CAPITOLO I

L'ULTIMA FIAMMA

Non molto tempo rimaneva alla giovane donna, prima che la schiera di uomini armati di alabarde affilate dallo sguardo truce buttasse giù il pesante portone dietro il quale si era rannicchiata; qualche tempo prima ammirato per le sue rifiniture in oro e per le scene inquadrate in rilievo, anch'esse di quel materiale prezioso, l'ingresso della fortezza stava ora per perdere tutta la sua imponenza.

Si alzò di scatto come se avesse percepito l'imminente boato e percorse il lungo corridoio godendosi per l'ultima volta la morbidezza del velluto, percorrendo con i piedi nudi il tappeto che si diramava in due, seguendo la pianta del palazzo.

Si nascose dietro ad una delle ultime colonne che ornavano l'androne e strinse forte a sé il fagotto a cui di tanto in tanto lanciava un'occhiata, e sorrideva.

Il fragore provocato dal portone ormai a terra riempì la stanza ed un folto gruppo di guardie, che senza batter ciglio colpivano a morte i servi ed i paesani che si intromettevano sul loro cammino, si diresse ai piani superiori.

La donna, che sentiva gli uomini sempre più vicini a lei, appoggiò la mano alla parete e di colpo sul muro e sul soffitto comparvero delle crepe dalle quali si distanziò subito, e distratte le milizie, corse verso la scalinata.

Al piano di sotto la caduta dei detriti le aveva fatto guadagnare un po' di tempo.

Mentre saliva pronunciò a bassa voce una formula e dalle sue mani trasparì una leggerissima luce sui toni del rosso. Il fagotto emise una risata sommessa.

Arrivata al piano, evitò gli sguardi delle persone che sapeva la stessero indicando con odio e disprezzo, ma mentre stava cercando una via di fuga, si sentì tirare per la gonna da due mani piccole ma forzute. Cadde a terra e di nuovo protesse l'involto con le esili braccia.

«Sciagurata!» Urlò la donna che l'aveva trascinata.

«Sciagurata! Non vedi cosa hai portato?! E quel bastardo a cui tanto tieni, vale più di mio figlio, che ho perso laggiù in battaglia?» La sciagurata cercò di dimenarsi, liberandosi a fatica il braccio.

«Chi mi renderà il suo corpo? Chi piangerà la sua morte se morirò qui, per colpa tua, lurida prostituta?!»

E fu solo dopo aver ricevuto un sonoro schiaffo sul viso, davanti agli occhi sdegnati di tutta quella gente, che la donna pronunciò parole diverse da quelle di prima, e con un'enfasi maggiore, alzando il mento.

Quella, colta dal terrore, si toccò il volto dopo aver lasciato la presa. Scottature e bruciature segnavano il suo corpo ovunque toccasse, con la stessa mano che aveva ferito la maga che con un sorriso terribile si rialzava, massaggiandosi la guancia dolorante.

Le persone che avevano aiutato la ferita venivano scottati a loro volta, lasciandola presto in disparte, senza però che nessuno osasse dire nulla di cattivo a colei che l'aveva come maledetta.

La maga si sciolse i lunghi capelli rossi che teneva prima a bada con diversi nastri e spilloni dorati e continuò la sua fuga, dirigendosi verso una seconda rampa di scale che conduceva alle stanze dove erano soliti alloggiare i nobili. Sorpassò file e file di guardie del castello che avendola riconosciuta abbassavano lo sguardo mentre si dirigevano ai piani inferiori. La maga si fermò ad una porta, nascose bene il fagotto nella veste e dopo aver ripreso il fiato, bussò tre volte con forza. A risponderle fu una voce maschile.

«Chi siete?»

«So che siete tutti rinchiusi in quella maledetta stanza dannazione, fatemi entrare!» Rispose urlando la maga.

Dopo diversi istanti di silenzio, in cui si sentivano una voce femminile ed un'altra maschile discutere, l'uomo che era alla porta ricevette un comando e la porta fu aperta.

Furibonda più di prima, la maga agitò le mani verso i due cavalieri che stavano già per immobilizzarla. Dalle dita si propagarono delle luci sottili e veloci che avvolsero i due malcapitati, stringendo gli arti come se venissero legati, impedendogli di compiere alcun movimento, se non doloroso.

La maga avanzò lentamente verso il talamo, dove due figure, una più tremolante, stavano indietreggiando. Quella maschile si arrestò.

«Guinevere. Fermati» Disse l'uomo con voce ferma.

«Mi avevi promesso che nulla di questo sarebbe successo» Fece scaldare la mano destra, mentre con la sinistra reggeva il peso. Continuò ad avanzare, lanciando una piccola fiammella verso il tessuto damascato di cui si componeva il letto, vicino alla donna bionda.

«Dorian! Fai qualcosa, per il bene di Mythebelle!» Gridò la donna coprendosi i capelli. «Vuole ucciderci, e lo farà! Ohh, eccome se lo farà! Manderà queste terre in rovina, ci lancerà qualche maledizione, mi renderà sterile e poi-»

«Se solo potessi farlo, l'avrei già fatto.» Sentenziò Guinevere.

«Belka, fa' silenzio. Guinevere, devi andartene da qui, adesso. Rimanendo qui farai solo del male»

Guinevere si fece ancora più rossa in viso.

«Hai anche il coraggio di cacciarmi adesso? Sciagurata lo sono davvero dunque. Disgraziata, poiché ho creduto alle tue parole, poiché ho creduto che il tuo desiderio fosse davvero quello di andar via, ma d'altronde..» Diede uno sguardo al piccolo, che tentava di addormentarsi ancora cullato dal tepore infusogli prima.

«D'altronde tutti i re sono cresciuti per essere avidi, senza scrupoli, con l'unica necessità di colmare i vuoti delle loro giornate tra una guerra ed un'altra con piaceri effimeri»

Rise malinconicamente.

«E quando hai capito che la tua vera natura non ti permetteva di lasciarti sfuggire un matrimonio così vantaggioso, hai deciso che mettermi da parte sarebbe stata la cosa migliore, lasciando credere a quel popolo ignorante ciò che ti faceva sembrare pulito, usato, unicamente per i MIEI scopi»

«Guinevere, ti prego. Di cosa hai bisogno? Se sono i soldi quelli che ti mancano, sarò disposto a darti qualsiasi cifra»

La maga guardò l'uomo con gli occhi pieni di sdegno.

«Non accetterei mai soldi da te.»

«Dorian cosa aspetti? Chiama le guardie! Falla giustiziare! Fai in modo che lei e quel bastardo che porta sotto il mantello brucino tra atroci sofferenze!»

Fu un attimo.

Guinevere fu presa da una rabbia irreprensibile, tale che oramai non era più nemmeno necessario pronunciare alcunché affinché la magia fluisse sortendo l'effetto desiderato. Le pupille s'ingrandirono riempiendo quasi completamente l'iride nocciola e le ciglia si allungarono, così i capelli, similmente a dei serpenti appena liberati da un vaso, si curvarono formando delle onde e la gonna purpurea si alzava appena.

La maga era fuori di sé.

Il re scavalcò il letto, abbassando la testa della sua consorte per proteggerla dalle intense fiamme che divampavano dalle mani di Guinevere. Dalla camera accanto, sentite le urla di Belka, confluirono nella stanza alcune guardie anch'esse munite di alabarde che senza paura fendevano l'aria mirando al petto della sciagurata.

Quest'ultima divampò e con un urlo sovrumano che fece in mille pezzi i vetri delle finestre, lanciò altri artefici contro di loro. Le spirali di fuoco puro divoravano le scintillanti armature e tutto ciò che vi era dentro, bloccando gli altri uomini sull'uscio, sgomentandoli dalla paura.

Uno fu più coraggioso, e scagliò lo stiletto che portava sul fianco verso di lei, ferendola al braccio destro facendola urlare dal dolore. Di contro, presa dall'adrenalina, rilanciò il pugnale imbevuto d'odio verso la guardia, che venne colpita alla gola.

«è forse questo quello che vuoi, Dorian?»

Quello tacque.

Guinevere fece appena in tempo per guardare Belka negli occhi e sputarle sulle scarpe di raso prezioso.

Si accasciò a terra e si sedette con la schiena ad una cassettiera, faccia a faccia con i due, feriti dai frammenti di vetro mentre il tappeto e la carta da parati bruciavano facendo alte le fiamme.

Estrasse il fagotto dalla veste e gli scoprì il viso. Aveva le palpebre appena socchiuse e un'espressione serena sul volto mentre la madre lo portava al seno. Parve che anche lei in quel momento si fosse estraniata da ogni cosa, come se fosse al sicuro in una cupola di vetro.

Durò poco. Ritorse uno sguardo arido al re, che si stava avvicinando piano a lei.

«Guinevere..» Sussurrò piano mentre lentamente portava una mano sulla morbida guancia rosea del bambino. Aveva gli occhi verdi come i suoi e la boccuccia distesa in un placido sonno.

Lei distese appena le braccia per permettergli di carezzarlo. Morbide ciocche rosse cadevano sul volto della donna spossata dalla fatica, le labbra arrossate, stanche ed ansimanti sembravano voler dire: non è ancora troppo tardi.

I suoi occhi languidi ancora vivi erano fissi in quelli dell'uomo che le reggeva lo sguardo.

Guinevere aprì la bocca, per dire qualcosa, ma non uscì alcunché. Caldo sangue le bagnava il fianco destro, mentre sentiva piano piano che la magia la stava abbandonando, stretta com'era, nei legacci imbevuti di delirium.

Riscaldò le mani un'ultima volta e da quell'ultima fiamma si generò un piccolo medaglione, che mise sul petto del bambino, caldo ed accogliente.

Il bambino si mise a piangere, scalciava e batteva forte le manine sulle spalle del re, come volesse punirlo.

Dalla moribonda, sottili parole:

«William, questo è il suo nome.»

Dorian le diede un bacio sulla fronte.

La maga lasciò andare il corpo, poggiando tutto il peso sul tappeto rosso che decorava la stanza, forse una delle poche cose che non si erano consumate del tutto. Una lacrima le solcò il viso.

Il re prese tra le braccia il piccolo William che non aveva smesso di dimenarsi e velocemente prese il braccio di Belka che era rimasta a guardare, e corse oltre la porta senza fare caso ai due cavalieri che stavano alla porta, ormai carbonizzati. Salirono velocemente le scale per raggiungere il torrione, dove un grosso numero di arcieri stava facendo fronte all'assalto. Belka rifiutò di sporgersi, ma Dorian vide che ormai era rimasto ben poco di Verendorth .

«Dov'è il capitano Aelwin?» Urlò ad uno dei tiratori.

«Al torrione ovest, signore!» Rispose quello senza girarsi.

Dorian trascinò ancora la consorte e corse verso l'ala sinistra, superando guardie e soldati che si affrettavano a scendere nelle stanza inferiori per far fronte ai nemici che erano già entrati.

«Aelwin!»

«Comandate signore! State tutti bene?» Nel chiederlo gettò un occhio a tutti e due, ma vedendo il bambino, si azzittì per un attimo. Poi riprese.

«Le mura sono state espugnate, ci attaccano dalle porte ovest ed est, presto arriveranno gli archi di ferro e tre catapulte, ma ci serve il vostro consenso.» Il comandante si girò verso le case e le botteghe, quasi irriconoscibili. L'insegna della Volpe Bianca si era fatta nera dalle polveri e sembrava che ondeggiasse al vento, mentre le luci delle fiamme avvolgevano la casa della massaia che con un gorgoglio veniva inghiottita e cadeva su sé stessa. Non c'erano paesani per fortuna nelle strade, erano tutti riusciti a rifugiarsi nel castello, fatta eccezione per i più deboli ed alcune donne rimaste bloccate sotto le macerie delle loro abitazioni. Il mercato era divelto, non era stato raggiunto dal fuoco, ma trovandosi al centro della città era stato distrutto col passaggio delle truppe nemiche. L'orfanotrofio che quella stessa mattina aveva festeggiato il compleanno di uno degli infanti, appariva privato del tetto di paglia, e da sopra si potevano scorgere resti di tavoli e di letti, nonché qualche bambola di pezza con gli arti mancanti.

«Molte case verranno distrutte, ma avremo la possibilità di impedire che altre truppe nemiche entrino. Cosa faremo, signore?»

Lo sguardo di Dorian aveva vagato a lungo sulle macerie, come aveva fatto quello di Aelwin, ma ritornò a posarsi sul piccolo che teneva stretto tra le braccia, che aveva appena ripreso a piangere.

«Si Aelwin, procedete.» Ritornò pensieroso, ma subito si riebbe. «Ai danni penseremo dopo, adesso bisogna salvaguardare le persone che sono rifugiate dentro il castello. Va'!»

Il comandante annuì e corse nelle retrovie per guidare le forze d'assedio verso i nemici. Grossi macigni volavano sopra le loro teste, chiudendo ogni ingresso possibile. Le urla e le grida dei nemici si confondevano agli strepiti di vittoria del gruppo di arcieri, che ormai aveva posato gli archi mentre vedeva finalmente uscire sopra al portone d'ingresso caduto i loro rinforzi.

Lo scontro ritornò nella piazza.

Alabardieri e un piccolo gruppo di cavalieri storniti con un orso dipinto sul petto dell'armatura, combattevano furiosamente ricordando le movenze del loro animale. Re Dorian osservava la scena con concentrazione. Solo quando vide da lontano la cavalleria nemica galoppare veloce verso le montagne e gli ultimi soldati rimasti sul campo lanciarono un ultimo strepito sui cadaveri dei loro avversari, alzò il braccio, in segno di vittoria.
Presto seguirono tutti gli altri. Urla e schiamazzi, risate e pianti, questi e molti altri suoni poteva udire il re, che avrebbe voluto sorridere, ma non ce la fece.

Verendorth Aveva superato l'assedio.
























Note dell'autrice
Salve sconosciuti lettori, questa storia è nata da una piccola idea tutt'ora in via di sviluppo.
(Solo quando verranno eliminate queste note si potrà definire la storia veramente completa ed ultimata)
Pertanto accetterei di buon grado i vostri commenti qui sotto, anche per capire cosa pensate che potrebbe uscir fuori!

Detto questo, non darò delle scadenze, ogni capitolo avrà una lunghezza variabile ed una data di pubblicazione diversa.
(Considerateli come una sorta di prova, di esercizio di scrittura)

Se avete considerazioni o volete sapere qualche dettaglio, potrei rivelare qualcosina, qualora la curiosità sia sensata ed in linea con quello che vaga nella mia mente.

Grazie mille per l'attenzione,
e buona proseguimento!

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