73. Hai del perdono in sospeso

Ash mi seguì, sedendosi però sul sedile accanto a quello del posto di guida.
Lo guardai, cercando un appiglio di coraggio.
Mi fece cenno di raggiungerlo e mi convinsi a non pensare ad altro.

«Stai sbagliando», mi rimproverò quasi, sistemandosi comodamente come fosse la sua auto.

«Non ho toccato niente», mi giustificai, di traverso.

«Esatto. Stai continuando a fissare il volante aspettando che ti dia delle risposte che sai non può dare. La risposta la hai, la magia non è là dentro».

«Ma dentro di me, bla bla bla. Non siamo in un film, ti ricordo».

«No, non lo siamo», mi rispose, facendomi confondere.

«Quind-», iniziai, ma venni interrotta subito.

«Se c'è una cosa che conosco di te è il tuo autocontrollo. Pensi di avere la risposta giusta quando serve, e non averla ti manda nel panico. Ora sei qui, davanti a me, ponendo tutta la tua grinta dentro il tuo corpo. Non pensi sia un macigno troppo pesante da sostenere?».

«Io-», iniziai.

«Tu cosa?», al vedermi irritata sorrise. «Stai per dirmi che sono il solito stronzo che non ti lascia parlare, non è vero? Beh, sì, non hai torto. Però credimi quando ti dico che non c'è più posto per la voragine che si sta espandendo. Hai potenziale, Hayra. Non sta a me ricordartelo, dovresti saperlo. Solo tu sai quali minacce porti dietro, meglio di me che le ho viste ma non vissute in primis. A volte, a volte, c'è bisogno di lasciarsi andare. Non solo con l'alcol, perché quando l'effetto svanisce, siamo di nuovo punto e a capo».

«Kevin! Hey!», risi alla vista del mio eterno diciottenne nonché ragazzo farmi il solletico.

«Allora... di che vogliamo parlare?».

«Di quanto ti stia bene quel vestito da principessa di Carnevale! Non posso credere tu lo abbia fatto per Fred!», quasi piansi dalle risate, tanto era il livello di comicità al pensiero.

«E quindi siamo qui, sotto un salice piangente grondante, al posto giusto nel momento giusto. Manca un minuto a mezzanotte e non posso ancora credere che la mia migliore amica sia la ragazza che più amo in questo pianeta», si avvicinò a me felice, ma lo precedetti.
Lo presi per la cravatta, dato che eravamo appena usciti da un ristorante per festeggiare il nostro anniversario di fidanzamento, e gli lasciai un bacio caldo e umido che sapeva di entrambi.

«Sai che cosa vorrei, Mr. Principessa?».

«No, non ne ho idea, Sir.
A lei l'onore, anche se dovrebbe passare alle donne», si immedesimò quel rosso tanto divertente in un sorrisino.
Era pieno di vita e contagiava anche me.

«Andiamo nel tuo posto preferito allora», mi guardò, sapendo di aver centrato il bersaglio.

«Siamo lontani dalla completa vista della città, da quel muretto, da quella panchina. Siamo lontani da Londra e non ci sono nemmeno le stelle».

«Beh, a volte possiamo arrangiarci. Guarda, fuori vediamo la Luna. Non è la stessa cosa forse, ma illumina molto. Sei pronta?».

«Pronta», gli sorrisi, intrecciando la mano nella sua per qualche minuto.

Ash mi studiò di nuovo con lo sguardo di chi aveva capito tutto.

«È giusto, perdersi in qualche ricordo. È umano, e non puoi farci niente. Puoi lasciarti dominare quando lo vuoi, se lo vuoi. Se davvero lo vuoi, lascia che abbia quell'effetto. Lascia che, quel che ti blocca, venga sconfitto».

Guardai il freno a mano, le luci in alto e di nuovo il volante.
Lo sfiorai appena, definendone i tratti.

Veloci come il vento sfrecciavamo come se il domani non fosse un pensiero costante, come se fosse stato ovvio.
E lo era, era scontato, per noi che possedevamo la gioventù nel sangue.

«Okay, ora basta, guido io», mi proposi, spostandomi quando eravamo fermi.
Cambiando posto, avevo una strana sensazione.
Un sesto senso che non sapevo pesare.

«Te la senti? È tardi».

«Tardi? Sono solo le tre, la notte è giovane!».

Sorrisi ancora scuotendo la testa, troppo presa dal non rubargli l'entusiasmo.
I suoi occhi brillavano, un suo ciuffo ramato continuava a dargli fastidio, ma gli era naturale spostarlo in contemporanea ad un altra azione.

«Va bene, l'hai voluta tu! Allora io accendo le luci di proposito!».

Azzardai, senza togliermi le cinture, di spingermi oltre per accenderle.
Non gli davano particolarmente fastidio alla guida, ma non voleva mi muovessi troppo.

«Okay, l'hai voluta tu», con una mano fece in modo che mi risedessi tranquillamente come doveva essere, mentre proseguiva a guidare.

«Mhh», mi lamentai, imbronciandomi, in cerca di attenzione.

«E va bene, alla prossima allora vieni tu.
Almeno posso dormire».

«Dormire», scossi la testa, ammiccando un occhiolino, «Certo».

«Cosa credi? Sono un uomo rispettabile, io! Talmente tanto da poter entrare in competizione con un prete!».

«Sì, in un convento di suore che prontamente decapiterei! Smettila, idiota, e continua a guidare fino alla prossima fermata di servizio. Poi, da lì, ti dò il cambio. Sono ore che guardi la strada e ti sei riposato solo una volta».

«Agli ordini, signora».

«Non ero Sir?».

«Mh, ora sei la mia signora. Ti sta bene il mio cognome».

«Sì, mi ci vedo bene. Ha una bella musicalità, devo ammettere».

Lo baciai in un attimo delicato, prendendo poi il comando e facendolo accostare.

«Non siamo ancora a-».

«Non mi interessa», lo zittii in un altro bacio passionale, lento, pieno di scintille.
Non c'erano le stelle, ma solo io e lui.
Brillavamo anche per loro.

Mentre le mie labbra si muovevano in sincronia a quelle di lui, capii che dipendevo da lui.
Immobile, senza parlare, non riuscivo a stancarmi.
Non riuscivo a cancellare tutte le pagine di noi, con ogni nostro pizzico di vivacità, e vivere come se non ci fosse mai stato niente.
Non potevo vivere senza dire che non fosse stato amore, il nostro.

Se avessi potuto guardarlo meglio, forse adesso mi sarei ricordata che espressione aveva, se era davvero felice, prima di morire.

Una luce abbagliante mi fece aprire gli occhi, avevo la vista verso il finestrino dalla parte di lui.
Non ebbi però il tempo di metabolizzare quello che accadette in un tempo indeterminato quanto, per me, surreale.
Con le unghie ancora impiantate sulla sua schiena calorosa, ebbi appena modo di comprendere un destino che non era dalla nostra parte.

Quel camion fuori strada ci investì.

E di noi non rimase più niente, come se non fosse stato mai amore.

Ash si avvicinò a me, ma non di troppo.
Cauto, attento, poggiò la sua mano sopra la mia che si trovava sullo stesso volante.

I ricordi erano nitidi.

Percepivo, mezza accecata, delle sirene e delle luci rosse.
Non erano belle, come le mie stelle.
Su un lettino, con un respiratore che mi regalava ossigeno, con il sangue ovunque e alcuna forza di muovermi, riuscii a intravedere solo il paramedico portarmi in ambulanza.

«Incidente stradale, donna, 18 anni secondo quanto riportano i documenti nella borsa nei sedili posteriori», sentivo la voce di colui che parlava, distante.
Avevo udito altro ma a scatti.

Una frase però mi diede il colpo di grazia.

«Un uomo ubriaco al volante è venuto addosso ad una macchina in sosta ed è morto a seguito dello schianto. Morto anche l'altro, celebralmente».

Da lì, il buio più totale.

«Ora memorizza ogni particolare e parti. Puoi farcela, io so che puoi», la voce del mio coetaneo risuonò da eco nella vicenda ancora vivida, permettendomi di riprendere la mia rivincita.
Di nuovo in strada, con le solite strisce pedonali, non ero più trasparente.
Non era una via di fuga, non ero più immobile.

Non mi stavo dimenticando di Kevin.
Stavo andando avanti anche per lui in quel viaggio che era la nostra storia.

«Okay, ora fermati».

Al sentire quelle parole, accellerai con più enfasi.
La macchina superò il massimo della velocità, aprendo in me un cielo peccatore che non dava spazio all'accettazione.

«Hayra», mi richiamò ancora, ma io continuai imperterrita.

Mi morsi il labbro inferiore che sanguinò leggermente.
Con la presa salda, rigida, non volevo fare altro che proseguire.
Speravo che in quella mattinata soleggiata, si tornasse alla pioggia di quella sera per far tornare l'arcobaleno e trovare il mio premio a fine di esso.

Ma non c'era nessuno.

Non c'era nessuno, perché avevo già di cui avevo bisogno.

Io mi bastavo, ma il passato picchiava troppo forte.
Volevo portare il peso del mondo, ma avevo solo due mani.

«HAYRA, FERMATI, TI HO DETTO!», in una manovra brusca, Ash maneggiò la mia guida ed ebbe la meglio.

Ancora pietrificata, portai una mano alla bocca per soffocare un pianto.

Lui, però, invece di parlare, fece in modo che potessi poggiare la testa sul suo petto.
In sincronia con il suo battito cardiaco, i miei singhiozzi andavano a braccetto.

Mi accarezzò i capelli come faceva quando stavo male, lentamente, senza fretta.

«Sei stata bravissima».

Bagnai la sua maglietta e lui prevenì addirittura le mie scuse non ancora create, tanto che mi conosceva bene.

«Hai perdonato me, adesso devi perdonare te stessa», sussurrò, spostandomi la ciocca di capelli dietro l'orecchio.

SPAZIO AUTRICE
Dopo un bel po' di tempo, eccomi qui!
Ecco a voi svelata la verità sul perché Hayra non guida da anni e sul perché avesse mostrato ogni volta una certa paura nel bere qualcosa di alcolico (sia in parte per il padre, sia per questo evento).
Spero che questa storia vi stia realmente lasciando qualcosa, sebbene non scritta in modo eccellente.
Grazie a tutti se siete arrivati fin qui e vi auguro una buona giornata!❤️

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