La vita va avanti

Gli anni dell'università erano trascorsi in un baleno, sereni e densi di soddisfazioni personali.

Mi laureai con lode, ma in famiglia non ci furono molti festeggiamenti, la notizia fu accolta come cosa scontata, solo la nonna si dimostrò particolarmente contenta e partecipe alla mia felicità, era stata l'unica in tutto quel periodo che mi aveva sostenuta ed incoraggiata a raggiungere i miei obbiettivi.

Il giorno in cui discussi la tesi  i miei genitori non vennero neppure e in aula mi ritrovai sola, ho ancora la foto , io seduta davanti alla commissione, lo sguardo sereno ed il sorriso pronto, ma sola, senza nessuno che mi aspettasse, dietro me solo sedie vuote.

Non ci rimasi molto male, già sapevo che sarebbe finita così, che i miei sarebbero rimasti defilati in  quel giorno importante per me ma non per loro, ancora una volta avevo disobbedito ai desideri di mio padre, quello di vedermi laureata in ingegneria e soprattuttto quello di volermi  plasmata secondo le sue aspettative, una ragazza solida, quadrata, senza grilli per la testa, che avrebbe dovuto continuare ad occuparsi del piccolo impero  di cui  lui era a capo.

Invece no, io avevo trasgredito molti suoi ordini, infrangendo i suoi sterili sogni e ora dovevo in qualche modo pagarne le conseguenze.

Uscii dall'aula magna  con lo sguardo fiero, mi sentivo forte, invincibile e sentivo che accanto a me c'era Salvatore, in qualche modo c'era, inghiottito nelle spire vorticose del tempo, risucchiato in uno spazio fisicamente lontano, ma in realtà molto vicino, ne ero convinta.

Una volta giunta a casa trovai una piccola festa fra parenti ed amici strettissimi, mia madre giustificò la sua assenza  alla cerimonia di laurea dicendo che aveva dovuto organizzare tutto da sola e quindi non aveva fatto in tempo.

Mio cugino seduto in un angolo sogghignava, guardandomi,  ma a me la sua aria di superiorità non  creava nessun disagio, lo salutai con molta semplicità e una franca stretta di mano.

MI porse un pacchetto, un regalo da parte sua e dei suoi genitori, cioè i miei zii, un cofanetto d'argento con incise sopra le mie iniziali, era bello,  e raffinato, lo aprii e mi accorsi che era la  versione  elegante del carillon che mi aveva regalato Rosa anni addietro.

Un tuffo al cuore mi fece vacillare, non sapevo se il regalo di Alberto fosse una pura e semplice casualità o se lui, in qualche modo fosse venuto a conoscenza anche di quella storia, però preferii non indagare, lo ringraziai  senza mostrare il mio turbamento, lui continuò a sorridere emigmaticamente, ma decisi di archiviare ogni mio pensiero negativo e di prendere quel dono come un segno del destino, un qualcosa  che voleva ricordarmi quale fosse  il mio cammino, un cammino teso verso il ricongiungimento con l'amore della mia vita.

" E allora, ecco la nostra dottoressa!" mi salutò mio padre con falsa allegria , dandomi un bacio distratto sulla guancia, poi continuò: "vedremo in futuro cosa le porterà di bello questa laurea, che per ora è solo un pezzo di carta, non come quella del nostro caro Alberto che mi sta  aiutando moltissimo".

Alberto gongolò girandosi fra le mani la flute di champagne, mentre io sfoderai un sorriso disarmante che  mise a tacere ogni piccola cattiveria : "Lotterò come sempre per le mie idee e per i miei sogni", conclusi con aria vincente.

E così è stato, fra alti e bassi, ho sempre lottato per raggiungere quello  per cui mi sentivo portata, senza cedere a ricatti, pur inciampando in errori come quello di  aver intrapreso una relazione con Nicola, ma si sa, dagli sbagli si impara e gli sbagli, purtroppo, non erano finiti!

Tornando un passo indietro, durante quegli anni, non avevo avuto più nessuna storia sentimentale degna di questo nome, solo qualche blando flirt, senza nessun interesse di approfondimento da parte mia; avevo rivisto Nicola tramite la compagnia della parrocchia, era venuto a qualche raduno, a qualche serata di quelle allegre, fra canti e  merende e paesaggi incantevoli e aveva tentato di ricucire un rapporto con me, negando di avere tendenze omosessuali, negando di fronte all'evidenza, si era scusato per  avermi lasciata , dicendo che era pentito di quella sua decisione, ma io non provavo più niente per lui, solo un piccolo, solitario senso di nostalgia per il tempo trascorso insieme, ma nulla più.

Glielo dissi in modo pacifico, invitandolo a leggersi dentro e a chiarirsi con se stesso ed alla fine non mi cercò oltre, scomparve anche dal gruppo; seppi che dopo poco tempo si era fidanzato con una  nobildonna veneta , piuttosto brutta e neppure molto intelligente, secondo le malelingue, ma titolata e questo bastò perchè le venissero aperte le porte della sua famiglia.

Si sposarono dopo qualche anno, andando a vivere a Padova dove risiedeva la famiglia di lei, ebbe un figlio, bellissimo, ma poi lasciò la moglie per il ragazzo slavo che avevo incrociato al bar, ed era tornato a vivere in toscana, l'ho rivisto  qualche volta, di sfuggita, ci siamo salutati con un sorriso formale e niente più.

Di lui mi sono rimaste alcune foto sbiadite dal tempo e alcune lettere vergate dall'inconfondibile grafia svolazzante, poi i ricordi, ormai addolciti , su cui si è depositata la patina della  nostalgia e del tempo che fu.

Dopo la laurea iniziai a fare praticantato presso uno studio legale piuttosto importante della mia città e senza nessuna raccomandazione,  con grande sorpresa dei miei genitori, soprattutto di mio cugino e di mio padre, poi i mesi iniziarono a passare vorticosamente, portandomi quasi senza potermene rendere conto a sposare Giacinto detto Giachi.

Giachi era un uomo bellissimo, dal fascino particolare, alto, possente, la faccia solare dai lineamenti perfetti,  incarnava il sogno proibito di molte ragazze, ma lui scelse me.

Ci conoscemmo nello studio legale che frequentavo, lui era amico del figlio del titolare e veniva spesso  da noi   per un motivo o per un altro e  fin da subito iniziò a mostrare interesse nei mei confronti, ma io non ci feci molto caso, mi dava l'impressione del classico uomo galante che fa i complimenti un po' a tutte, invece lui era veramente interessato a me e non mancò di dimostrarmelo nei mesi a venire fino a quando accettati di incontrarlo fuori dallo studio.

Mi portò in una sala da thè molto elegante e fra un pasticcino e l'altro mi raccontò  di sè,  aveva intrapreso la carriera militare e amava molto lo sport in particolare la vela e l'equitazione, discipline in cui eccelleva, viveva nella mia città da qualche anno  e la sua provenienza era Benevento, lo avevo intuito dall'accento che mi ricordava tanto Salvatore, ma questo non volevo neppure dichiararlo a me stessa.

Trascorsi quelle due ore in sua compagnia come se fossi  stata rapita in un altro mondo, non solo Giachi era bello, ma mostrava di essere affabile, gentile e anche molto simpatico.

Guardavo i suoi occhi dal colore particolare, un misto di grigio e nocciola molto attraente, guardavo le piccole efelidi  che punteggiavano la pelle chiara, ammiravo il candore sel suo sorriso,ma soprattutto mi lasciavo affascinare dalla sua voce, dal suo modo di parlare  fluido, proprio delle persone sicure di sè, che sanno di piacere  e tutto questo mi rendeva felice,

"Posso accompagnarti a casa?" mi chiese alla fine del piacevole appuntamento.

"Si, grazie" mi ritrovai a rispondere quasi senza rifletterci, sorprendendomi per questa mia improvvisa apertura ad un semisconosciuto.  Dopo la storia con Nicola ero diventata molto guardinga e diffidente,  ma  ora sentivo che quel periodo stava finendo e che finalmente  ero pronta per una nuova conoscenza.

Non abitavo molto lontano dalla sala da the e ci avviammo a piedi . "Rinunciamo all'auto?" mi chiese il mio accompagnatore,  una volta conosciuto il percorso che dovevamo fare .

"Mi piace camminare  e poi la strada è breve." Ci incamminammo  lentamente, lui mi prese sottobraccio e mi sorrise: "Posso?" domandò con un sorriso disarmante e io risi, non  so perchè ma risi e mi coprii la bocca con la mano, come una bambina intimidita. Lui mi seguì nella risata, stringendomi  brevemente a sè.

Ci lasciammo con il proposito di rivederci presto e io  quella sera mi sentii al settimo cielo, leggera   come non lo ero da tempo.

A casa non si respirava un'aria serena, in quel periodo. L'attività di famiglia stava iniziando a dare piccoli segni di cedimento, niente di veramente eclatante, ma notavo che mio padre  era sempre più teso, a tratti sfuggente, sembrava quasi aver tirato i remi in barca  avendo perso molto del suo smalto, della sua brillantezza; anche mio zio e mio cugino erano più silenziosi, preoccupati.

Nessuno però diceva niente, ma io percepivo che qualcosa non stava andando per il verso giusto, captavo la sofferenza degli altri e la incameravo, la facevo mia, ma quell'incontro con Giachi mi aveva portato una ventata di freschezza e di felicità, distogliendomi dalle sensazioni meno positive che l'atteggiamento dei miei familiari mi procurava.

Durante la cena mi ritrovai più volte a fissare  il vuoto con un aria sognante, la qual cosa incuriosì mia madre, che mi guardò perplessa,ma ebbe il buon gusto di non chiedere niente, mio padre ormai  partecipava sempre meno alla vita familiare, era fisicamente presente, ma distante anni luce da tutti noi, a me non dispiaceva affatto, mi sentivo meno sotto controllo, meno oppressa e ne stavo guadagnando in serenità.

Quella sera, però volli essere io a raccontare di me e introdussi il discorso sulla mia nuova frequentazione.

"Quanti anni ha? Chiese la mamma senza molto interesse.

"Quattro più di me"..

"E' già sistemato, allora".Affermò con aria distratta il babbo, mentre continuava a mangiare.

"Sì, è un militare di carriera", risposi con un moto di orgoglio, che stupì me per prima, dato che fra  me e Giachi c'era stato solo un the condiviso e poco più.

I miei genitori si guardarono senza dire altro, mentre la nonna sorrise appena, cercando di togliersi dall'imbarazzo che si stava creando.

"Bene", esordì  per poi continuare:"allora, un giorno lo conosceremo volentieri, questo tuo nuovo amico".

"Ora abbiamo altro a cui pensare".La voce di mio padre si stagliò chiara e netta , fendendo il silenzio che era calato, detto questo si alzò  gettando nervosamente il tovaglio sulla tavola.

Io non dissi nulla, ormai era chiaro che la mia famiglia stava navigando in cattive acque, la mamma e la nonna  gli corsero dietro e io  mi diressi verso la mia camera.

Mi guardai intorno e pensai che forse a breve avremmo dovuto  cambiare stile di vita,  avrei dovuto lasciare  quella camera, quella casa, molti dei privilegi che avevamo, ma dentro me sentivo che io sarei stata la più fortunata di tutti, sarei stata quella che avrebbe trovato la sistemazione migliore, ero sicura che avrei sposato Giachi.





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