4. Illuminami di luce riflessa
Le vere amicizie sono eterne
-Cicerone
Avevo deciso di contattare Chase, per il giusto gusto di curiosità.
Lui era carino, mi piaceva, ma non ero intenzionata a niente di serio.
Decisi di non farne parola con nessuno, ritenendolo poco rilevante.
Il campanello suonò; non poteva essere Fred, poiché era ancora a scuola.
Mi si presentò infatti davanti il mio migliore amico Kevin.
Aveva uno stile particolare, capelli rossi e occhi azzurri, con addosso la solita maglietta con Dragon Ball tatuato addosso.
«Hey», gli sorrisi.
«Hey», entrò tranquillamente come fosse casa sua e io richiusi la porta.
«Questo casa sembra abbia un caos diverso ogni volta che ci entro», sospirò guardandosi attorno.
«Lo so», dissi solo, rimanendo in religioso silenzio.
«Volevo dirti che mi sono iscritto all'università», mi guardò.
Un grosso sorriso mi fece riprendere, allargando le mie labbra e le mie braccia.
«È fantastico!! Sono veramente contenta che tu abbia raggiunto il tuo obbiettivo dall'asilo», lo strinsi forte a me.
Aveva i muscoli abbastanza tesi, c'era di più sotto e lo sapevo.
«Vorrei che tu venissi con me», mi rispose tutto d'un fiato.
«Al college? Kevin...», iniziai.
«Cosa, Hayra? Cosa, ancora?? Cazzo, quando hai intenzione di lasciarti andare un po'?!».
Abbassai lo sguardo, concentrandomi sulle mattonelle del pavimento rovinato.
«Ne abbiamo già parlato anni prima».
«Ti rendi conto che non può andare avanti così? Abbiamo affrontato questo discorsi anni e anni fa, perché non è cambiato niente? Hai mollato la scuola, non significa che tu non possa recuperare!», mi voltò le spalle, scompigliandosi i capelli.
Non risposi.
«Scusa», disse all'improvviso. «Dimenticalo».
Il silenzio calò, per la prima volta da quando ci conoscemmo che avevamo tre anni.
***
Nei miei momenti di nervosismo, non potevo mai lasciare che la collera mi invadesse.
Dovevo rimanere lucida, sobria, razionale.
Iniziai così a correre, per liberare la mia mente.
Le mie gambe si muovevano agili a ritmo con il mio cuore che implodeva ogni pesante secondo, le mie braccia si piegavano in coordinazione per compiere determinati gesti, i miei occhi ogni tanto perdevano acqua per il freddo che regnava in pieno inverno.
La neve aveva invaso la mia cittadina inglese, rivestiva ogni singolo millimetro di bianco.
Volevo tanto stupirmene, come un bambino che la vede e ci gioca per la prima volta, come un neonato prova a camminare.
Eppure, niente mi suscitava quella sensazione.
Quel manto candido lo conoscevo, ci ero nata.
Un ragazzo mi si mise davanti, impedendomi di vedere davanti al mio naso.
Cercai di svincolarmi, ma non mi dava alcun accenno di volermi lasciare in pace.
Così, con un piccolo colpetto di spalla, lo accostai e superai.
«Veloce come il vento, eh?», si fermò, piegandosi sulle sue ginocchia, con il fiatone.
Mi fermai a quelle parole.
«Chase, ciao».
«Ieri non mi hai risposto».
«Ho avuto da fare», svincolai l'argomento.
«Ti va di uscire? Non accetto un no».
Spalancai gli occhi.
«Quando?».
«Questa sera?».
«Non posso. Troppo poco preavviso...».
«Sabato alle 22? Passo io a prenderti», mi studiò, sincero.
«No! Cioè... ci vediamo direttamente lì. Non scomodarti».
«D'accordo... che strano, alle ragazze piace. Allora ci vediamo davanti al locale più famoso di queste parti. E non portare niente, pagherò io».
Mi irrigidii, ma non affrontai la questione.
Magari me ne sarei occupata più avanti.
«Allora ci si vede».
«Ci si vede».
Passai avanti, mentre i miei arti prendevano fuoco e adrenalina.
Abbandonare la scuola senza finirla non era quello che avevo in serbo per me.
Ma c'era sempre una parte, dentro, che sapeva sarebbe finita così.
Me ne diapiacque, ma non me ne feci una colpa.
Perché sapevo, sapevo che non era colpa mia.
Giunsi davanti ad un bel panorama, quel che mi ci voleva per calmare i miei nervi proparsi per il mio corpo.
Trovai posto su una panchina, mentre ammiravo l'orizzonte che si mostrava mozzafiato.
Il sole stava tramontando per lasciare spazio al buio della notte.
Il rossastro che aveva portato l'azzurro del cielo aveva rubato gelosamente la scena, ma ben presto stava venendo rimpiazzato dalla notte.
Guardai quella grande palla arancione calare sempre più, fino a sparire dalla mia visuale.
Qualche ora dopo, sdraiata a pancia in su, mi lasciavo illuminare dalle stelle.
Vegliavano anche quella sera su di me, non mi lasciavano sole nel momento in cui nascevano.
Quando invece dovevano andarsene, non era mai un addio.
Era un arrivederci.
Il vecchio lampione che mi accostava si era spento da solo, ma quel calore nel clima freddo me lo regalavano quei piccoli ma tanti astri luminosi.
"Believer" risuonò nell'aria, facendomi sobbalzare.
Sfilai il cellulare dalla tasca e risposi in un nano secondo alla vista di "Fred💙".
«Stai bene?», chiesi di getto.
«Eh, certo, sorella!», esclamò, facendomi sorridere.
«Smettila di chiamarmi così. Cosa volevi?».
«Torni a casa?».
«Sì, sto arrivando», trascinai via il mio culo da lì in controvoglia.
«Ti aspetto».
«Sono quasi da te», riattaccai e sospirai guardando ancora quel lungo muretto di marmo che separava me dalla vista della città più o meno luminosa, poi me ne andai.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top