domani pomeriggio, così ti racconto com'è andata».

«Ai suoi ordini, señorita».

Mentre posavo i bicchieri sulla tavola in fase di quasi cena, pensai all'ultima parte della conversazione con il mio ormai ragazzo.

Avevo un vero e proprio talento anche in questo.
Riuscivo a rimuginare su qualche parola, azione, io dicessi o compissi.
Non ero sicura di nulla che mi riguardi.

Odiavo essere aiutata o compatita.
Potevo fare da sola.
O meglio, non volevo ricadere in errori passati.

Ad una sola persona avevo lasciato farmi aiutare.
E quest'ultima, non aveva fatto altro che trarne benefici per sé.

«Andiamo! Ma perchè "estoy embarazada" significa "sono incinta"?! Gli spagnoli non potevano venirci più incontro? Non potevano essere meno difficili di comprendonio?!», si lamentò Fred.

«Hombre, smettila di lanciare gli accidenti agli spagnoli e vieni a tavola», gli sorrisi facendo no con la testa.

Sbuffò, avvicinando la sedia per non sporcarsi i vestiti.

Gli occhi di mio fratello si rattristirono di colpo, posandosi su quella sedia vuota in più.

Non avevo apparecchiato per nostro padre, sapevo sarebbe stato inutile.

«A volte penso che se mamma e papà fossero morti sarebbe stato meglio. Voglio dire, avrei accettato di più che non fossero presenti perchè morti, piuttosto che saperli vivi per fare i cazzi loro».

Sospirai.

«Lo so, amore. Lo so».

In tanti non usano la parola "amore" per i propri fratelli o sorelle.
Altri addirittura dicono di odiarli.
Forse ero io, in quanto primogenita, che nutrivo un profondo affetto per mio fratello.
Cosa ci potevo fare, se lui rimaneva per me il mio piccolo pestifero?
Io lui amavo da impazzire, per me nessuno aveva il valore che davo a lui.
Sì, lo viziavo forse, ma era un piccolo premio per quello che gli era stato tolto.
Potevo e dovevo accettare che sarebbe cresciuto, che un giorno avrebbe avuto una vita sua, e non potevo che esserne felice.

Mi piaceva prendermi cura di lui, solo che a volte avrei voluto fosse più facile.
Lo facevo volentieri, gli volevo un bene dell'anima, mi sarebbe piaciuto però avere una vita tutta mia come chiunque.

Avevo fatto molti sacrifici per mandare avanti la nostra casa, e vederlo a pezzi e rimanerne impotente, mi struggeva.

Mi schiarii la voce.
Dovevo essere forte per tutti e due.

«Pensi che stanotte tornerà?», mi chiese.

«Lo sai che non ha un orario, è difficile da dirsi. Però so che sta bene, è come fosse immortale. Vedrai, tornerà».

«Lo avevi detto anche con mamma...».

Distolsi lo sguardo e portai via i piatti vuoti da lavare.

«Tornerà, Fred. Questa volta te lo prometto».

Mi allontanai in cucina.

Strusciavo la sporcizia dei piatti con la spugna, con sopra lo scrosciare imperterrito dell'acqua.
Avrei voluto eliminare ogni problema facendo così, ma si sa, non vai mai come si vorrebbe.
Eliminare ogni sbaglio, premere "reset", nella vita, non esiste.

Sbirciai il suo corpicino fissare il bicchiere al rovescio, senza volerlo riempire d'acqua.
Abbassai lo sguardo, frugando nelle mie tasche.

«Fred?», urlai per richiamarlo.

Alzò il capo per me.

Gli mostrai qualche sterlina con un piccolo sorrisetto.

«So che non è quel di cui hai bisogno, ma...domani mattina posso accompagnarti da qualche parte e puoi comprare quel che vuoi. Puoi saltare scuola una volta tanto, non hai fatto nessuna assenza per ora. Puoi permettertelo ed è per una giusta causa».

Corse contro di me, abbracciandomi al punto da stritolarmi.

«Grazie».

Sfiorai la testolina dura di lui dolcemente.
Se avessi potuto, mi sarei seriamente assorbita ogni suo dolore.

***

Mi presentai in anticipo, non per casualità.
Ero stupita di me stessa, nell'ultimo periodo riuscivo addirittura ad arrivare prima.

Sistemai il mio outfit, mentre l'ansia si accumulava senza dare segnali di voler calare.

Un uomo sulla quarantina mi accolse con un grosso sorriso, stringendomi la mano.

«Stevens, primo giorno?».

«Esatto, signor...».

«Chiamami Bob. Prego, entra», mi fece accomodare all'interno di un locale niente male.

Il posto era veramente magnifico e pensare che avrei lavorato con così poco preavviso, con uno stipendio non alto ma nemmeno basso, mi faceva impazzire di gioia.

Era mediamente grande, con delle finestre incorniciate di LED azzurri e una pianta per ogni tavolo.
Le sedie erano morbide, comode.
Il bancone era di legno invecchiato, ma dava quel tocco originale in più che si abbinava all'interno risultato.
Le pareti erano bianche, con una porta alla sinistra con su scritto bagno per le donne e quello a destra per gli uomini.
Dietro al bancone, c'era una parte che portava alla cucina.
Passava inosservata, nella sua semplicità.
Era carina, graziosa.

«Qui sull'attacca panni puoi poggiare quanto di tuo, non ti servirà. Questo, invece, sì», mi tese un completo con tanto di grembiule. Per i miei gusti era anche tanto, essendo abituata agli stereotipi da serie tv americane.

«Non c'è molto da dire. Sii gentile con i clienti, sono loro ad avere sempre ragione. Questa è la prima regola. Mostrati attiva e sorridente, ti pagheranno di più del dovuto se ti mostrerai serviziente. Attenta a non far cadere nulla, o sarà a tue spese. Per il resto, ti ambienterai in fretta. Si incomincia ogni mattina alle 9», mi spiegò molto gentilmente.

Seguii poi la rampa di scale che portava alla vista della mia movimentata Londra.
Il terrazzo era esteso, avrei potuto correrci su.
Appoggiai le braccia sulla ringhiera, inspirando ed espirando a fondo quell'aria fresca.
Rimasi qualche attimo a contemplare l'enorme opportunità che avevo avanti, dopo di che scesi di sotto a rendermi utile.

La cameriera non era certo quel che avevo nei miei sogni nel cassetto di bambina di sei anni, ma poteva andare.

Mi sarei impegnata a non rovinare tutto.

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