16. Mi aspetterai?

La casa era piombata nel silenzio più totale.
Incuteva quasi timore quell'atmosfera da funerale, non ero abituata a quel gelo proprio perché mio fratello rendeva viva me e le mura domestiche.

Ero sorretta al divano mentre aumentavo la stretta sulla pelle bianca di esso.
Avrei voluto fosse sabbia per la soddisfazione di poterne rendere granelli attraversabili per le mie dita e lentamente svanire come se non ci fossero mai stati, ma non ci sarebbe stato desiderio da realizzare.

Quella sera il vento soffiava forte, al punto da dimenticarmi di sussultare ogni due per tre da quanto mi ero abituata alla sua forza della natura.

Il mio incubo mi fissava imperterrito, senza alcun accenno a volersene andare.
Non fiatava, aspettava una mia mossa, o reazione che prevedibilmente non sarebbe tardata ad arrivare.

«Cazzo...», sussurrai, sbattendo il mio piede contro un mobile.

Ash, a mia sorpresa, rimase ancora paralizzato ad aspettare che dicessi qualcos'altro che non fossero imprecazioni.
Non mi concentrai su di lui, nonostante fosse l'unico vivente nella mia circostanza.

Passai le mie mani sui capelli snodandoli da ogni nodo, poi afferrai le chiavi della macchina.

Lui continuò a non dire niente.

«Vieni con me, senza dire nulla», gli dissi con voce impassibile.

Non avevo bisogno di una spalla su cui essere sostenuta, avevo bisogno di un diversivo.
E sarebbe arrivato presto.

Guidai fino al grosso ufficio e chiesi della signora Keller, la nostra riferente di famiglia.

«Fredrick Stevens? Oh, sì. È stato spedito in una famiglia composta da madre e padre senza figli, sotto richiesta».

«Sotto... richiesta? Da chi?».

«Mi dispiace, ma non posso dare questo tipo di riferimento».

«Ho bisogno di vederlo e lo sai».

Sia lei che Ash continuavano a guardarmi.
Quest'ultimo mi fissava quasi spaventato da quanto per me fosse tutto normale.

«Signori Dreamy, terzo isolato a destra a partire da qui. Ora vai».

Annuii come a ringraziarla, poi trascinai con me l'idiota con cui ero.

«Ma se hai un ragazzo, perché hai chiesto a me?», mi chiese sfrontatamente.

«Perché eri il più vicino a me. Non significa niente, fai solo parte di un piano. Tu assecondami e basta», lo ammutolii parcheggiando.

Bussai alla porta di legno.
Due signori dai capelli entrambi biondi, lei con gli occhi neri e lui azzurri, erano dirimpetto a noi.

«Sì? Come possiamo esservi d'aiuto?», la sua voce stridula nonostante fosse sulla cinquantina mi ruppe quasi il timpano sinistro.

«Buonasera. Sono la sorella del ragazzino che avete da voi in prova. Potete farmelo vedere? Non siamo mai stati lontani a lungo, potrebbe recargli molto dispiacere», spiegai la situazione educatamente.

I due, suppongo marito e moglie, si guardarono.

«Vi devo spiegare la situazione. Perfavore, fatemi entrare».

Il mio "compagno d'avventure" mi piaceva tanto quando non parlava, non guardava me, o non respirava troppo forte.

Ci fecero passare proprio nel momento in cui Fred stava scendendo dalle scale.

Il macigno che avevo sul cuore si alleggerì quando lo vidi correre verso di me.
Lo strinsi forte, in maniera da non farlo più allontanare da altre braccia che non fossero state mie.

Mi ero inginocchiata per abbassarmi alla sua altezza, ci toglievamo qualche centimetro, anche se non ero esageratamente più alta rispetto a lui.
Lo squadrai come a volerlo ripulire da ogni male che poteva aver subìto e gli baciai la fronte.

«Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?», gli sussurrai in via confidenziale.

Scosse la testa.

«Avevo paura non mi avresti cercato...».

«Fred, perché dici così?».

«Mamma lo ha fatto...perché non avresti dovuto tu? Non sono nemmeno tuo figlio, sono solo tuo fratello. Avresti potuto lasciarmi qui».

Rivolsi uno sguardo rapido ad Ash che stringeva la mano ai due per guadagnare tempo.

«Ascolta; io non sono e non sarò mai nostra madre. Voglio che questo ti sia chiaro. Secondo: non hai risposto».

«Sto bene. Ho solo avuto paura che ti dimenticassi in fretta di me o che... insomma, pensassi che fossi scappato senza avvisare».

Il mio sguardo si addolcì.

«Come puoi pensare ad una cosa del genere? Guardami; mi hai fatto preoccupare non sai quanto».

Lo avvicinai ancora a me, tastando di nuovo il suo corpicino.

«Non posso prometterti di tornare a casa ora perché non posso fare nulla. Ma ti giuro, ti giuro, che tornerò a prenderti al più presto. Verrò a trovarti se mi sarà concesso, non l'avranno vinta. Tu sii forte per tutti e due e rendimi fiera del maschio di casa», gli sorrisi, alzandogli il ciuffo.

«Qui va bene, loro sono bravissimi. Mi hanno detto che non hanno potuto avere figli, ma se gli avessero potuti avere, sarebbero stati serviti su un piatto d'argento allo stesso modo di come trattano me».

Mi sentii non abbastanza davanti a quell'affermazione, come se io fossi niente davanti a quei due estranei che in poco tempo lo avevano trattato da re, quello che io non potevo fare nonostante tutto quello che facevo per dargli il meglio.

«Vado a parlare con loro, va bene? Tornerò quando potrò. Farò quel che mi è in potere», mi assicurai che avesse capito, baciandogli poi la guancia.

«Eccomi, scusate. Volevo parlarvi di mio fratello e della situazione. Solitamente occorrono gli assistenti sociali in condizioni drastiche. Vi garantisco che non lo siamo, ci deve essere stato un errore».

«Eccome che lo siete. Ci è stato riferito che vivete in un ambiente ostile, poco igienico. Vostra madre è assente e vostro padre non è autosufficientemente maturo per prendersi cura di voi».

«Mi dispiace contraddirla, signora, ma mio fratello vive con me. Ho raggiunto la maggiore età e presto ne avrò la custodia a pieno. Oltre tutto, ha pure una figura maschile in un ambiente amorevole. Infatti, il mio ragazzo ed io ci amiamo tanto da non fargli mancare alcun affetto. Non è vero, amore?», marcai l'ultima parola in un sorrisetto da evidenziare l'ultima parola e appoggiare la testa sulla spalla di Ash.
Lo sentii rigido, ma seppe mantenere il volto serio senza farsi sopraffare dalle emozioni o dal brusco cambio di direzione.

Il piano stava andando a gonfie vele.

L'uomo si intromise.

«È chiaro, però, che siete giovani. Non potete sapere il duro mestiere di un genitore, avete così tante esperienze da vivere che non riavrete più. Per non parlare di un ragazzino di undici anni soppresso dalla sorella poco più grande di lui. Non deve essere semplice. Sono certo che non sapete a cosa state andando incontro. Credete di saperlo, ma in realtà no».

Spostai i capelli dietro la schiena, mentre il mio coetaneo era a bocca aperta da tale faccia tosta.

«Saremo anche giovani, non lo metto in dubbio. Verremo privati di tante prelibatezze che non asseggermo mai e, sapete, non mi interessa. Dai primi istante della sua vita, mio fratello ha mostrato una grande maturità e accettazione di vivere con la sorella e non gli è mai pesato. Non voglio essere sfacciata, ma se voi non avete potuto avere figli, è un affare che non vi riguarda. Mio fratello ha già una famiglia, e siamo noi. Ci sono tanti bambini orfani là fuori, bisognosi di questa grande opportunità che voi state donando bene ma al bambino sbagliato».

«Le assicuro che l'unica che sbaglia, qui, è lei. Avremo un appuntamento dal giudice, si procuri un avvocato bravo. Ora le chiedo gentilmente di uscire di casa».

Guardai mio fratello rimasto sull'uscio della porta.
Ricambiava come un cucciolo smarrito, ma non mi aveva privato del piccolo sorriso come per dire "ti aspetterò".

Gli sorrisi con il cuore in gola ed insieme ad Ash ci allontanammo.

«E ora? Cos'hai intenzione di fare?».

«Lottare per chi amo. Hanno vinto il primo round, non la battaglia».


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