Capitolo 1
Dopo aver udito il gatto pronunciare quelle parole il tempo sembra fermarsi all'istante e per qualche lunghissimo secondo mi ritrovo a sbattere le palpebre, incredula e incerta sul da farsi.
"Sono pazza, non può essere vero". Ma proprio mentre faccio questa riflessione il gatto parla di nuovo, la voce squillante e indispettita.
«Hai finito di guardarmi in quel modo? Ho forse dei pupazzetti sulla fronte?!» tuona in mia direzione.
Mi guardo intorno, forse in modo sciocco e troppo innocente, quasi a voler trovare la fonte di quelle parole da tutt'altra parte che quella reale, perché il mio io razionale non può certo credere che un gatto si sia materializzato improvvisamente in casa mia, per giunta parlando.
E mentre mi guardo intorno nella stanza incrocio il mio riflesso nello specchio, accompagnato ovviamente dalla figura del felino di fronte a me. Non ci sono dubbi, è vero.
«Quando ti convincerai che sono qui veramente...?» mi incalza lui.
L'animale scatta sul materasso e si acciambella sulla morbida coperta di pile, leccandosi le zampe anteriori con una noncuranza tale da farmi credere di conoscere il posto da sempre.
Il mio cuore accelera i battiti e mi manca il fiato, così decido di lasciare la stanza immediatamente e mi dirigo verso la cucina in cerca di qualcosa da fare. Ho lo stomaco sottosopra e non ho proprio voglia di mangiare, ma almeno cucinare mi terrà la mente occupata. Così tiro fuori dal frigorifero tutto quello che ho, e venti minuti dopo sono seduta a tavola con un piatto d'insalata con mozzarella, mais, tonno, olive, carote, finocchi, ceci, pomodori e scamorza a pezzetti: sì, in effetti non ho cucinato, ma solo mescolato tutto in una ciotola abbastanza grande da accogliere un pasto degno di un'intera caserma. Non ho fame, ma inforco comunque un primo boccone, tanto per distrarmi.
E mi va di traverso quando vedo il gatto camminare placidamente verso di me dalla camera da letto.
«Hai finito di fare la preziosa?» la sua voce mi strappa un tuffo al cuore. «Ti ho già fatto almeno tre domande e nessuna ha ricevuto risposta, ti ho dato del tempo per riflettere e ora ti ritrovo qui a mangiare come se tutto questo non fosse importante?!» mi sbraita contro, con tutto il fiato che ha. Balza sul tavolo e io mi abbandono indietro sullo schienale della sedia, sospirando.
«Quindi è vero...» mi lascio sfuggire con un filo di voce.
Il gatto fa roteare gli occhi al cielo, proprio allo stesso modo di un essere umano.
«Certo che sì! Ma non lascerò che mi tocchi, ragazzina». Di nuovo quell'appellativo. Di nuovo quel tono sprezzante. Si è auto invitato in casa mia da nemmeno mezz'ora e già si crede il padrone!
Ma poi... Di cosa stiamo parlando?! È un gatto!
Mi alzo in piedi e prendo a camminare avanti e indietro per la cucina, persa nei miei pensieri.
Sono pazza. Ho le allucinazioni. Lo stress. Sì, lo stress. Chiara me lo diceva di trovarmi un hobby, qualcosa per distrarmi dal lavoro, ma io non le ho dato retta, che stupida!
Poso lo sguardo sull'animale e, nonostante i miei pensieri razionali, la mia bocca si muove per parlare.
«Non so come sia possibile tutto questo, ma... Perché sei qui? Sembra che tu mi conosca.»
La voce mi esce più sicura di quella che ho in testa.
Il felino mi squadra da capo a piedi, con quegli occhi allungati e dorati che riflettono la luce conferendogli un'aria solenne e intrigante. «Io ti conosco, infatti, Sofia.»
Il mio nome, pronunciato da lui, ha una morbidezza e una musicalità profondamente differenti da tutte le altre parole che ha pronunciato finora, molto più dirette e sprezzanti.
«Mi chiamo Tom e sono stato incaricato di scortarti al Rifugio, dove incontrerai qualcuno che ti darà tutte le informazioni di cui hai bisogno per la tua missione», continua lui in tono risoluto.
«L'unica cosa che devi fare, adesso, è fidarti di me e seguirmi. Ti converrà portare uno zaino con alcuni cambi e oggetti di prima necessità, non credo che torneremo qui molto presto.»
Lo guardo in silenzio, e anche quando finisce di parlare non rispondo subito. Anzi, mi prendo cinque minuti buoni per riflettere, e in tutto quel tempo ci ritroviamo ad osservarci senza battere ciglio.
Alla fine scoppio a ridere, di una risata isterica e insensata. E a quel suono vedo Tom scuotere la testolina e sospirare.
«Ma proprio a me doveva capitare quest'incombenza?!» osserva sconsolato.
Cambio stanza, mi avventuro nel corridoio ancora ridendo, intenta a imboccare la porta del bagno per lavarmi il viso. Evidentemente ho bisogno di rinsavire. "Ma io non sto bene...cosa ho messo in quella cioccolata calda?", continua a chiedermi il cervello.
Fidati di me... risponde il cuore.
Che cavolo mi prende?
Apro il rubinetto e mi getto in faccia una buona quantità di acqua fredda, e dopo essermi asciugata per bene vedo il riflesso del gatto seduto sul bordo della vasca da bagno.
Sussulto.
«Scappare non ti servirà a nulla, è il tuo destino. E io sono qui veramente» mi dice. «Tuo padre mi aveva detto che eri un osso duro, ma non ho voluto dargli retta, ed ecco che mi ritrovo a pregare di fidarti di me» continua, in tono falsamente supplichevole.
Ma io non riesco a sentire nulla dopo quelle due fondamentali parole: tuo padre...
«Mio...» esito «...mio padre?»
Faccio cenno di "no" con la testa. Non è possibile.
«Mio padre è morto cinque anni fa» gli rivelo.
Tom mi fa un lieve sorriso sollevando un angolo della bocca.
«Tuo padre mi ha mandato a cercarti, fidati di me.»
Non posso credere a quello che sto facendo, ma qualcosa all'interno del mio cuore e della mia testa, finalmente comincia a farsi largo. Un dubbio. E una fiducia che non avrei mai pensato di avere.
Mio padre era venuto a mancare improvvisamente, avevo appena iniziato la facoltà di lettere moderne all'università, e un giorno mi chiamò l'ospedale dicendomi che avevano portato il cadavere di mio padre a seguito di un infarto avvenuto sul posto di lavoro. Scriveva articoli di attualità per un giornale locale, anche se voleva da sempre fare lo scrittore, e il suo sogno con il tempo era diventato il mio. Lui non ci era mai riuscito. Mi aveva rivelato di avere scritto un solo libro, che non era mai stato pubblicato, e che un giorno mi avrebbe fatto leggere.
Quel giorno non è mai arrivato e io ho dimenticato del libro, che non ho mai trovato in casa. Non so perché ci sto pensando ora.
Fidati di me... ancora quella voce.
E così mi fido, dopotutto.
«Non riesco a capire per quale motivo, ma andrò a prepararmi. Dammi del tempo, per favore», lo supplico.
Ma la risposta del felino tuona perentoria: «Trenta minuti, non uno di più». Certo.
Prima di avviarmi verso la camera da letto rifletto un attimo su ciò che sta succedendo: mi sembra di vivere una sorta di déjà-vu, in cui vedo me stessa dall'esterno come se non stessi realmente nel mio corpo. Sto eseguendo gli ordini di un gatto parlante che si è materializzato (?) in casa mia, mi preparo e parto per un viaggio senza meta. Tutto normale.
Razionalmente parlando, nessuno ci crederebbe, e io stessa ancora penso di essere impazzita.
Ma il mio cuore è quello di una sognatrice, fin da piccola, quando mio padre mi leggeva quelle fiabe fantastiche a cui penso ancora spesso. E in questo momento il mio cuore batte forte, incalzante, al ritmo del "fidati, preparati e parti per quest'avventura!". Per questo, alla fine, vado a prepararmi, perché quelle parole, nella mia testa, sembrano essere pronunciate da mio padre.
⊱ ⸻ ❀ ⸻ ⊰
Alla fine mi prendo quasi due ore per sistemare tutto prima di andarcene. Tom non ne può più di aspettare e se ne va in giro per la casa zampettando e ringhiando furiosamente contro ogni mio movimento. Ma è un gatto, cosa ne può sapere di come si deve sistemare una casa prima di andare in viaggio?!
Ad ogni modo preparo uno zaino con gli indumenti più pratici che ho, almeno tre o quattro cambi per vestirmi a strati (Tom non era stato molto d'aiuto - ovviamente - quando gli avevo chiesto dove saremmo andati e se avessi dovuto prepararmi a una stagione più calda o più fredda di quella attuale), poi aggiungo qualche prodotto di igiene personale e il mio libro preferito, dal quale non potrei mai separarmi.
Per viaggiare più comoda indosso dei pantaloni neri da yoga aderenti, una maglia oversize color malva a maniche corte, scarpe da ginnastica bianche e una felpa nera con il cappuccio da lasciare aperta, pronta per eventuali cambiamenti di temperatura. Raccolgo i capelli in una coda alta e, prima di uscire dalla stanza, mi soffermo sullo specchio: vedo una pazza dalla chioma color del rame, liscia e lunga fino alla base delle scapole, anche se ora legata dietro la nuca; gli occhi sono verdi come l'erba primaverile, piena di vita, eppure li odio; sul viso ho una spruzzata di lentiggini che spiccano evidenti per via della carnagione molto chiara. Non amo il trucco, difatti anche per il viaggio decido di non portare dietro i cosmetici e lasciare la mia pelle acqua e sapone. Mi hanno sempre detto che sembro più giovane di quel che sono. E non che sia vecchia, ovviamente.
Con ventiquattro anni sulle spalle e una laurea in lettere moderne, sogno da sempre di diventare scrittrice, un sogno che condividevo con mio padre, e che alla sua morte ho fatto totalmente mio per sentirlo più vicino. Mentre cercavo di scrivere il mio primo romanzo, un anno fa, avevo iniziato a collaborare con una rivista di life style, curando una rubrica sulle uscite editoriali del momento. Non mi sto accontentando, cerco ancora di diventare scrittrice, ma già da tempo mi trovo davanti a un blocco.
Torno al mio zaino e ci infilo dentro il Kindle e l'iPad, in modo da tenere sotto controllo la posta e gli articoli di lavoro. Fortunatamente il mio impiego mi permette di scrivere anche in smart working, quindi prendo con me tutto l'occorrente. Prima di partire mando anche una mail al mio capo, Chiara (che è anche una mia cara amica), per avvertirla che ho avuto un problema con una lontana zia e che devo partire, così da limitare il milione di domande sul mio non andare a lavoro.
Così, alla fine, sono davvero pronta a partire. Mi guardo di nuovo allo specchio per un lungo momento, do un'ultima sistemata veloce ai vestiti e poi mi stringo nelle spalle, pensando ancora una volta a quanto sono pazza a fare quello che sto facendo. Mi sento come Alice prima di seguire il Bianconiglio nella tana che la condurrà al Paese delle Meraviglie.
«Che abbiamo deciso di fare, Principessa?» urla Tom da una poltrona alle mie spalle, enfatizzando con sarcasmo l'ultima parola. Solo mio padre poteva chiamarmi "Principessa", e io mi ritrovo a storcere il naso.
«Dobbiamo andare o perderemo il treno!»
«Il treno?!» gli faccio eco io.
«Certo, come pensi di arrivare al Rifugio? A piedi?» sbuffa lui, balzando a terra e dirigendosi già verso la porta d'ingresso.
Non posso fare a meno di pensare che anche nel mio libro si viaggiava su un treno fino ad un mondo parallelo...ma il gatto interrompe di nuovo i miei pensieri.
«Allora?!»
Sbuffo, infastidita dall'atteggiamento di sufficienza che quell'animale mi riserva ad ogni parola. Inoltre, ha pure il potere di farmi sentire in colpa e inadeguata. Come se potessi essere io quella fuori posto, in questa situazione!
Alla fine, chiudo bene tutta casa e, una volta nel pianerottolo del palazzo, tiro un lungo sospiro, pronta a chissà quale strana avventura.
Una volta scesi in strada, mi rivolgo al felino con un sussurro. Non voglio certo che i passanti mi vedano parlare con un gatto! Ma lui è un metro più avanti a me e, mio malgrado, devo alzare un po' la voce: «Da che parte dobbiamo andare?», ma lui continua a camminare tranquillo, come se non avessi detto niente.
La pioggia è terminata già da venti minuti e le nubi si stanno disperdendo, lasciando intravedere il cielo terso e una luna nuova all'orizzonte; sono circa le nove di sera, ormai, e una ragazza parte per un viaggio verso l'ignoto insieme a un gatto. È tutto così surreale.
Camminiamo a un ritmo sostenuto, ma senza avere l'affanno. Quella che abbiamo di fronte è una Roma tranquilla e silenziosa, il che è un po' strano. Anche i treni della vicina stazione Tiburtina non si sentono sfrecciare sulle rotaie. Qualche coppia passeggia sotto la luce dei lampioni, alcuni passanti tornano a casa dal lavoro, ma ho come l'impressione di avanzare in un tunnel invisibile e insonorizzato, come se l'esterno non fosse proprio lì. Tom non dà segno di voler chiacchierare, piuttosto cammina con determinazione girando ogni tanto verso angoli di strade che non ricordo di aver mai percorso. Arrivati alla fine di un vicolo senza uscita mi guardo intorno e vedo un muretto di mattoni rossi, e intorno i palazzi con le finestre al buio, come se gli appartamenti all'interno fossero tutti disabitati. Poco distante, un cumulo di immondizia emana un certo odorino poco gradevole, anche in una notte fresca come quella. È fine aprile, le temperature sono pressoché miti, nonostante la Primavera sia ancora solo agli inizi, e il silenzio che ci avvolge come un manto mi appare strano.
Mi guardo intorno e riconosco in alto i fili elettrici che sormontano i binari, al di là del muretto di mattoni che, quindi, divide la città dalla stazione.
Lo strano silenzio che ci ha accompagnati fin qui sembra avanzare come un macigno pesante sulla testa e comincia a rendere tutto ovattato e lontano. Pian piano sento fischiare le orecchie, un sibilo leggerissimo ma fastidioso.
Con un agile balzo Tom salta sul coperchio di un cassonetto. Una folata di vento mi agita i capelli e fa lo stesso con i peli del felino, che sussurra qualcosa in direzione del muro. Non riesco a sentire cosa sta dicendo, ma non appena finisce di mormorare, davanti a noi compare una luce intensa, sempre più grande, che si espande in cerchio, diventa sempre più luminosa e si apre in un vortice dalle sfumature rosse, arancioni, gialle, e poi di altri mille colori. Il vento aumenta, si avviluppa all'interno di quel cerchio di sfumature luminose che osservo incredula. Ci sono scintille che saettano in tutte le direzioni come stelle sfuggite al controllo ordinato della forza di gravità. Ogni cosa, intorno, perde i propri colori e le proprie fattezze, mentre i contorni sfumano e i suoni, gli odori, tutto si sgretola e perde la propria essenza al cospetto di quella magia.
"Ma è un incantesimo?!", penso incredula, strabuzzando gli occhi.
Ci mancava solo quest'altra stranezza, al culmine di questa giornata così inverosimile! A questo punto posso morire, perché nella vita ho già visto tutto. Anzi, forse sono già morta e questo è una sorta di viaggio nell'aldilà. Dopotutto la fantasia non mi mancherebbe neanche all'altro mondo.
Inebriata dall'incanto di quel vortice e con il cuore che batte all'impazzata, mi sembra di vedere delle ombre salire pian piano verso il vortice di luce e tutto il mondo cadere progressivamente nel buio. Il sibilo nelle orecchie si fa sempre più intenso, le gambe cedono verso il suolo, e in un baleno cado a terra svenuta.
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