La farfalla che rimase impigliata nella tela del ragno



La stanza era spoglia, a parte le sedie poste al centro della sala a formare un semicerchio. In quella stanza nulla riusciva a scaldare il mio animo. Non ricordo neanche da quanto tempo mi trovavo li, ricordo solo che fui io a decidere di frequentare le sedute di gruppo, mi dissi che sarebbe andato tutto bene o almeno era quello che speravo. Non parlavo molto, di solito rimanevo li immobile, zitta e con gli occhi che osservavano senza vedere per davvero. Per me tutto in quella stanza misera era fonte di apatia. Aspettai che tutte si sedessero e per un attimo i miei occhi si posarono su Emilia, la nostra psicoterapeutica. Era una donna molto bella dai lunghi capelli rossi, occhi verdi vivaci e luminosi,sorrideva sempre e mi chiedevo perché. Come riusciva a trovare la forza di sorridere mentre molte donne a mala pena riuscivano ad entrare in quella stanza e pronunciare qualche parola? Le mie compagne presero posto e Emilia ci salutò con un caldo sorriso, uno di quelli che avrebbero fatto sciogliere il cuore di ogni uomo. "Buongiorno ragazze, come state oggi?" si sedette e ci osservò tutte. Nessuna rispose e anche se sembrava una cosa scortese non risponderle, tutte noi sapevamo che quella domanda non avrebbe portato di certo a una risposta positiva.Non quel giorno almeno. "Bene allora proseguiamo. Josephine l'ultima volta hai fatto progressi aprendoti con noi, sei stata molto coraggiosa" fece una pausa poi ci scrutò, i suoi occhi si soffermarono su ognuna di noi. Sperai che non mi notasse ma la mia speranza fu vana. "Lucrezia oggi ti va di parlare?" il suo tono di voce era dolce, come se stesse parlando a un bambino. "Non mi va" mi limitai a rispondere. "Perché no? Ti farà bene vedrai" mi sorrise dolcemente, la guardai e per un attimo e pensai che forse aveva ragione, che magari parlarle mi avrebbe aiutato e avrebbe quietato il mio animo tormentato. "Non è una bella storia" fu un sussurro, quasi impercettibile o così credetti. "Siamo qui per te" mi incoraggiò Emilia. Ora che aveva la mia attenzione, ora che potevo parlarle non avrebbe mollato la presa e avrebbe fatto di tutto per aiutarmi,questo lo sapevo bene. Così feci un bel respiro e iniziai il mio racconto...

Un anno prima

New York era sempre in fermento, non a caso veniva definita la città che non dorme mai. Era una splendida giornata, una di quelle in cui ti svegli con il sorriso sulle labbra e sai che andrà tutto per il meglio. Il cielo limpido e il caldo sole mi rendevano allegra, era bello poter andare a lavoro di buon umore.Ero la segretaria di un'importante azienda e dovevo alzarmi presto ogni mattino, ma la cosa non mi dispiaceva, anzi stranamente amavo alzarmi presto. Guidai per un po' fino a che non arrivai dinanzi all'edificio, parcheggiai e scesi dall'auto. Davanti a me vi era un enorme edificio grigio con grandi finestre, da una di essere si poteva scorgere una tenda bianca che ondeggiava nel vento. Una volta giunta al decimo piano dell'edificio mi sistemai alla mia scrivania. Una nuova giornata di lavoro stava per iniziare, ma ancora non sapevo che proprio quel giorno avrei conosciuto colui che mi avrebbe rovinato la vita. Ero intenta a sistemare dei documenti quando entrò: alto, capelli scuri e occhi verdi così belli da potersi perdere dentro. Indossava un completo grigio molto elegante ed emanava un'aurea di sicurezza e di fascino. Non avevo mai visto un uomo così bello, ma avrei dovuto capire che non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina. "Buongiorno signorina potrebbe avvisare il signor Smith che sono arrivato?" l'uomo sconosciuto mi sorrise ed era uno di quei sorrisi che incantano. "Buongiorno, avviserò subito il mio capo ma vorrei sapere, chi devo annunciare?" L'uomo rise e poi parlò nuovamente"Che sbadato non mi sono presentato, ero troppo preso ad ammirare la vostra bellezza." Mi sorrise e io arrossì poiché era raro che qualcuno mi facesse dei complimenti"Sono Oliver Gonzalez ho appuntamento con il vostro capo alle 13" . 

"Sono le 12 signore dovrete aspettare un po' prima di poter entrare."

"Lo so ma se fosse così gentile da poter anticipare l'appuntamento le sarei grata, ho urgente bisogno di tornare a casa purtroppo mia madre non sta molto bene."

Mi dispiaceva per lui, capivo come si sentisse poiché anche mia madre purtroppo non stava bene. "Vedrò cosa posso fare, ma si tolga immediatamente quel sorrisino dalla faccia lo faccio solo per sua madre" detto ciò avvisai immediatamente il mio capo, pur infastidito dall'arrivo preventivo dell'uomo accettò di incontrarlo.Dopo qualche minuto il signor Gonzalez si recò nell'ufficio del mio capo. Ero ancora turbata dalla sua presenza,era senza dubbio un uomo molto affascinante e scommetto che ci sapeva fare con le donne, ma aveva anche l'aria di uno dal quale conveniva stare alla larga molto probabilmente ci provava con ogni singola donna che vedeva. L'ora di pranzo mi riportò all realtà. Come ogni giorno mi recavo a pranzo con il mio migliore amico, nonché collega, Simon Baker. Ci conoscevamo fin da piccoli e proprio grazie a lui ero riuscita a trovare questo lavoro, sapeva che avevamo bisogno di soldi per pagare le cure per mia madre e l'assicurazione copriva solo in parte le spese ma grazie a questo impiego adesso mia madre poteva curarsi e stare serena. Ci sedemmo sulle panchine che si trovavano di fronte all'edificio, ormai quello era il nostro punto di ritrovo quotidiano ed era un ottimo luogo dove poter stare tranquilli e parlare di ogni cosa. Simon mi stava giusto raccontando degli aneddoti divertenti su un nuovo collega quando all'improvviso si bloccò. "Simon tutto okay?" domandai preoccupata da quella reazione. "Si, mi sto chiedendo perché quell'uomo ci sta osservando" disse indicando con un cenno della testa un punto alle mie spalle. Mi voltai e vidi Oliver Gonzalez, mi fece un cenno con la testa, che ricambiai, poi si avvicinò a noi. "Salve signorina, volevo ringraziarla per quello che ha fatto per me" sorrise e i suoi occhi sembravano due smeraldi illuminati dal sole. "Non deve ringraziare me ho solo fatto il mio lavoro, ma la prossima volta cerchi di rispettare gli orari" 

"Lo farò signorina. Mi sono appena ricordato che non so il vostro nome"

"Mi chiamo Lucrezia Miller"

"Uno splendido nome per una bellissima donna ora però devo andare.  É stato un piacere rivederla signorina" detto ciò mi salutò con un altro dei suoi favolosi sorrisi e poi andò via. Simon per tutto il tempo rimase in silenzio, forse a valutare o meno la situazione. "Sai che ci stava provando vero?"

"Forse oppure era solo un tipo gentile" mi limitai a rispondere. 

"Sarà ma non mi fido di lui. Ha l'aria del tipo da una notte e via"disse Simon guardandomi con dolcezza,sapevo quanto si preoccupasse per me, era sempre stato così fin da quando ne avevo memoria. Gli strinsi una mano e sorrisi "Stai tranquillo e poi non è detto che lo rivedrò" detto ciò Simon sembrò più tranquillo o così sembrava. 

Qualche giorno dopo Cassandra, la mia migliore amica, aveva organizzato una  festa a casa sua per annunciare il suo fidanzamento con Logan Wess e ovviamente non potevo mancare. Alle volte avrei voluto essere come lei; forte, bella e capace di fregarsene del giudizio altrui, era capace di attirare l'attenzione di tutti gli uomini mentre io preferivo stare a casa tranquilla a leggere un buon libro, ma per quella sera avrei fatto uno sforzo. Arrivai puntuale alla festa e Cassy mi accolse con un sorriso, era radiosa nel suo bel vestito azzurro, i capelli biondi legati in una coda alta le metteva in mostra il bel viso delicato e metteva i risalto i suoi occhi  azzurri. "Sei bellissima e questo vestito ti dona molto avevo proprio ragione." Fui costretta a indossare un abito  verde chiaro troppo corto per i miei gusti, perché secondo Cassy era l'ora che uscissi dalla mia comfort zone e che iniziassi a vivere e in fondo non aveva torto.  Alla festa c'erano troppe persone per i miei gusti, sembrava che Cassy avesse invitato mezza New York. Vagai un po' per la casa, era davvero bella: parenti bianche, soffitti dipinti con affreschi raffiguranti dei fiori .Entrai nell'ampio salotto, era molto elegante vi erano dei divanetti bianchi dove la gente stava seduta a chiacchierare, una grande libreria anch'essa bianca e un tavolo dove vi era del cibo e delle bevande. La gente non fece caso a me e questo fu un bene, non amavo essere al centro dell'attenzione. Trovai un divanetto libero e mi sedetti, cosa avrei fatto lì? Molto probabilmente nulla o forse mi sarei limitata ad osservare la gente. Il tempo scorreva troppo lentamente e fui tentata di dire alla mia amica che sarei andata via prima ma quel pensiero fu accantonato in un angolo remoto della mia mente, non appena i miei occhi si posarono su un viso a me familiare. L'uomo si stava avvicinando a me con fare sicuro, molte donne lo osservano e anche io non potevo fare a meno di mantenere i miei occhi incollati ai suoi, eravamo come due calamite destinate a unirsi. Lo riconobbi subito era Oliver, il ragazzo conosciuto qualche giorno prima a lavoro. "Ciao ci incontriamo di nuovo" il ragazzo mi sorrise "Posso sedermi?" chiese cortese indicando il posto libero sul divanetto bianco. "Ciao certo accomodati pure"sorrisi e in quel momento mi pentii del vestito che avevo scelto di indossare. "Come mai tutta sola?" stava seduto lontano da me quel tanto che bastava per non farmi agitare. "Non amo molto le feste tu invece come mai sei qua?" chiesi curiosa. "Conosco lo sposo andavamo insieme al college" non ebbi il tempo di rispondere, anche se non sapevo come continuare la conversazione, perché Cassy e il suo futuro marito Logan avrebbero fatto un discorso e poi un brindisi. Dopo il discorso io e Oliver continuammo a parlare, scoprì molte cose di lui che mi attraevano, era un ragazzo davvero adorabile o così sembrava. Fu una delle serate più belle che trascorsi in vita mia, ancora però non sapevo che da quel momento lamia vita sarebbe stata un inferno. 

Io e Oliver iniziammo a frequentarci e dopo qualche uscita ufficializzammo la nostra relazione. Eravamo inseparabili e lui era molto dolce e premuroso con me, almeno nei primi mesi. Non ricordo l'esatto momento in cui mi vietò di indossare determinati abiti o di truccarmi, ricordo solo che diceva che lo faceva per me che ero bella così com'ero e io ci credevo.Ogni singola parola che diceva per me era pura come l'acqua di montagna. Poco a poco però le sue dolci parole si tramutarono in altro.

Era una calda giornata di giugno e come ogni giorno io e Simon ci incontravamo per il pranzo. Ormai i momenti in cui potevamo stare insieme erano rari, Oliver era molto geloso del mio migliore amico era convinto che Simon provasse qualcosa per me e avevo provato di tutto per fargli capire il contrario ma lui non voleva darmi retta, così mi aveva chiesto di non vederlo più. Sapevo di non poter voltare le spalle al mio migliore amico così avevo spiegato la situazione a Simon e avevamo concordato di incontrarci di nascosto insieme ad altri colleghi e passare qualche ora tutti insieme.

Dopo il lavoro mi recai a casa e notai immediatamente l'auto di Oliver, che fosse li per una sorpresa? Il mio cuore iniziò a battere velocemente ero felice di rivederlo e non vedevo l'ora di buttarmi fra le sue braccia. Scesi dall'auto e corsi verso lui che mi aspettava vicino al portone di casa. "Ciao tesoro sono felice di vederti"mi sporsi per baciarlo ma lui si spostò. Cosa sarà successo? "Tutto okay?" chiesi preoccupata. "Dimmelo tu" si limitò a dire e io non capì in un primo momento.

"Cosa vuoi dire?"
"So che vedi ancora Simon e la cosa non mi piace per niente" il suo sguardo era furente, quei smeraldi che tanto amavo ora mi guardavano quasi con odio. "Io... C-come fai a saperlo?"

"Ho i miei informatori"

"Mi spii per caso? È solo il mio migliore amico per l'amor del cielo"

"Certo come no" mi guardava furioso"Non hai capito forse Lucrezia che tu sei solo di mia proprietà"si avvicinò con fare minaccioso e afferrò il mio polso con violenza.

"Mi fai male" mi lamentai e cercai di liberarmi ma in vano, la stretta della sua mano aumentò e sapevo benissimo che il giorno dopo avrei trovato un livido sulla mia candida pelle. Mi fece entrare nel portone con forza e una volta dentro mollò la presa. Pensavo che si fosse calmato ma invece no. La sua mano si posò con violenza sul mio viso e talmente fu forte quello schiaffo che caddi a terra. Non avevo il coraggio di guardarlo e delle lacrime minacciavano di far capolinea sul mio viso indolenzito. Sembrava come se tutto l'amore che mi aveva promesso fosse solo una bugia, ma ero troppo cieca e troppo innamorata per capirlo. Mi si avvicinò e prese il mio viso fra le mani "Oh mia dolce Lucrezia vedi se farai ancora qualcosa che non mi va riceverai molto di più di un semplice schiaffo" detto ciò si alzò e mi mollò li. Restai per diversi minuti a terra e le lacrime che avevo trattenuto scivolarono lentamente sulla mia guancia. Non so come ma trovai la forza per alzarmi e trascinarmi verso la mia casa. Una volta al sicuro mi recai nella mia camera e piansi, piansi così tanto da addormentarmi.

Passarono i giorni e ancora continuavo a pensare al litigio con Oliver. Il mio viso ora deturpato, vi era un grosso livido sul mio zigomo, il polso mi faceva meno male per fortuna. Arrivai a convincermi che la colpa fosse la mia, che se non avessi visto Simon e i miei colleghi Oliver non si sarebbe arrabbiato e non avremmo litigato.

Oliver, stranamente, era tornato di nuovo il ragazzo dolce che avevo conosciuto, mi aveva portato a cena fuori, mi aveva ricoperta di regali e di fiori, come se questo potesse giustificare la sua violenza. A quei tempi pensai che fosse solo un modo per scusarsi per chiedere il mio perdono, ma oggi comprendo che ero solo la sua bambola e che poteva giocare con me quando voleva.

Mandai un ultimo messaggio a Simon gli dissi che non lo avrei più rivisto e che a lavoro era meglio se fingessimo di non conoscerci. Nascosi i miei lividi e nessuno fece caso a me, io che a lavoro ero sempre allegra e con il sorriso sulle labbra ora invece ero come un fantasma che vagava in cerca di pace.

Con il trascorrere dei giorni pensai che Oliver fosse cambiato, mi sbagliavo. Quella stessa sera avrei preso una decisione che avrebbe cambiato per sempre la mia vita. Mi stavo preparando per incontrare quello che doveva essere l'uomo che mi amava, quando suonò improvvisamente il citofono di casa mia.Pensando fosse Oliver presi il cappotto e scesi di corsa ma al suo posto vi era Simon. Mi guardava con dolcezza mista a preoccupazione e potevo capirlo benissimo. La bella Lucrezia dai lunghi capelli castani, gli occhi azzurri e allegri non esisteva più. Davanti a lui vi era una donna stanca, trasandata che lo guardava con angoscia.

"Devi andare via se lui ti trova qua per me è la fine"

"Che cosa intendi? Voglio sapere cosa ti ha fatto" il mio amico si avvicinò a me ma io feci un passo indietro.

"Niente è stata solo colpa mia"sussurrai più a me stessa che a lui.

"Fammi vedere" con un gesto delicato mi alzò il viso e mi osservò, furono i secondi più belli era come se fosse il paradiso al centro esatto dell'inferno. Ma durò poco. Oliver era li e ci osservava, infuriato come non mai. Mi spostai immediatamente ma era troppo tardi. Il mio ragazzo colpì Simon sul viso senza che quest'ultimo potesse reagire, poi afferrò me per il braccio e mi trascinò dentro.
"Ora noi due facciamo i conti" chiuse il portone e Simon che si era alzato urlava di lasciarmi stare. Ricordo ancora i colpi che diede contro il portone invano, voleva salvarmi ma come poteva una farfalla caduta nella rete del ragno essere salvata?

Ricordi vaghi di quella sera affiorano nella mie mente. Mi ricordo che mi fece entrare in casa e che mi scaraventò con forza a terra, iniziò a colpirmi con calci e pugni e io pregavo che la smettesse. Piansi molto ma niente lo fece smettere. Mi continuava a dire cose orribili mentre mi colpiva e io tentavo di difendermi, ma nulla serviva così mi arresi. Forse sarei morta e mi maledissi per aver accettato quell'invito a cena, per averlo conosciuto e per averlo amato. Lui non sapeva nulla dell'amore e quella ne era la dimostrazione. Si dice che le donne non devono essere toccate nemmeno con un fiore ma lui questo non lo comprendeva,per lui ero solo un oggetto e punirmi gli piaceva. Quando smise di colpirmi ero ormai riversa a terra, ero confusa non capivo dove fossi o forse ero semplicemente morta. Lo sentii parlare con qualcuno al telefono "Penso di averla uccisa". Mi lasciò li, da sola senza aiutarmi.

Mi sveglia qualche giorno dopo in ospedale. Mi dissero che fu Simon a portarmi in ospedale e che da allora non si era mosso da li. Mi fecero tante domande e io risposi con le scuse più banali: "Sono caduta dalle scale"; "Volevo prendere qualcosa da uno scaffale ma questo mi è caduto addosso"ovviamente nessuno credette a queste storie. Così alla fine dopo aver parlato con Simon mi convinsi a denunciare l'accaduto. Presi la decisione più saggia della mia vita: riprendermi quel poco che restava della mia dignità di donna. Andai alla polizia e denunciai l'accaduto, ottenni un ordine restrittivo nel quale veniva enunciato che Oliver Gonzalez doveva stare lontano da me o sarebbe stato arrestato, ma la polizia forse non sa che ci sono altri modi con cui una persona così malata può entrare in contatto con la sua vittima.

La mia vita cambiò nuovamente, mi trasferì dai miei genitori e tentai di tornare alla normalità, ma era difficile. Come potevo tornare a vivere con serenità quando colui che mi aveva quasi uccisa era a piede libero? Come può una donna vivere così, senza sapere se domani sarà il suo ultimo giorno di vita solo perché si decide di eliminare una persona tossica dalla propria vita? Sono domande a cui sembra facile rispondere ma poi mettere in pratica tali risposte è troppo complicato.

Nelle settimane che passarono non seppi nulla di lui e fu un bene. Ripresi a parlare con tutti i miei amici e mi avvicinai molto a Simon, lui era davvero molto dolce e forse la nostra amicizia si stava trasformando in qualcosa di più, ma io non ero pronta a una nuova relazione ero troppo ferita, sia fisicamente che interiormente, per poter affidare il mio cuore a un altro uomo,pur sapendo che questa volta sarebbe stato diverso.

La mia vita stava tornando lentamente alla normalità quando una mattina ricevetti un messaggio anonimo.

MITTENTE SCONOSCIUTO: "Mia Lu non mi sfuggirai, nulla può separarci"

Rabbrividì leggendo quel messaggio,per un attimo pensai ad Oliver ma relegai in un angolo della mia mente tale idea, erano mesi che non lo sentivo e avevo cambiato numero, non poteva essere lui. Ignorai la cosa e mi recai come di consueto a lavoro. La giornata trascorse tranquillamente, non ricevetti nessun altro messaggio e così dopo lavoro tornai subito a casa. Trascorsero i giorni e ricevetti nuovi messaggi di minaccia,ormai era chiaro di chi si trattasse, poiché ogni singolo messaggio faceva riferimento a un momento trascorso insieme ad Oliver. Fu un sabato mattina che la situazione degenerò. Tornavo a casa dopo aver fatto la spesa e quello che trovai davanti alla porta di casa mi gelò il sangue nelle vene. Li sulla porta di casa c'erano delle rose nere,come un cielo senza stelle, vi era anche un biglietto con su scritto"NON TI LIBERERAI DI ME".

Presi le rose e il panico mi assalì. Mi mancava l'aria e mi sentivo svenire, con le poche forze che avevo entrai in casa e chiamai Simon, poco dopo mi raggiunse. Mi disse di non preoccuparmi e di stare tranquilla che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Ci recammo immediatamente alla polizia, quest'ultima ci disse che avrebbero indagato e scoperto chi fosse il mittente di quei messaggi. Passarono altre settimane e le indagini proseguirono,la polizia scoprì che era stato proprio Oliver a mandare le rose e i messaggi.

Simon e la mia famiglia non mi lasciarono sola neanche un momento. Avevo paura, tanta paura pensavo che Oliver mi avrebbe fatto nuovamente del male. Quando camminavo per strada anche se ero in compagnia di mia madre o di qualcun altro avevo la sgradevole sensazione di essere seguita dall'uomo che un tempo aveva detto di amarmi e che ora mi faceva vivere un inferno. Fortunatamente questo terribile incubo finì qualche tempo  dopo. Oliver fu arrestato, processato e condannato. Il mio incubo era finito adesso potevo tornare a vivere nuovamente o almeno ci avrei provato.

Presente

Quando conclusi la mia storia osservai le mie compagne, molte piangevano altre mi guardavano con pietà perchè sapevano bene cosa si provava a "vivere" in questo modo. Non mi resi conto che anche io stavo piangendo, calde lacrime rigavano il mio volto stanco nel ricordare quel periodo di vita che avrei voluto tanto cancellare. Olivia mi strinse una mano e mi sussurrò "Non sei sola in questa lotta" mi sorrise e io abbozzai un mezzo sorriso. Aveva ragione tutte noi eravamo legate da un filo sottile che ci univa in modo indissolubile.

Quando siamo piccole ognuna di noi, magari quando la mamma ci leggeva le fiabe, immaginava il proprio principe azzurro un uomo forte,coraggioso e pieno d'amore che ci avrebbe condotte nel suo castello per vivere felici e contenti, ma basta solo crescere, aprire gli occhi e la realtà a volte è più dura di quello che avevamo sognato. Non tutte le donne incontrano il principe azzurro, ma incontrano un cavaliere oscuro che le porta dentro un mondo fatto di paura. La favola che si sognava scompare lasciando spazio ad un incubo. Si inizia con le minacce per passare agli schiaffi, ai pugni e la donna in quel momento si sente fragile, come un cristallo che cade a terra e si frantuma in piccoli pezzi. Si sente sola,abbandonata e impaurita, ha paura dell'amore o di quello che pensava potesse essere amore. Non tutto l'amore è il vero amore, e un uomo che compie un gesto del genere non è degno di questo sentimento. Ed è nel momento più buio della vita di noi donne che troviamo la forza e il coraggio, ci rialziamo, raccogliamo i pezzi e denunciamo per ottenere la libertà che ci è stata tolta. Le ferite del cuore sono come un piatto di porcellana rotto, lo puoi ricostruire incollando i pezzi ma non tornerà mai come prima. Le ferite restano e fanno male. Si dice che dal dolore si può imparare, io ho imparato ad amare me stessa e a credere di nuovo nell'amore grazie a Simon e ora grazie a lui potevo realizzare la mia favola.

Angolo Autore: questa storia partecipa al concorso ideato da Marty05ereri e -bvoken.

Sono 3882 parole spero che vada bene e che vi piaccia, ho cercato di rappresentare al meglio ciò che una donna subisce e quello che sente quando l'uomo che dice di amarla la maltratta. 

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