62. Problema
Avevo indubbiamente un problema.
Assieme a Jane stavamo facendo la solita nostra passeggiata, volevamo prendere un gelato.
Il tragitto era ancora lontano, infatti eravamo partite da poco.
Faceva bene, cambiare aria.
Fred stava uscendo con una ragazza e non riuscivo ad essere protettiva.
Sperai seriamente che sarebbe andato bene come doveva, perchè non potevo assistere al pianto di Fredrick con così poco preavviso.
Non potevo essere pronta psicologicamente, non a quello.
«Voglio un gatto, anzi, due», dissi alla mia migliore amica.
«Rosso?».
«Non mi importa del colore e non ho intenzione di mettere annunci. Voglio togliere qualche povero randagio maltrattato dalla strada. Se proprio devo decidere, lo vorrei uno bianco e nero, l'altro grigio con qualche macchia nero. Oh, e sono una fanatica degli occhi verdi per i felini!».
«Mh, bene».
«Tu che mi dici?».
«In casa tutto okay, oggi è l'anniversario dei miei genitori e stasera dovrò stare in tiro».
«Beh, a te piace quindi non c'è problema. Sono felice per tua madre e tuo padre comunque», le sorrisi, continuando il passo.
«Già, anch'io».
«Con i ragazzi invece? Ti stai sentendo con qualcuno?», domandai per non far morire la conversazione.
“Mh, sì. Un ragazzo nuovo, è carino e simpatico. A Kevin piacerebbe».
Accennai un sorriso, eravamo ancora tanto legate a lui e doveva rimanere in quel modo.
Non doveva essere esagerato, ma nemmeno cancellarne il ricordo come se niente fosse successo.
Come se lui non fosse stato niente.
«Ricordi la sua stronzata della teoria?», rise.
Annuii ancora con un sorriso flebile.
Non c'era giorno in cui avesse smesso di mancarmi, però il tempo curava le ferite sul serio.
Non era immediato, c'erano volte in cui si sentiva di più e altre no.
«La sua teoria del "NON". Non sono brava quanto te ma ci provo», mi schiarii la voce, «1) Non incontrerete un ragazzo che ti amerà fino all'esaurimento nervoso.
2) Non durerete un giorno senza di me.
3) Non prenderemo la patente.
4) Finiremo in casa insieme con mille gatti e cani in giro al posto di bambini con pannolini e un partner.
5) Non smetteremo mai di volerci bene, qualunque cosa accada.
6) Non esiste che uno di noi tre riesca davvero a desiderare qualcuno che ci ha fatto del male».
«No, niente da fare. Io sono più brava nell'imitarlo!», sorrise.
«La cinque è ancora valida...», le feci presente dopo un attimo di risentimento.
Vicino al London Eye, vidi un ragazzo della stessa altezza della persona a cui stavo pensando.
Una morsa allo stomaco mi provocò una morsa simile a quella dei dolori mestruali.
Mi bloccai sul posto, fissando l'esile figura lontana circa di non so quanto.
Aveva i capelli castani, un outfit non ricercato, delle converse rosse.
«Che ti prende, Hayra?».
«Quello non è....», la superai di istinto fino a raggiungerlo.
Il cuore mi stava uscendo dalla gola, avevo una sensazione che mi smuoveva il fisico.
Era identico, il modo in cui muoveva le mani o il modo in cui si legava i lacci delle scarpe.
Provai curiosità nel vedere se era veramente lui.
Dicono che le persone che ci hanno dato tanto riusciamo a riconoscerle a vista d'occhio.
Focalizzandomi meglio, con ancora il fiatone, capii che non si trattava di lui.
Se non lo avevo riconosciuto, significava che non mi aveva dato abbastanza?
Ma se non mi aveva dato abbastanza, allora..
cos'era quell'improvviso bisogno di vederlo?
«Scusa, ti senti bene?», mi chiese disponibile la persona che avevo scambiato per qualcuno che non era.
Annuii alzando il pollice come segno di affermazione, poi posai le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
Non era Ash.
«Hey, ma che cazzo ti è preso?», mi rimproverò Jane, una volta raggiunta.
«Io...volevo vedere se c'erano gli sconti per la ruota panoramica», deglutii continuando a fissare quel perfetto sconosciuto.
Non era lui.
Mi ero sbagliata.
Quel "perché" mi rimbombava ad ogni tocco della mezzanotte come una cantilena, come i tormentoni estivi.
Era esaustivo, era frustrante, quell'eco che tornava sempre a te.
Avevo un problema, un serio problema.
Talmente grande da non riuscire a capire;
Lo cercavo perchè volevo, necessitavo, vederlo.
Ma se lo vedevo, me ne lamentavo.
Sapevo di volerlo trovare ma, quando lo vedevo, lo odiavo di più.
O forse odiavo di più me per aver lasciato che accadesse.
Non era più niente sotto-controllo un bel niente.
Mi era sfuggita di mano la situazione.
Il mio terremoto a scossa 9.3, la mia più tenuta, mi aveva smosso letteralmente la terra su cui camminavo sopra.
Niente era più certo.
La mia vita era ancora incasinata.
Ancora in rovina.
E lui, lui era la mia cieligina sulla torta.
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