78. Maledetto Bukowski
ASH'S POV
Bukowski diceva che l'amore è quella persona che incontri su un milione.
Ed è vero: l'amore è la persona che non noteresti mai, e poi ti stordisce come un pugno in piena faccia.
La persona su cui non avresti scommesso un centesimo, ed ora possiede la tua anima.
La persona a cui urleresti le peggiori cose, per poi prenderla, baciarla, e non lasciarla più andare.
La dolce estate, i raggi solari che scurivano la pelle salata di mare - per chi aveva avuto la possibilità - le maglie a maniche corte, i capelli più chiari, era terminata di nuovo.
Calpestavo foglie secche dai diversi colori giallognoli, con una sigaretta di troppo sulle labbra e l'accendino scassato nelle tasche dei jeans.
Il cappuccio della felpa copriva appena qualche ciuffo castano, mentre riscaldavo le mie mani per come potevo.
Londra si era addormentata in quiete, a quell'ora della sera, così come l'avevo trovato la mattina stessa.
Erano circa le dieci, quando delle grida destarono la mia attenzione.
«Hey, stai bene?», mi avvicinai alla bambina sui cinque anni circa, abbassandomi alla sua statura per aver avuto un contatto diretto con lei.
La piccola però, a mia sorpresa, si allontanò impaurita.
«La mamma mi ha detto che non devo parlare agli sconosciuti», tremò appena.
«La tua mamma deve essere molto saggia allora, per metterti in guardia. Lo sai chi sono io? Una specie di eroe».
«Sei Superman?».
«No, ma so curare le persone».
«Sei magico?», mi chiese, diffidente.
«Più o meno. Sono un dottore adesso, sai? Curo tante persone tutti i giorni. Non vorrei sbagliarmi, ma penso tu abbia bisogno di essere soccorsa».
La creaturina mise il broncio, gonfiando le gote appena rosee e guardando da un altra direzione opposta alla mia.
«Non ho bisogno di essere salvata da un uomo. Posso farlo da sola».
«Che bel caratterino...lo hai ereditato dai tuoi genitori?».
«No, o almeno, non da quel che so. Sono speciale perché non ho un papà. Però so cosa significa avere una mamma e lei mi ha insegnato tanto».
«Sei buffa... dici di non aver bisogno di aiuto, ma hai paura. Mi ricordi tanto una persona...».
«Tu dici di amarmi, ma non mi ami. Non mi hai amata dal primo momento in cui mi hai vista perché non distruggi la persona che ami», mi accusò, mentre i suoi occhi continuavano a lanciare saette.
«Chi ha parlato di amore a prima vista?».
Guardavo Hayra che a sua volta mi scrutava.
Mi aveva perdonato, stava cercando di perdonare sè stessa.
Tuttavia, tornava a galla la minima parte restante che non se n'era totalmente andata.
Il passato la tormentava ancora, lo notavo ogni qual volta le sfioravo il viso.
Per lei la voglia di andare avanti esisteva, ma non aveva riscontrato il modo per imbarcarsi verso quella meta desiderata.
Non era vittismo, solo chi non la conosceva poteva giudicarla vittima.
La guardavo di continuo, per avvicinarmi all'idea che si faceva vivida dentro la mia coscienza.
La vittima della situazione ero io.
Con il cuore in mano, chiedevo di porre fine alla mia agonia.
Lei però non aveva torto.
Non sempre, fra noi, si riesce a ricomporre i pezzi.
Non sappiamo farlo con noi stessi, è considerata un abilità poterlo fare con gli altri.
Sarebbe stato bello, vivere una favola incantata.
Lei in abito bianco, con il velo, il bouquet dei suoi Non ti scordar di me.
Sarebbe stato bello, rivederla di nuovo.
Per caso, per uno scherzo del destino, come se potesse essere stata la madre della piccola che si era persa.
Dal niente, come accade nei libri, nei film.
Vederla correre scompigliata verso di me, con il sorrisetto, i capelli all'aria e gli occhi che giuravano odio amore eterno.
«Judie! Quante volte ti ho detto che devi starmi dietro! È pericoloso! Chiedi scusa al signore per averlo importunato e stai più attenta», una signora bionda ossigenata la sgridò prendendole la mano, rivolgendomi poi un accenno di scuse.
Risposi a mia volta con un sorriso per la piccoletta, dichiarandole che per me non c'era stato alcun problema.
Dagli occhi azzurri, i capelli biondi come la donna adulta, mi mostrò i suoi denti bianchi smaglianti e si allontanò con un "ciao ciao uomo simpatico".
Non assomigliava alla mia Hayra.
Il sorriso di Judie mi aveva contagiato, al ricordo di quella rabbia che l'aggettivo possessivo aveva scaturito nella ragazza.
Nell'ultimo periodo in cui era rimasta nel mio appartamento insieme a me e a Chase, restava sveglia fino a tardi.
Leggeva sul divano tomi lunghissimi, mentre io studiavo medicina.
Sarebbe potuta andare nella sua camera per stare in santa pace e invece aveva scelto di rimanere e ad ascoltarmi ripetere ad alta voce.
Non me lo aveva mai detto direttamente, ma confidava nella mia riuscita di obbiettivo, così come la laurea della svampita della sua migliore amica.
Non sapevo dove si trovasse.
Non sapevo dove fosse, con chi, cosa stesse facendo o come stesse.
So semplicemente che stava dando il meglio di sè per ordinare al meglio la sua vita e che in un futuro vicino ce l'avrebbe fatta.
Se chiudevo gli occhi me la immaginavo esattamente come l'avevo lasciata.
Testarda, carina quando si addormentava chissà dove e si svegliava come se non fosse successo nulla, con la parola pronta quando riusciva.
Mi piaceva immaginarmela così, anche se non era detto fosse la verità.
Sapere che sarebbe potuto non esserlo, mi spaventava.
Mi faceva uscire pazzo.
Nonostante tutto, io credevo ancora che lei fosse la mia anima gemella.
Avrebbe potuto negarlo all'infinito, ma sapevo che lei aveva una parte di me e viceversa.
Il cuore di entrambi bruciava, se non c'era l'altro.
Amare, però, significa rispettare e lasciare andare.
«Amore, che ci fai ancora qui? Dobbiamo andare, è tardi!», la mia ragazza mi scosse, spalancando i suoi occhioni verdi smeraldo.
Sistemò i suoi capelli rossi fuoco in una treccia, per poi ritoccarsi il lucidalabbra.
Ero andato avanti.
Se solo il filosofo Anassimandro avesse davvero dovuto avere ragione sulla sua teoria...
Se davvero esistesse un mondo destinato a nascere e a morire in un ciclo eterno...
Ero grato per quello, con Amelie ero un uomo a tutti gli effetti, ma con la mia ragazza sale e pepe ero stato il compagno di anima.
Non sempre si supera tutto, ma ci si può provare.
Attraverso la separazione dei contrari, tutte le cose esistono grazie al loro contrario.
Io e Hayra andavamo avanti buttando benzina sul carburante.
Ci alimentavamo a vicenda, perché avevamo bisogno della sostenza dell'altro, che noi non si possedeva singolarmente, per poter completarci.
«Sono attratto da te. È difficile da credere? Sei bellissima, piena di luce. Come, non l'hai vista? Non è così facile coglierla al momento giusto, devi essere scaltra.
Qualunque essere capace di amare è capace di trovare la salvezza.
Gentilezza, perdono, pietà, solo per te. Hai bisogno di essere consolata e cerchi un essere spregevole che possa consolarti. Non è difficile sai? A volte basta poco. Accumuli aria nei polmoni, lasci andare e gridi: "Fanculo mondo"!».
Mi ricordo il tuo monologo.
Tu odi le spalle, io odio gli occhi.
Odio i tuoi occhi che mostrano disprezzo e odio, finto o vero che sia. Odio il mondo in cui mi hai disprezzato e lo fai ancora inconsciamente perché la tua mente riproduce chi sono stato, odio il tuo odio perché odio la parte di me che ama te.
Non è una colpa amare ciò che non si sa spiegare la provenienza.
Sarebbe stato più facile se fossi rimasto l'antagonista donnaiolo che si trova in ogni storia».
Prendendo posto a tavolino al ristorante lussuoso di fianco a colei che avevo imparato ad amare, le presi la mano.
"Primissimo fu il caos,
Fu la terra dell'ampio seno...
e l'amore che eccelle
fra gli dèi immortali".
-Esiodo, Teogonio
Sorrisi di sfuggita, al ricordo di colei che teneva stretta la parte più umana di me e, colma di caos, ne faceva armonia.
«Scusami, tesoro, vado un attimo in bagno», appoggiò la mano destra sulla mia schiena abbassata a mangiare e annuii avendo ricevuto il messaggio.
«Ti aspetto», la avvisai, pulendomi gli angoli della bocca con il tovagliolo.
locale era accogliente anche se, tra le cameriere, lei non c'era.
Non mi sentivo in colpa, a pensare ad un altra.
Fondamentalmente perché sapevo che non l'avrei più rivista.
Ero andato oltre le mie aspettative, il mio egocentrismo.
«Ash?», la voce della castana risuonava forte e chiara.
La liscia spostò le gambe unite per far toccare il palmo dei piedi a terra, strascinando poi le gambe le une contro l'altra verso il bagno.
Abbassò la maniglia lentamente e sbirciò cosa stesse accadendo all'interno.
Con peso delle braccia riversate sul lavabo, con le vene sporgenti su tempie e polsi, il mio ciuffo nascondeva il profilo, respingevo e perdevo lacrime amare che il mio organismo non riusciva più a reprimere.
Automaticamente, lo sguardo cadde sullo specchio.
Con le spalle lussate, cercavo riparo.
Volevo cambiare faccia, aria, vita, il mondo.
Non perché non mi piacessi, avevo un autostima normale, ma perché la mente era bastarda.
Come con tutti, giocava a modo suo.
Ne ghignava, ne approfittava.
Era il karma, quello che mi aveva schiacciato sotto macigni e polvere.
Il peso che avevo fatto provare agli altri, era stato inflitto sul suo esercitante.
«Hai-», fece un passo in avanti ma la fecj sobbalzare con le sue stesse parole.
«Sto bene, esci di qui!», singhiozzai come il sedicenne di una volta.
Mi guardò.
Se fosse stato per la persona che era anni prima, avrebbe stentato di poter parlare di lui in ogni senso.
Si era rifiutata di credermi vittima, tuttavia sapeva che non me ne andava attribuita la totale colpa.
Tesi il tallone, persino i muscoli delle gambe erano in tensione.
Non aveva paura, non mi temeva.
Era un senso di bruciore che la rendeva imprudente.
«Hey, dov-», fece per toccarmi, ma fu come contare ogni insulso granello di sabbia che forma la più grande spiaggia meridionale in tutta la sua completezza e bellezza.
«PER LA MISERIA, HAYRA! NON MI TOCCARE!», sbottai, muovendo le mani per liberarmi. Non volevo che lei mi toccasse, non in quel momento in cui le lancette dell'orologio segnavano le otto del mattino.
Aveva imparato a conoscermi, sapeva custodire i segreti di quel che comportava amarmi.
Non si trattava di responsabilità, diritti o doveri.
Si trattava di tenere testa all'uomo più indomabile, di non sobbalzare quando il mio umore avrebbe vacillato, di pazientare quando la luna sarebbe storta e poco luminosa da non far concentrare l'attenzione sulle stelle.
Ce lo eravamo promessi.
Avevo imparato ad amare persino le sue stupide stelle.
Si trattava di guardarmi, attraversare fiamme ardenti all'estremo delle forze e portare a termine le mie battaglie.
Non si sarebbe tirata indietro, non l'aveva mai fatto, e non sarebbe stato quello il momento. Perciò, mi afferrò il polso in maniera salda e trafisse gli occhi nei miei.
Avrei tranquillamente potuto sovrastarmi, far cadere il suo ego e calpestarla.
Bastarono quelle due pozze ambrate a farmi barcollare senza un suolo a sorreggermi, come quando mancava la forza di gravità e ti trovavi nello spazio tra Pianeti e chissà cos'altro da scovare.
«Shhh...».
non mi promise che sarebbe andato tutto bene, nè che sarebbe stato facile, perché era tutto così impotentemente imprevedibile.
Bastava guardarci, per averne la conferma.
«Mi dispiace...», le sussurravo ogni due per tre.
«Non devi dire niente», mi tenne a sè, sedendosi a terra con la schiena che strusciava su un mobile basso diviso in due scompartimenti.
«Non hai sbagliato niente, se te lo stai chiedendo. È che... io ti guardo e mi chiedo: "cos'ho fatto di tanto buono per averti con me?" Perchè io? Perché hai scelto me?».
«Io non sono perfetta, come nemmeno tu lo sei. Insomma, guardaci. Siamo imperfetti», gli sorrise, «Ma che importanza ha? Vedi qualcuno di impeccabile? Pensi che esista? Pensi che esista qualcuno che luccica senza un briciolo di oscurità e viceversa?».
«Ti ho guardato mentre ti occupavi di Fred e... siete così dolci...due gioielli. Lo guardo, lo vedo così innocente da sempre e...mi chiedo: sopravviverà a questo mondo ingiusto? A questa vita ingiusta? Se solo dovessero farle del male, io...», mi bloccai.
«Se io avessi avuto qualcuno come te...», balbettai, ma rispettò comunque i miei tempi.
«Lui è così ignaro di quel che c'è là fuori. E se qualcuno dovesse romperlo come io ho rotto te? Dici che ti ho aggiustata, ma la verità è che io ho più bisogno di te che tu di me. Ho solo ricucito una ferita vecchia, per farti stare in pace con l'undicenne che eri. Ma hai fatto gran parte da sola».
«Non mi devi confrontare con te. Ognuno ha la sua storia».
«Non merito la compassione, lo sai? Sono stato un imbecille».
«Sei un uomo. Sei stato quel che sei stato e non puoi far niente, che tu fossi stato in torto oppure no».
Mantenevo lo graziosa sui suoi occhi che ogni tanto apriva per poterne cogliere l'intera visuale, talmente era graziosa.
Non fiatavo.
Per una volta tanto, era lei ad avermi tolto le parole di bocca.
«Sei solo più umano e vai benissimo così come sei», mi accostò a sè e mi abbracciò.
Aumentò la stretta, accarezzandomi la schiena fredda.
Una notifica sul mio telefono risultò tra il mio scrollare sulla pagina principale di Instagram.
Da: Fratellastro 😶
Indovina un po'
dov'è finita la nostra cara Hayra?
Digitai confuso un semplice: "Dove?"
Da: Fratellastro: 😶
Ha pubblicato un libro!
Ingrandendo la foto, sorrisi spontaneamente.
Ce l'aveva fatta.
Non era riuscita ad amarsi totalmente, ma continuava ad essere colma d'amore.
Lei era questo e molto di più.
Io lo sapevo.
Io l'ho sempre saputo.
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